n 10 [INDICE 4 ■■dei libri del ueseBI Il Libro del Mese Vogliamo le prove Adolf Grùnbaum, Ifondamenti della psicoanalisi, Il Saggiatore, Milano 1988, ed. orig. 1984, trad. dall'inglese di Silvia Stefani, con revisione di Alessandro Pagnini, pp. 394, Lit 38.000. Insieme ad altre due grandi costruzioni teoriche del nostro tempo (la fisica relativista e la meccanica quantistica), la teoria psicoanalitica ha certamente rappresentato un punto di riferimento importante per la filosofia della scienza del novecento. Sottoposta fin dalle sue prime formulazioni a valutazioni metodologi-co-epistemologiche, nella seconda metà degli anni cinquanta essa ha costituito l'argomento di un congresso filosofico i cui atti sono alla base del noto volume curato da Sydney Hook, Psychoanalysis, Scientific Me-thod and Philosophy (New York, 1959; trad.it. parziale, Psicoanalisi e metodo scientifico, Torino 1967). Tra i relatori l'unico esponente del vecchio Circolo di Vienna era Philipp Frank, ma il dibattito risenti ugualmente dell'ancor diffuso clima neopositivistico, sebbene ciò non conducesse i maggiori epistemologi intervenuti ad una uniformità di valutazioni. Se Nagel, per esempio, denunciava certe gravi insufficienze metodologiche della teoria freudiana e Scriven arrivava a parlarne come della "forma più raffinata di metafisica cui sia toccato in sorte di essere considerata una teoria scientifica", Sal-mon, un allievo di Reichenbach, ne sosteneva invece il valore empirico. Negli stessi anni del convegno organizzato da Hook, oltre a farsi manifesta la dissoluzione del movimento neoempiristico, viene ad incontrare consensi sempre più ampi l'epistemologia di Karl Popper, il quale proprio del raffronto fra teoria della relatività (falsificabile, quindi scientifica) e teoria psicoanalitica (non falsificabile, quindi pseudoscientifica) si avvaleva ripetutamente per sostenere la necessità di rimpiazzare la teoria verificazionale del significato di matrice neopositivistica con un criterio di scientificità imperniato invece sul principio di falsificazione. Altri esempi cari a Popper di costruzioni teoriche empiricamente non falsificabili, e quindi pseudoscientifiche, erano costituiti dalla psicologia individuale di Adler e dagli aggiustamenti ad hoc introdotti nella concezione marxista per salvarla dalla confutazione empirica. Ma al declino dell'empirismo logico e al crescente successo della concezione popperiana dovevano accompagnarsi anche i primi passi della "nuova filosofia della scienza", che nel giro di un quindicennio avrebbe condotto molti a giudicare del tutto superate tanto l'epistemologia neopositivista quanto il falsificazionismo con tutto il suo apparato di regole metodologiche (il cosiddetto razionalismo critico). Ed è appunto in questo clima mutato, condizionato fortemente dagli attacchi dei nuovi epistemologi ad ogni ideale normativo, astorico ed assoluto di scientificità, che fa la sua comparsa questo impegnativo libro di Adolf Grùnbaum, in cui la questione delle "credenziali scientifiche" della psicoanalisi viene affrontata sulla base di un'amplissima documentazione relativa anzitutto alle opere di, e su, Freud, ma, in secondo luogo anche ad importanti sviluppi del pensiero psicoanalitico postfreudiano. In marcata opposizione alla critica popperiana dell'induttivismo, Grùnbaum sostiene che la psicoanalisi, nell'accezione limitata di teoria clinica della personalità e della terapia psicoanalitica, è un chiaro esempio di costruzione teorica che pur essendo falsificabile (e quindi scientifica secondo i criteri proposti da Popper) non può essere tuttavia considerata "scientificamente credibile" per la mancanza a tutt'oggi di prove empiriche induttivamente soddisfacenti a suo favore. Si consideri, per esempio, l'argomento elaborato da Freud secondo il quale l'attendibilità dei dati clinici ricavabili dalle sedute analitiche e la validità delle interpretazioni e delle ipotesi psicoanalitiche sarebbero garantite dai successi terapeutici conseguiti con quel trattamento. Se si accettasse l'induttivi-smo ingenuo che costituisce il comodo bersaglio polemico di Popper, per provare il successo della terapia psicoanalitica, e con ciò la credibilità della teoria complessiva, basterebbe andare alla ricerca di casi positivi di conferma mostrando che si dà un numero sufficientemente elevato di guarigioni in pazienti trattati con il metodo freudiano. Se al posto di questo induttivismo assumiamo