IN. 3 pag. 10 I Se anche Abramo fa spettacolo Salman Rushdie, I versi satanici, Mondadori, Milano 1989, ed. orig. 1988, trad. dall'inglese di Ettore Capriolo, pp. 576, Lit 28.000. Molti anni fa venne a trovarmi un olandese, anzi un friso, che portò a mia moglie un "fascio sfasciato" di roselline. Mia moglie che era ammalata e potè giudicarlo solo da quei fiori, mi disse: "O è un gran signore o è un cafone". Sostenni la tesi del gran signore, pensando però che era un cafone. Il giudizio di allora di mia moglie è quello iniziale verso Rushdie ma, dopo qualche riflessione, propendo decisamente per il cafone. Mi spiego. Il termine cafone lo uso, in questo caso, per descrivere una persona che gratuitamente sfida una credenza religiosa senza un adeguato supporto scientifico (Rushdie non è Galileo che si contrappone all'Inquisizione sulla base di un'argomentazione scientifica). Se io trovassi un qualsiasi documento — non dimentichiamo che Maometto è l'unico profeta vissuto nella Storia — che potesse anche offendere la figura tradizionale del profeta, lo pubblicherei tranquillamente. Vale la pena di divagare per dare un esempio. Gli Arabi musulmani si sono lentamente convinti, a livello di élite culturale, che la loro scrittura deriva da quella dei Nabatei e non è stata disegnata da Dio assieme al Corano. Ultimamente è stata trovata un'epigrafe na-batena che risale al 1° secolo d.C. e che, forse, ha un distico di poesia araba. Questo vuol dire che cade un altro tabù degli Arabi: la loro poesia, che si riteneva sinora nata nel 6° secolo d.C., risalirebbe invece al 1° secolo d.C. Nessuno di noi ha pensato di non pubblicare questa epigrafe. Sia ben chiaro però che questo mio giudizio negativo sulla persona non mi porta automaticamente a giudicare male il libro. D'acchito vorrei sgomberare il campo dall'espressione "versetti satanici", che costituisce il titolo del libro e che per il lettore non-musulma-no non vuol dire granché. Maometto, nel periodo cosiddetto meccano (per distinguerlo da quello medinese) della sua predicazione, un giorno iniziò a recitare una nuova sura del Corano: "Per la stella quando declina. Non erra il vostro compaesano né viene ingannato, né parla per suo impulso..." e verso la metà recitò: "Che pensate voi di Allat, di Uzzà e di Manat, quest'altra delle tre?". A questo punto i biografi musulmani del Profeta dicono che egli pronunciò due versetti ispirati da Satana: dì Sergio Noja "E queste sono le garaniq esaltate, l'intercessione delle quali è cosa grata a Dio". Questi due versetti non si trovano nel Corano ma sono stati conservati, come dicevo, da altre fonti ugualmente canoniche. La tradizione islamica, definendoli "versetti satanici" (da qui il titolo del libro) proprio perché ispirati da Satana e non da Gabriele portavoce di Dio, li ha eliminati subito dal Corano. Gli islamisti europei pensarono invece ad un momento di sconforto di Maometto nella sua lotta, con pochi fedeli, contro l'establishment della Mecca e il suo popolo. Un tentativo, quindi, di arrivare ad un accordo, riducendo il politeismo pre-islamico a un Dio e tre dee. Perciò nessun problema in ambedue i casi: per i credenti dell'Isiàm è opera di Satana, per i non-credenti un momento di stanchezza dell'uomo Maometto. Aggiungo un'osservazione sul significato di garaniq tradotto, nelle tante versioni del Corano, col termine "vergini", con diretto riferimento alle dee antiche del versetto precedente. Questo plurale sta per le "grandi gru del Nilo" e pochi hanno pensato alla dolce visione di un volo di bianche gru dalle grandi ali, alte nel tersissimo cielo 8'Arabia; visione non necessariamente di dee ma di angeli ammessi dal Corano. E quindi il contenuto del libro che irrita i musulmani, un contenuto non teso a umanizzare Maometto che sempre si dichiarò uomo, e come tale fu sempre visto dall'Islam, anche se un po' di agiografia miracolistica si è incrostata col passare dei secoli sulla sua figura. La tradizione islamica fu sempre correttissima nel riferire il suo debole per le donne che del resto sposò tutte in regolare matrimonio in un mondo poligamo. Se si pensa che oggi gli studiosi occidentali sono inclini a pensare che il numero di quattro mogli fissato dal Corano non sia un limite ma un invito, un esortazione a sposar molte mogli — tra l'altro cogliendo in pieno l'esortazione della Bibbia, libro sacro anche per i musulmani, espressa dalle note parole "crescete e moltiplicatevi!" — anche