volontà degli autori cristiani di integrare le divinità del passato in un sistema di pensiero ortodosso. Ma contaminazione, si precisa, favorita da strutture mentali sensibili alle suggestioni di culture che mescolavano le cose umane e le sovrannaturali, e che 'coagulavano e prendevano corpo nel secolo XII, quando il folklore irrompeva nella letteratura scritta. Perché, annota l'autrice, per determinare "la creazione nella letteratura medievale di una nuova figura immaginaria in cui si sovrappongono i tratti delle antiche Parche e delle amorose soprannaturali dei racconti meravigliosi", sarebbe stato necessario un incontro tra cultura dotta e cultura popolare. Le fate dunque, benevole e temibili a un tempo, distribuivano la loro esistenza fra al di là e mondo terreno. Disponibili alle improvvise passioni degli uomini prescelti, erano portatrici di quadruplice felicità: amore che invadeva i cuori e tutto avvolgeva, denaro, potere e nascita di bella figliolanza. Fragile felicità, comunque, che avrebbe finito col rivelare le prime incrinature destinate ad allargarsi in paurose crepe e a dissolversi del tutto. Con la irreversibile scomparsa della fata, e di ogni prosperità legata alla concretezza della sua presenza, finiva ogni rapporto di coppia, ma dell'unione sopravviveva talvolta la prole e la sua discendenza dava origine a quei casati illustri "che si attribuivano per antenato un essere fantastico". E ovvio che ci si trova nel regno del meraviglioso. La via che portava alla foresta lungo la quale si incamminava il nobile di Langres, la sorgente dove Elinas re di Scozia incontrava la bella sconosciuta, le roccaforti, le città e le abitazioni costruite fra le montagne di Forez e le rive del Rodano dalla dama della fontana che aveva sposato Hervy de Léon, i castelli sorti come per incanto ad opera di maestri fatti venire da luoghi misteriosi, le partite di caccia, i fiumi e ancora le foreste come confine impreciso fra mondo reale e mondo immaginario, sono tutti motivi fiabeschi. Che recuperavano però concretezza nelle condizioni materiali, nelle tonalità economiche e politiche di un ambiente e nelle ambizioni sociali intorno alle quali quei motivi fiabeschi trovavano giustificazione narrativa e storica. A questo incontro fra reale e immaginario riconduce per esempio Goffredo d'Auxerre quando narra che, nel tempo in cui egli scriveva, "numerosi nobili e potenti signori" della diocesi di Langres avevano come antenata una fata. E soprattutto Jean d'Arras e Coudrette, che facevano di Melusina la prestigiosa antenata soprannaturale dei Lusignano, vassalli dei conti di Poitiers che avevano offuscato i loro potenti signori. I riferimenti suggeriscono un nesso profondo fra storia e letteratura, fra moti dell'anima come espressione della propria cultura e concreta coscienza del corpo e del vissuto quotidiano. I miti infatti, scriveva nel 1968 Georges Dumézil, "non si lasciano comprendere se vengono scissi dalla vita degli uomini che li raccontano. Quantunque chiamati presto o tardi a una carriera letteraria propria, essi non sono delle invenzioni drammatiche o liriche gratuite, senza rapporto con l'organizzazione sociale o politica, con il rituale, la legge o la consuetudine; il loro ruolo è al contrario di giustificare tutto ciò, di esprimere in immagini le grandi idee che lo organizzano e lo sostengono". Tipi di santi di Sofia Boesch Gajano André Vauchez, La santità nel Medioevo, Il Mulino, Bologna 1989, ed. orig. 1981, trad. dal francese di Alfonso Prandi, pp. 681, Lit 60.000. Esce finalmente in traduzione italiana la thèse di André Vauchez, divenuta fin dal momento della sua pubblicazione un classico: intendendo con questo un'opera costruita su materiale molto ampio, strutturata in modo sistematico, ricca di discussioni metodologiche (relative alle ca — e nelle note, ridotte all'essenziale (in compenso troviamo un aggiornamento bibliografico, utilissimo dato il recente boom degli studi agiografici). Spiegabile con