N. 1 pag. 12 | L'Irlanda in superficie e in profondità dì Gino Scatasta Richard Ellmann, Quattro dubline- si, Leonardo, Milano 1989, ed. orig. 1982, 1984, 1985, 1986, trad. dal- l'inglese di Massimo Bacigalupo, pp. 122, Lit 24.000. William B. Yeats, I cigni selvatici a Coole, a cura di Antony L. Johnson, Rizzoli, Milano 1989, ed. orig. 1919, trad. dall'inglese di A. Marianni, pp. 297, Lit 10.000. Negli ultimi mesi sono apparsi in libreria diversi libri che riguardano tutti, in modo più o meno diretto, l'Irlanda: le ristampe di Diario d'Ir- landa di H. Boll da Mondadori e di Fiabe Irlandesi di Yeats da Einaudi; Quattro dublinesi di Richard Ell- mann presso Leonardo, Raftery il cie- co e la sua sposa Hilaria di Brian O. Dunn Byrne presso Sellerio, e di W. B. Yeats I cigni selvatici a Coole pres- so Rizzoli, Anima Mundi e Drammi Celtici presso Guanda. Si annuncia anche l'uscita presso Mondadori di un volume di poesie di Searnus Hea- ney, uno dei maggiori poeti irlandesi contemporanei. Non si tratta di un episodio spora- dico e neanche di una riscoperta, quanto piuttosto dell'espressione at- tuale di un interesse verso l'Irlanda che in Italia è sempre stato presente anche se in modo parziale o sotterra- neo. Di fronte all'Irlanda, però, il lettore ed a volte anche il critico e perfino gli stessi scrittori sembrano colti da una sorta di sentimentale ar- rendevolezza o si pongono domande evidentemente prive di risposta (e poco sensate), quali la ricerca dello 'specifico' della letteratura irlandese o i legami esistenti fra quattro artisti nati a Dublino, come fa Ellmann in Quattro dublinesi. Per l'Europa e per gli Stati Uniti l'Irlanda è quasi un luogo della mente o, per parafrasare Yeats, un luogo che viene visto con l'occhio della mente, ma spesso at- traverso una immaginazione deviata da stereotipi, viziata da pregiudizi di cui è responsabile soprattutto l'indu- stria turistica ma anche quella cultu- rale. All'inizio del suo diario irlande- se, Boll scrive che la sua "Irlanda esi- ste: ma chi ci va e non la trova non può chiedere risarcimenti all'auto- re". Boll non tralascia le realtà irlan- desi più tristi (la povertà, l'emigra- zione, ma anche il clima deprimente) e dunque la sua Irlanda non è affatto un paese idilliaco, anzi è ben lontana dah'Emerald Isle delle agenzie turi- stiche; la sua epigrafe può essere quindi letta anche come invito al tu- rista perché invece dell'Irlanda che si aspetta ne cerchi un'altra, molto più vera e amara e bella. L'Irlanda si riempie invece ogni anno di america- ni in cerca delle proprie false origini che acquistano indifferentemente spille a forma di trifoglio e magliette dell'Ira, o di turisti che si commuo- vono davanti a paesaggi verdi, ca- panne dal tetto di paglia, ubriaconi rissosi e pinte di birra scura che sem- brano usciti da Un uomo tranquillo CTbe Quiet Man). Il film di Ford del 1952 è infatti ambientato in un mondo tanto im- maginario quanto quello delle ope- rette e dei suoi reami mitteleuropei sperduti fra le foreste, ed è esempla- re per esplicare il paradosso wildiano di come la vita finisca con l'imitare l'arte: come la nebbia londinese esi- steva anche prima degli impressioni- sti ma nessuno l'aveva notata, così le case dal tetto di paglia c'erano ma non erano pittoresche e nessuno si sarebbe sognato di ammirarle. La fal- sità del film di Ford non è affatto messa in discussione dal fatto che il film fu girato in luoghi reali, anzi es- so risulta completamente falso pro- prio perché in parte vero, mentre al contrario un film precedente dello stesso regista; Il Traditore (The Infor- mer) del 1935, pur ricostruendo in studio le strade di Dublino, risulta autentico e realistico come pochi al- tri. Altrettanto esemplare è una rac- colta di scritti