invece il più raffinato procedimento dell'induzione eliminatoria — quello teorizzato da Bacone e da Mill e comunemente utilizzato nelle altre branche della medicina — per provare il successo terapeutico non è sufficiente esibire casi favorevoli; è necessario per di più mostrare: (a) che di Paolo Parrini le guarigioni ottenute con il trattamento analitico non possono essere ragionevolmente o plausibilmente spiegate con fattori diversi dal trattamento analitico stesso (effetto placebo, remissione spontanea dei sintomi, ecc.); e (b) che il numero di guarigioni conseguito con tale terapia è apprezzabilmente superiore al numero di guarigioni ottenute con trattamenti basati su metodi alternativi (per esempio, la terapia comportamentale) i quali eccedano il tasso di remissione spontanea dei sintomi. Tanto il punto (a) quanto il punto (b) sono suscettibili d'indagine sperimentale mediante ricerche basate su gruppi di controllo, così come avviene in altre branche della medicina psicosomatica. Ma quando si guarda alla questione da questo punto di vista, le condizioni della teoria psicoanalitica risultano non troppo buone. Già Freud era stato costretto a ridimensionare con il tempo le pretese terapeutiche del suo trattamento; e in anni più vicini a noi numerose ricerche basate su gruppi di controllo avrebbero mostrato che, quanto a numero di guarigioni, il metodo psicoanalitico non produce risultati superiori a quelli di terapie rivali i cui esiti positivi eccedano il tasso di remissione spontanea dei sintomi. Stando così le cose, insistere sulle virtù terapeutiche della psicoanalisi sulla base dei soli casi positivi di conferma significherebbe compiere un'inferenza scientificamente tanto poco fondata come quella compiuta da chi pretendesse di asserire un legame tra il conseguimento di un certo risultato e le preghiere intese ad ottenerlo appellandosi unicamente agli ex voto, senza controllare se non si diano casi di grazia ricevuta senza preghiere o di preghiere votive rimaste inesaudite. Critiche analoghe vengono mosse anche alle principali componenti dottrinali della teoria freudiana della rimozione, in particolare alla spiegazione degli atti mancati (a proposito della quale viene ampiamente utilizzato il libro di Sebastiano Timpanaro, Il lapsus freudiano, Firenze 1974) e al nesso causale istituito fra attività onirica e desideri infantili rimossi. Tali critiche sono state accolte con molta serenità da alcuni psicoanalisti che ne hanno tratto spunto per l'elaborazione di un più rigoroso programma di ricerca. E questo il caso, per esempio, di Marshall Edelson, la cui risposta alla 'sfida' di Griinbaum è già stata tradotta in italiano (Ipotesi e prova in psicoanalisi, Roma 1986). Ma nella discussione — documentata, tra l'altro, dal recente volume Psicoanalisi: obiezioni e risposte, Roma 1988 — non è mancato chi, meno sensibile di Freud al non trascurabile problema della convalida empirica, ha cercato di screditare le argomentazioni grùnbaumiane definendole il frutto di un'indagine astrattamente epistemologica, condotta da uno studioso certamente allenato a trattare i sottili problemi della filosofia dello spazio e del tempo e della struttura logica del controllo empirico, ma del tutto privo di una concreta esperienza di analisi. A ben guardare, però, questa difesa non appare molto convincente. In primo luogo perché una delle caratteristiche più significative del libro è proprio il sistematico intrecciarsi di considerazioni strettamente metodologiche e di risultati di ricerche scientifiche specialistiche come quelle abbastanza famose di Eysenck e Wilson. In secondo luogo, perché le obiezioni di Grùnbaum non intendono negare il valore euristico del lavoro psicoanalitico, ossia la sua fecondità per l'elaborazione di importanti ipotesi cliniche, genetiche e terapeutiche. Esse riguardano soltanto la convalida oggettiva delle ipotesi così formulate. Accettare una simile difesa sarebbe quindi come sostenere che solo se Francis Galton si fosse personalmente impegnato nelle pratiche votive, i teologi sarebbero stati tenuti a prendere in seria considerazione i dubbi statistici da lui sollevati sull'efficacia di tali pratiche. "Se la mia critica è scorretta — dice Grùnbaum — coloro che... hanno 'esperienza nell'usare il metodo' dovrebbero essere capaci di screditarla in modo diverso che nell'indicare la mia mancanza di esperienza in esso". Ma per intendere a pieno il senso e la portata di