qui non vi sono problemi. Si può quindi dire che il libro è un deliberato tentativo, per altro riuscito, di mescolare una materia che l'autore conosce bene suscitando morbose curiosità nello sprovveduto lettore non musulmano. Il libro è leggibilissimo e ben composto, molto meglio di un identico tentativo fatto da Voltaire con la sua tragedia Le Fanatisme ou Mahomet le Prophète rappresentata a Lilla nel 1741 e a Parigi nel 1742 e che per me costituisce ancor oggi un problema. I suoi versi non sono certo meravigliosi: "Tu verras de cha-meaux un gros sier conducteur / chez sa première épouse insolent impo-steur / qui, sous le vain appat d'un songe ridicule / des plus vfls des hu-mains tente la foi crèdule", oppure "Le glaive et l'Alcoran, dans mes sanglantes mains / imposeraient si-lence au reste des humains", versi che comunque fruttarono a Voltaire una lettera di Benedetto XIV che inizia con le parole "...settimane sono ci fu presentato da sua parte la sua bellissima tragedia Mahomet la quale leggemmo con sommo piacere...". Dicevo poc'anzi che l'autore la materia la conosce bene e farò qualche esempio. Il nome della tribù dominante alla Mecca al momento della predicazione del Profeta dell'Isiàm e alla quale egli stesso apparteneva era Quraish, da cui l'italiano "Coreisci-ta". Ma Quaraìsh è anche il diminutivo secondo le regole della grammatica araba di Qirsh che vuol dire "pescecane", e l'autore dice: "il nome della tribù è Squali". Questo si ripete per molti episodi della storia dell'Islam: "Nei tempi antichi, il profeta Ibrahim [è il nome arabo di Abra- mo] venne in questa valle con Hagar e Ismail, loro figlio [è la versione islamica dell'episodio biblico]. E qui in questo deserto senz'acqua, lui l'abbandonò. Lei gli domandò: possibile che sia questa la volontà di Dio? Egli rispose: lo è. E se ne andò, quel bastardo. [...] Sin dall'inizio gli uomini si sono serviti di Dio per giustificare l'ingiustificabile". Pesante l'epiteto di "bastardo" per Abramo nel nome del quale si aprono e si chiudono i convegni per il "colloquio" tra l'Islam e il Cristianesimo. Per far sì che si sentano vicine le tre religioni — anche l'ebraismo — si è pensato alla figura di Abramo! Ma non è finita. Continua l'autore: "Dopo che Ibrahim se ne fu andato, nutrì il suo bimbo al seno finché non restò senza latte. Allora salì due colline, prima Safa e poi Marwah [oggi all'interno della grande Moschea della Mecca] correndo disperata dill'una all'altra, nella speranza di scorgere una tenda, un cammello, un essere umano. Non vide niente. Fu allora che venne da lei Gibreel e le mostrò le acque di Zamzam [questo esattamente ciò che dice la tradizione islamica]. Così Hagar sopravvisse ma perché oggi si riuniscono i pellegrini? per festeggiare la sua sopravvivenza? No, no. Stanno celebrando l'onore fatto alla valle dalla visita di — ma si, avete indovinato — di Ibrahim. In nome di quel marito amorevole si riuniscono, pregano e soprattutto spendono". Bisogna accettare l'idea di aver offeso l'Islam. Basta non pentirsene, o meglio, far finta di aver sbagliato senza essersene accorti. E dato che stiamo parlando del libro non voglio sconfinare nel gravissimo problema dell'assassinio su ordinazione che, come ho avuto occasione di affermare in altra sede, è una componente storica dell'Islam e che è solo una parte delle condanne a morte eseguite "in casa", condanne ed esecuzioni che vanno dallo scrittore persiano Ahmed Kasrawi in questo dopoguerra al Bab fucilato a metà del secolo scorso — e dalla cui predicazione nacque la religione Ba-hai ancora viva — al mistico al Hal-lag che fu condannato per aver dichiarato "dna al-haq" ovvero io sono la verità (ove verità è un sinonimo di Dio) nell'ascesa del suo misticismo. Naturalmente tutto ciò spiega, ma non giustifica in alcun modo, lo scatenamento di una caccia all'uomo, nella persona di un autore di romanzo. Oggi si parla tanto di fondamentalismo islamico, ma per dare una piccola idea del "pianeta Isiàm" va tenuta presente l'esistenza secolare del "modernismo islamico" per il quale riproduco un'acuta definizione del compianto Bausani: "Per esprimerci in forma sintetica, si potrebbe dire che tutti i tentativi del modernismo nell'Isiàm potrebbero definirsi come tentativi di dare significati moderni a parole dette direttamente da Dio per risolvere i problemi di una comunità araba di tredici secoli fa, mentre i modernisti cristiani cercano di immaginare che cosa