di autori irlandesi sul- l'amore, Some Irish Loving, curata da Edna O'Brien (di cui è uscito di re- cente in italiano un romanzo, Ragaz- ze di campagna, edito da Feltrinelli), libro apprezzabile più di quanto si possa supporre a prima vista, che vie- ad occuparsi attivamente del foklore irlandese e decise che tutte le sue poesie da quel momento avrebbero avuto come sfondo il proprio paese, Yeats divenne l'elemento di maggior spicco di quella rinascita celtica che, come ogni movimento in cerca di una propria tradizione, agì per sottrazio- ne e per esclusione, scegliendo della tradizione irlandese gli elementi ad essa più consoni. La storia poetica, personale e politica di Yeats (ed i tre aspetti vanno spesso di pari passo) è La raccolta che appare oggi in ita- liano, curata e commentata con estrema attenzione da Anthony Johnson e tradotta da Ariodante Ma- rianni, è I cigni selvatici a Coole del 1919 e segue di qualche anno l'edi- zione italiana di un'altra opera yeat- siana, firmata dagli stessi curatori, La torre del 1928. Ini cigni selvatici a Coole Dublino è già per Yeats "una città becera' ' ma la sua poesia è desti- nata a "un uomo mai visto", un pe- scatore irlandese che sia insieme no- ne pubblicato dalla Penguin in una confezione sfrenatamente Kitsch, con una fanciulla dai capelli rossi (ov- viamente) e dagli occhi verde smeral- do (ovviamente) in copertina, ed una grafica in cui si contano trifogli e quadrifogli a dismisura. La colpa, co- me si diceva, è in parte di un'indu- stria turistica che presenta l'Irlanda nel suo aspetto più stereotipo, in par- te di un'industria culturale che ha privilegiato, di una tradizione lette- raria antica e multiforme, gli aspetti più facili e commerciali. Le raccolte di fiabe di Yeats (Einaudi) o di Ste- phens (Rizzoli), o le narrazioni miti- che raccolte da Lady Gregory (Stu- dio Tesi) sono ad altissimo livello, ma vanno integrate con la lettura dei testi di Flann O'Brien, ed in partico- lare di La miseria in bocca, (Feltrinel- li, Milano 1987) per avere una visio- ne più completa della letteratura e della realtà irlandese. E forse Yeats, in qualche modo, un indiretto responsabile di questa situazione. Quando, alla fine degli anni ottanta del secolo scorso, iniziò in realtà quella di una lotta e di un'insoddisfazione continua, di un ripensamento delle proprie posizioni e della propria poetica cercando di raggiungere, in vita come in poesia, "il freddo e la passione dell'alba" o "la sregolatezza e l'ignoranza del- l'aurora". Anche rispetto all'Irlan- da, Yeats passò dall'entusiasmo per il suo ruolo di poeta irlandese, sotto l'influsso del vecchio patriota John O'Leary (To Ireland in the Corning Ti- mes o la patriottica opera teatrale Cathleenni, Hoolihan), alla disillusio- ne espressa in September 1913 ("Per questo tanto sangue fu versato? / Per questo Edward Fitzgerald / E Robert Emmet e Wolfe Tone morirono / E tutto quel delirio degli eroi? L'Irlan- da romantica è morta e scomparsa / E con O'Leary nella tomba"), alla con- sapevolezza tragica della sua condi- zione di irlandese e del suq distacco dalla società che lo circondava, lon- tana dai suoi ideali, riaffermata in poesie degli ultimi anni quali I am of Ireland, Famell's Funeral e The Sta- tues. bile e plebeo (The Fisherman), incar- nazione di quell'unione culturale di popolo e aristocrazia in funzione an- tiborghese sognata da Yeats e defini- ta da lui in seguito "sogno del nobile e del mendicante". I cigni selvatici a Coole contiene alcune poesie d'amo- re fra le più belle di Yeats, oltre alle prime composizioni in versi che ri- mandano direttamente al sistema fi- losofico che il poeta stava elaboran- do in quegli anni e che sarà esposta in seguito nelle due versioni di A Vi- sion. Colpisce