wS&M N. 10 pag. 18 ne Christian-Marc Bosséno Christophe Dhoyen Michel Vovelle IMMAGINI DELLA LIBERTÀ L'Italia in rivoluzione (1789-1799) Con 400 illustrazioni Lire 70.000 Sergio Staino BOBO. LE STORIE prefazione di Ettore Scola Lire 25.000 Giovanni Berlinguer LE MIE PULCI Lire 16.500 AMAZZONIA Mito e letteratura del mondo perduto a cura di Silvano Peloso Lire 30.000 Editori Riuniti ZlJ Intervista La grazia di due occhi blu Toni Morrison risponde a Mario Materassi Toni Morrison è nata il 18 febbraio 1931 a Lorain, nei pressi di Cleveland, Ohio. Il suo primo romanzo, The Bluest Eye, fu pubblicato nel 1970. Seguirono poi Sula (1973), Song of Solomon (1977), Tar Baby (1981), e Beloved (1987; Amatissima, 1988). Beloved ha vinto il Premio Pulitzer per il 1988. neri in questo paese, e perché. Allo stesso tempo, però, andava a alimentare qualcosa che esiste in occidente — che esiste, punto e basta, ma che certamente esiste in questo paese; qualcosa che ha a che vedere con la bellezza fisica. Alimentava l'aspetto più superficiale di una serie di valori accettati. Non sapevo che cosa inten- che non avessimo ancora compiuto nove anni. Eravamo nel bel mezzo di una precoce discussione di carattere 'teologico' — stavamo discutendo dell'esistenza di dio. Io dicevo, sì, Egli esiste; e lei diceva, no, non c'è nessun dio. Le domandai: Perché no? Perché la pensava cosi, perché ne era tanto convinta? E lei mi spiegò Una questione di fiducia Toni Morrison, Amatissima, Frassinella Milano 1988, ed. orig. 1987, trad. dall'inglese di Giuseppe Natale, pp. 398, Lit 21.500. Partiamo, se pur dubitativamente, da Pavese (che per l'appunto stava parlando di Richard Wright): è proprio vero che sono finiti i tempi in cui scoprivamo la letteratura (afro)americana? Nei quaranta e più anni da quando, nel '47, arrivò in Italia Ragazzo negro, abbiamo scoperto Ralph Ellison, poi James Baldwin e, a dosi massicce, il contesto: il movimento per i diritti civili, King e le Pantere nere, i sanguinosi rigurgiti del razzismo sudista e i grandi nomi della rivolta nera — Malfom X, Rap Brown, Stokely Carmichael. Abbiamo ascoltato qualche rara voce che la rivolta diceva per via metaforica (John A. Williams) e le molte che ne facevano un business (Sam Greenlee, Nathan C. Heard). Quindi, sulla scia del riflusso politico, vari anni di silenzio, nell'attesa di qualche voce che a quel silenzio desse un senso. Pavese, che della letteratura (afro)americana era stato il nostro Cristoforo Colombo, aveva le sue ragioni per dichiarare finita la festa, e per mandare tutti a casa. Ma la festa continua. Son finiti, questo sì, i tempi in cui la condizione dell'afroamericano veniva detta solo con la rozzezza dell'ultimo Baldwin o della Nicki Giovanni di sempre. Ora, dopo che tanto è stato detto e tanto poco capito, il nero che scrive si misura finalmente con la scrittura: segue l'esempio, a lungo censurato, dì Ellison e mira a incidere sulla storia attraverso la via più ardua — quella dell'arte. E l'arte, mito o non mito, è sempre scoperta. Di arte, Toni Morrison ne ha da vendere. Amatissima è Usuo quinto romanzo, e ha vinto meritatamente il Pulitzer: questo romanzo storico anomalo, questo Via col vento dalla parte dei neri. È la storia di Sethe, una schiava fuggita verso la libertà, superstite con la figlia Denver delle più terribili atrocità — l'estrema delle quali, la sua uccisione della bambina maggiore, Amata, quando era stata sul punto di essere rìcatturata coi quattro figli. Solo Amata ella aveva fatto in tempo a "salvare". E vent'anni dopo la vita che Sethe ha saputo ricrearsi viene sconvolta dal ritomo di Amata, che sorge dal mondo delle ombre a reclamare l'amore negatole. Il folklore nero è ricco, tramite la non del tutto perduta tradizione africana, di dimensioni sovrannaturali che con quella "reale" s'intrecciano a non finire. La Morrison s'innesta su tale sostrato con maestria e con una grande carica poetica; e il materializzarsi di Amata si attua con la felice complicità del lettore, il quale, per dirla con Wordsworth, è più che pronto a sospendere l'incredulità: l'incredulità ontologica, e l'incredulità davanti alla serenità con cui questo evento impossibile viene accettato da Sethe, da Denver, da Paul D. Il soprannaturale s'inserisce dunque nel "naturale" senza drammi conoscitivi, senza impazienze nel nome della probabilità: né dentro, né fuori del testo. Che è anche un modo — indiretto, come sì conviene al grande scrittore — di suggerire che i traumi, le ribellioni, l'incredulità, andrebbero se mai orientate verso un'altra dimensione, che è invece del tutto "verosimile": la crudeltà dell'uomo — del bianco — verso i propri simili. Un grande tour de force, quindi. Ma anche un romanzo animato da una partecipe, calda compassione; un romanzo che dice l'atrocità, senza peraltro fame un alibi alla perdita di umanità. C'è orrore, in Amatissima, eppure non meschinità, non piccolezza. Il che era vero anche D. Signora Morrison, prima di venire ad Amatissima, vorrei chiederle di parlare del suo primo romanzo, The Bluest Eye. R. Credo che stessi reagendo a una qualche ambivalenza, una qualche confusione, una qualche sorta di futura nostalgia — una nostalgia a venire — diffusa in questo paese durante quello straordinario periodo conosciuto come gli anni Sessanta, all'epoca del movimento per i diritti civili. C'erano tanti aspetti splendidi, e ardenti, in quel movimento; ma c'era anche stato un grande deterioramento, una sorta di commercializzazione pubblicitaria, e tanti sproloqui. E se pure va riconosciuto che un simile fenomeno non può non accompagnare qualsiasi movimento, dentro di me ero molto turbata per i possibili sviluppi a cui avrebbe potuto portare. Fra i tanti slogans ve ne era uno che era dappertutto, "Nero è bello". Da un lato io pensavo, sì, questa probabilmente è una cosa importante da dire, considerato come sono trattati i dessero dire, con quello slogan — so che sentivo che non intendevano però salute, o armonia, o una vita spirituale complessa e benevola, oppure grazia, o coraggio, o nessuna di queste cose. Intendevano qualcosa di molto superficiale. E siccome in questo paese la corruzione accompagna tutto quanto riguarda la bellezza e le sue manifestazioni — l'idea stessa di bellezza è talmente esposta alla Corruzione, e talmente corrompente — io ne ero turbata. Comunque, pensavo, ammettiamo che sia vero, e che da un giorno all'altro tutti dicano, sì, avete ragione! Bè, pensavo, allora nessuno ricorderà più come era prima. Compera in realtà. D. Vuol dire, quando uno era "brutto". R. Appunto. Dato che il sentirsi brutti a causa del colore della pelle non aveva niente a che fare con la vera bellezza. Così, penso, mi tornò in mente un episodio di quando ero bambina, mentre stavo camminando per la strada con una mia amica — credo che ne aveva la prova, e la prova era che per due anni nelle sue preghiere, ogni sera — ogni sera! — aveva chiesto degli occhi blu. E non li aveva ricevuti. Ero un po' confusa, ma ricordo che anche allora mi girai a guardarla, e accaddero due cose: una, la immaginai con gli occhi blu — e provai ripugnanza per l'aspetto che avrebbe avuto; e due (che fu poi una sensazione legata alla prima) quanto assolutamente bella, bella da levare il fiato, fosse lei in realtà. Era una bambina nera, con quella sorta di splendida pelle nera scura che ha come una luce dal di dentro: sembra proprio che sia illuminata da dentro. E oVvio che lei non lo sapeva — né, è ovvio, lo sapevo io, perché quella fu probabilmente la prima volta che mi accadde di pensare a come una persona bella sarebbe apparsa 'incorniciata', con una