questa critica è indispensabile avere ben presente il valore che l'autore attribuisce al canone metodologico dell'induzione eliminatoria da lui adottato. Questa non viene assunta come un criterio assoluto e metastorico di scientificità (ciò che esporrebbe tutta l'opera a obiezioni epistemologiche non facilmente aggirabili), bensì come una limpida codificazione delle regole fatte proprie dallo stesso Freud, che Grùnbaum giudica un metodologo più serio di molti suoi seguaci e successori. Così la sua valutazione della psicoanalisi non procede sulla base di un aprioristico "purismo metodologico", ma dà per presupposte soltanto le norme di razionalità scientifica immanenti a quella teoria stessa ed evita volutamente ogni presa di posizione sulla non facile questione epistemologica se tali norme possano essere considerate "«'/criterio di demarcazione fra scienza e non scienza". Ci troviamo così di fronte al fatto, a prima vista singolare, che in un'opera di tipo filosofico-fondazionale sulla psicoanalisi è sistematicamente presente — come ho già accennato — il rinvio a ricerche scientifiche specialistiche, mentre risulta praticamente assente la componente epistemologica generale. Beninteso: non che manchi ogni discussione di tipo filosofico - epistemologico; il punto è che la forma di maggior generalità che questa assume non è quella di una difesa delle norme freudiane di razionalità scientifica, ma di una critica impietosa (cui è dedicata tutta la lunga parte introduttiva) della concezione ermeneutica della teoria e della terapia psicoanalitiche così come questa è stata elaborata soprattutto da Habermas e da Ricoeur nel tentativo di farne il prototipo delle scienze dello spirito. Infatti, per mostrare la consonanza fra l'induzione eliminatoria e le idee metodologiche dello stesso Freud, Grùnbaum si preoccupa di documentare come » Dopo Griinbaum di Alessandro Pagnini Adolf Griinbaum, nato a Colonia nel 1923, emigra negli Stati Uniti nel '38 ed è naturalizzato americano nel '44. La sua formazione è rigorosamente scientifica. Consegue il dottorato in filosofia a Yale nel '50 dopo la laurea in fisica e tratta temi ispirati alla cosiddetta "filosofìa scientifica" del neo-empirismo logico (fra i filosofi a lui più vicini, idealmente e materialmente, vanno ricordati Reichenbach e Hempel). Una prima fase della sua intensa attività di ricerca culmina con la seconda edizione del monumentale "libro cubico" sui Problemi filosofici dello spazio e del tempo (1973) che, insieme ad altri suoi lavori, diverrà da allora un punto di riferimento imprescindibile per chiunque si cimenterà nel campo della filosofia della fisica post-einsteiniana. Negli anni '70, Griinbaum darà contribu- ti importanti sul tema della razionalità scientifica, del controllo empirico e soprattutto della falsificabilità delle teorie (in aperta polemica con Popper). Sin dagli inizi della sua carriera, comunque, sono stati anche altri i temi su cui Griinbaum è intervenuto in maniera rilevante: come per esempio, determinismo e lìbero arbitrio, o scienza e trascendenza ecc. Da più di dieci anni si dedica ad uno studio capillare e assiduo del problema dello statuto conoscitivo delle teorie psicoanalitiche. Il libro dell'84, di cui II Saggiatore propone oggi la traduzione italiana, è preceduto da numerosi saggi (anche di filosofia della medicina e della psichiatria, come quelli davvero notevoli su una ridefinizione del concetto di placebo) ed è ora seguito da una intensa produzione orientata ad approfondirne alcuni punti, a rispondere alle critiche, a esaminare ulteriori aspetti dell'opera di Freud. Un esempio della prosecuzione del lavoro di Griinbaum sulla psicoanalisi è dato dal libro curato in traduzione italiana da Marcello Pera per Armando e intitolato Psicoanalisi. Obiezioni e risposte. Per i suoi riconosciuti contributi in materia, Grùnbaum è oggi, oltreché Andrew Mellon Professor di Filosofia, anche Research Professor di Psichiatria presso l'Università di Pittsburgh. L'attenzione dedicata alla psicoanalisi da un filosofo dì tale notorietà non poteva non avere un'ampia risonanza, sia nel mondo psichiatrico e psicoanalitico, sia in quello filosofico. La mag-giorparte degli interventi, anche critici, su Grùnbaum è prodiga di riconoscimenti. Ma se c'è chi, come Eysenck, parla de I fondamenti della psicoanalisi come di un"'opera definitiva in materia", altri ne mettono in questione alcuni Tullio Pericoli: Sigmund Freud