in questa raccolta la forza di Yeats, la sua complessità che si scioglie in semplicità estrema e la sua semplicità che si rivela incredi- bilmente complessa, la risonanza e l'intensità dei suoi versi che attraver- sano piani differenti di senso senza perdere niente nel passaggio. Yeats è un poeta che non chiede consenso ma contrasto come un avversario d'altri tempi, si può non essere d'accordo con lui (e spesso così avviene) ma si rispetta la sua posizione e il suo at- teggiamento, la sua sincerità e la sua onestà intellettuale. Degli ultimi anni della vita di Yeats si occupa Richard Ellmann in un capitolo di Quattro dublinesi, rac- colta e rielaborazione di quattro con- ferenze su Wilde, Yeats, Joyce e Bec- kett tenute dall'autore negli anni im- mediatamente precedenti alla sua morte, avvenuta nel maggio 1967. Ellmann è stato autore di preziosi saggi critici su Joyce e Yeats (Ulysses on the Liffey, The Consciousness of Joyce e The Identity of Yeats) ma è no- to soprattutto per le sue biografie di Joyce, Yeats e Wilde, quest'ultima uscita dopo la sua morte. E bene dire subito che questo libro di Ellmann non convince fino in fondo: su di es- so hanno avanzato giustamente delle riserve Rosita Copioli, che su "Mer- curio" ha sottolineato come il reali- smo nella tarda poesia di Yeats non si può certo far derivare dall'operazio- ne per ringiovanire a cui il poeta si sottopose, e Guido Fink che (sul "Messaggero") invece parla delle forzature a cui Ellmann va incontro quando cerca di sottolineare i rap- porti fra i suoi quattro dublinesi; lo stesso Ellmann del resto afferma che il suo "è un quartetto improbabile". Di queste superficialità critiche ce ne sono diverse, come ad esempio quella a proposito dei figli illegitti- mi del padre di Wilde: "Oscar Wil- de conosceva i suoi fratellastri, il che può spiegare i molti trovatelli e le nascite misteriose dei suoi scritti" (p. 11). L'errore di Ellmann, e il pun- to debole del suo libro, sta probabil- mente nell'aver riportato delle con- ferenze in forma scritta, e dunque nel passaggio dall'oralità alla scrittu- ra. Il suo metodo, che procede spesso per interessanti suggestioni più che per stretti nessi logici, è adattissimo allo stile orale, ma in forma scritta fi- nisce col perdere la sua levità, così come un pettegolezzo comunicato a voce può essere divertente e sottile ma scritto su carta diventa inevita- bilmente greve. C'è inoltre un pro- blema, per così dire, etico che è an- che estetico. Una poco conosciuta biografia italiana di Wilde pubblica- ta da C.M. Franzero alla fine degli anni Cinquanta, non parlava di omo- sessuali ma di "epiceni" e racconta- va di un appassionato bacio fra Pater e Wilde sotto una grande quercia. Non era scientificamente rigorosa ma sarebbe certamente piaciuta a Wilde. Ellmann invece sa troppe co- se e a volte esagera. Negli ultimi cin- que anni di vita Yeats divenne impo- tente e la moglie gli disse: "Quando sarai morto la gente parlerà dei tuoi amori, ma io non dirò nulla, ricor- dando come eri orgoglioso"; Ell- mann non ha il (buon?) gusto di fare altrettanto. Di Joyce si rivelano ine- dite avventure amorose e insolite preferenze in campo sessuale, ma co- me dice Rosita Copioli a proposito delle pagine su Wilde "con tutto ciò la nostra comprensione [...] non au- menta". Ellmann non ci aiuta proba- bilmente a capire ma ci avvicina co- munque ai suoi dublinesi e quando non cede alla tentazione di tracciare paralleli o di scendere ad affrettate conclusioni, il suo libro è affascinan- te: direi intrigante, se questa non fosse una parola odiosa. Ma il vizio di tracciare spericolati legami perma- ne come un pericolo sospeso, e si sa, i rischi insiti nel collegare troppo e male sono tanti, come insegna Eco nel Pendolo.