cornice intorno. Prima di allora, per me, la bellezza era, che so, il vestito nuovo di mia madre, e quando aveva un bell'aspetto e quando no — cose del genere. Per cui non ero in grado di mettere in dubbio i suoi 'dati'. Ma quello che pensai fu: due anni! Io, che non avevo mai fatto niente per più di tre giorni consecutivi — immaginarsi qualcuno che avesse itanta costanza! Da adulta, quando ero sui tren-t'anni o poco prima, negli anni sessanta, questa storia mi tornò in mente. E fu in risposta agli slogans di quel periodo che riflettei su quell'episodio, e cominciai a costruire su di esso quello che ai miei occhi era una analisi di ciò che può accadere a una persona la quale abbia assorbito dall'esterno valori quali la bellezza, la bontà e così via, se essa non ha risolse all'interno della comunità o della famiglia. Non era una storia felice, e venni molto criticata per aver fatto, come dissero alcuni critici neri, della letteratura "perniciosa", nel senso che non aveva alcun messaggio edificante, non aveva alcun messaggio, non aveva risposte. Se ne avesse avute, non mi avrebbe interessata! Perché non m'interessa scrivere a quel modo. Eravamo però in un'epoca in cui la gente voleva veramente che ogni forma d'arte fosse un trattato politico. Ed io lo sono, una persona politica — ma ritengo non sia necessario rinunciare alla squisita bellezza per soddisfare delle necessità politiche, così come non è necessario rinunciare alla propria sensibilità politica per soddisfare delle esigenze estetiche. A mio avviso la cosa difficile da fare, la cosa che valeva la pena fare, era scrivere in maniera che queste due dimensioni dipendessero l'una dall'altra, e fosse veramente impossibile separarle. Se scrivevo davvero bene (e ognuno dei miei libri era per me una nuova occasione per far meglio, stavolta), la vita, il sottotesto del libro — la ragione per la quale il lettore legge il libro una seconda volta — non dipendeva da ciò che c'era al livello di superficie, bensì; come sempre, da quanto non veniva mai detto ma era invece sempre o sottinteso oppure supplito dal lettore; e stava a te trovare i modi per cui il lettore si portasse dietro queste informazioni. È una forma di sabotaggio. Una forma di seduzione. È quasi, in un certo senso, come essere un agente provocatore. Perché la seduzione deve essere, messa in atto nella maniera giusta: ci si deve fidare di quella voce. Allora ciò che si impara, o si avvèrte, è efficace perché è nostro. Siamo noi che lb creiamo. Per quanto mi riguarda odio i libri che puntano, continuamente il dito e ti dicono quello che devi pensare. Mi dà molto fastidio, anche se poi i libri devo finirli per forza, e me ne sto lì seduta che mi ammazzo e dico; no, non posso, non lo finisco, lo butto via, non lo leggo più! E il gioco di tutti i livelli, capisce: la comunicazione, diciamo, fra i più ovvi di questi livelli — il lettore e la trama, là dove il libro parla al lettore. C'è poi un altro livello, dove il narratore parla al lettore, e si osserva la mente del narratore. Quindi un altro livello ancora, su cui è il testo stesso che comunica al lettore, senza l'intervento del narratore. Può esserci infine un quarto livello, che è qualcosa che soltanto il lettore può fare: è lui che lo fa. Ed è a quel punto che il libro diventa suo. D. Quando il testo entra in sintonia con la vita interiore del lettore. R. Appunto. Ed è allora che la gente comincia a impossessarsi di un libro. E allora che io m'impossesso di .un libro. Una volta, mentre stavo firmando alcuni miei libri in mezzo a tanta gente, arrivò una ragazzina. Si teneva la sua copia di Amatissima stretta contro il petto, e mi disse quanto le era piaciuto. Io allora presi la penna, feci per prenderle il libro — e lei disse, no, no, no! Non voglio che nessuno scriva sul mio libro!