i santi autori ispirati avrebbero detto se confrontati dai nostri problemi moderni: compito più fantasioso, forse, ma più facile!". Anche qui non c'è posto per Rushdie. Il suo ruolo può essere ridotto o esaltato, ma egli è solo lo scrittore di un romanzo. Il lettore, in questo caso, può lui solo, molto più dei critici, giudicare il libro. Ed ora una considerazione finale. Forse con il pendolo di Umberto Eco e con questo libro si è esagerato un po' nel cacciar nei libri parole e cose strane. Rushdie ha riempito il libro di parole arabe, persiane, urdu e chi più ne ha più ne metta, rendendo oltre tutto un cattivo servizio al traduttore il quale, certo senza colpa alcuna, ha lasciato le parole come erano trascitte in inglese così troviamo Ayesha invece di Aisha, Gibreel invece di Gibril, Dajial invece di Dag-gal e così via, ma de minimis... L'ARGONAUTA w Knut Hamsun VITTORIA pp. 114 L. 14.000 David H. Lawrence IL FANTOCCIO pp. 108 L. 15.000 COLLANA DI LETTERATURA Diretta da U. Pannunzio e M. Rosolini Distribuzione: Consorzio Distrib. Associati (BO) Piazzale dei Bonificatori, 3 LATINA - Tel. 0773/483996 Il Medioevo alla televisione di Claudio Gorlier La flessibilità e la disposizione combinatoria della lingua inglese hanno consentito il conio di un termine divenuto in questi anni di uso corrente: orature. Si tratta della astuta fusione di orai e di literature, e viene usato per designare gli esiti complessi e variegati della cultura orale, dal Medioevo ai giorni nostri. Sappiamo che l'apporto decisivo della cultura orale sostanzia la letteratura di tutti i paesi in cui l'arte del raccontare ha più antiche radici: che cosa, se non trionfo dell'oralità, sta alla base di quel supremo modello che sono Le Mille e una Notte.? Sappiamo pure dei guasti inflitti a una simile tradizione dall'invenzione di Gutenberg, ma fortunatamente viviamo in un'età post-gutenberghiana, grazie soprattutto ai media elettronici. Il caso Rushdie ci offre la verifica e la legittimazioone di questi mezzi, ristabilendo un circuito diretto con l'oralità rivisitata, e naturalmente visualizzata. Uno degli aspetti più raccapriccianti della condanna di Rushdie, e se si vuole uno degli aspetti più farseschi della sua supposta ritrattazione, del negoziato sul delitto e sulla pena, investe precisamente l'amplificazione elettronica, e il fatto che, dell'Occidente infedele, l'integralismo islamico abbia accettato precisamente questo strumento tanto innocente, tanto neutrale e tanto diabolico. L'elettronica ha consentito al Giappone di balzare dal medioevo dei Samurai alle delizie del post-moderno; ora permette ai fanatici medio-orientali di applicare nella loro ottica la normativa coranica e di cantare le lodi di Maometto. A somiglianza del delitto Kennedy, la vicenda Rushdie fornisce un esempio singolare di tragedia o di commedia elettronica. Khomeini appare sul teleschermo in tutta la sua maestà per denunciare il blasfemo e per comminare la condanna. Il messaggio viene affidato alle telescri- venti e ai telefax che lo fanno circolare per il mondo, e successivamente duplicato da miriadi di stazioni radiofoniche e televisive, di giornali composti velocemente con le tastiere dei software. Il libro, I versi satanici, nella sua concretezza e nel suo spessore gutenberghiano, non conta più nulla, e infatti la condanna prescinde da una sua lettura accurata, o provocherà se mai una lettura di rimbalzo, a posteriori. Lo schermo televisivo, le radio, i telex, sostituiscono il luogo deputato del minareto, e la comunicazione verbale-visiva raggiunge le masse per mobilitarle, mentre gli eventuali ordini vengono trasmessi ai sicari potenziali. La taglia (uno degli aspetti più agghiaccianti dell'intera vicenda) non viene affissa come nei western sulle porte delle case o negli uffici postali, ma teleriprodotta e teletrasmessa. Rammentiamo il confronto tra Gulliver e i cavalli sapienti. Gulliver esalta orgogliosamente il progresso, e menziona come esempio convincente l'invenzione e l'uso della polvere da sparo. Se questo è il progresso, gli replicano, ne facciamo volentieri a meno, in quanto si trasforma in strumento di morte; dunque tenetecelo. La replica moderna del progresso consiste nelle meraviglie elettroniche, nella possibilità di trasformare la somministrazione di morte in programmi, anziché affidarla al boia o alle armi più cruente. Khomeini ci ha proposto la versione più autentica ed efficace di televisione verità.