motivi editoriali, ma meno opportuno, il mutamento del titolo, ora generico e dunque forzatamente impreciso, in confronto a quello originale, La sain-tété en Occident aux demiers siècles du Moyen Age, d'après les procès de cano-nisation et les documents hagiographi-ques, che aveva il merito di corri- terni, dal cui seno provengono in maniera consistente i testi chiamati a deporre". I processi di canonizzazione sono dunque la fonte privilegiata — che non esclude evidentemente il ricorso ad altre testimonianze agiografiche, come le Vite, le Passioni, le raccolte di miracoli — e potremmo dire davvero recuperata alla storia: nel senso che ne viene studiata l'origine e l'evoluzione tra la fine del secolo XII e l'inizio del XV, nelle sue connessioni teressante di Laurence Harf-Lancner consiste nell'aver riconosciuto, definito ed analizzato tra le fate medioevali due tipi ben distinti: la melusina e la morgana. Queste fate compaiono in due serie di novelle, racconti, romanzi e poemi molti dei quali sono annoverati tra i fiori della letteratura cortese medioevale. In un caso, un essere sovrannaturale — per lo più una donna — incontra un essere umano mortale, di solito un uomo, e per lo più un cavaliere, quasi sempre in una foresta accanto ad un torrente o ad una sorgente, lo segue nel mondo degli uomini e lo sposa imponendogli di rispettare un divieto. Assicura la fortuna dello sposo mortale dissodando foreste, costruendo castelli e città, dandogli numerosi figli, spesso segnati da una tara fisica (ciechi, zoppi, gobbi, o con un dente di un colore o di una lunghezza eccezionali). Lo sposo viola il divieto, scopre che la moglie assume le sembianze di un pesce, di un serpente o di un drago, che è una creatura demoniaca. A questo punto l'essere sovrannaturale sparisce, prende il volo e toma nell'altro mondo lasciando al suo sposo terrestre i frutti della sua creatività e della sua fertilità. E una Melusina, quel tipo di fata che Emmanuel Le Roy Ladurie ed io abbiamo chiamato "materna e feconda", la fata della visione ottimistica della feudalità. Nell'altro caso, un essere sovrannaturale, in genere una donna, incontra nelle stesse condizioni di prima un essere umano, per lo più un uomo, ma questa volta lo trascina nel proprio mondo, in un mondo sotterraneo od acquatico. In quest'ultimo caso, si tratta della Donna del Lago. Il mortale ottiene il permesso di ritornare sulle sue terre tra i suoi, sempre a condizione che rispetti un divieto. La trasgressione del tabù comporta, in questo caso, la morte dell'eroe o la sua definitiva scomparsa nell'altro mondo, e la sua unione con la fata che è rimasta sterile. Questa fata è Morga o Morgana, l'aspetto pessimista della féerie feudale. Laurence Harf-Lancner esplora con fortuna le ricche varianti di questo immaginario fatato medioevale, in particolare del personaggio di Morgana, donna fatale, incantatrice illusionista. Ciò che conferisce maggior spessore a questa stupefacente storia è il presentimento che la storia delle fate sia anche un capitolo della storia delle immagini della donna nel Medio Evo ed un contributo al ricorso alla psicoanalisi, in una storia eminentemente interdisciplinare. Il grande poeta romantico Gerard de Nerval aveva intuito che le fate e le sante, imparentate ma allo stesso tempo lontane, si situavano ai due estremi del concetto di femminilità medioevale, riunendole in questo bel verso malinconico: "Les soupirs de la sainte et les cris de la fée". (trad. dal francese di Daniela Formento) yjflc (Z). LùC,m.cùh:.,rf,, M - ZOimrtfitjmi&iJtmiab.Gl h rSw (1 /i ilaj/iummi/Jri,,^,,/,, Gii (rulliti)/ me ti r. rA. 1ne iti», f.jjf^ita/Ul-p .t .vf./ ...... ^«m/fpttUrJjull^t^/^t.i.f,^//,, .jfitmt.J/L-jr.ltmih VrtlLvIUnmifmXpnrlJitonlGmhi, inf,uiUK»K>/»»«• C. (yh.tft —'- air .•> J ■lumhùu. rij/ifriluit/ip/, Mai fflOLulm,) '".rjvrt 'h.rtrj, mUfkS., ffetìK, fonti utilizzate e ai criteri di analisi) e storiografiche (in merito ad alcuni dei campi più battuti dalle ricerche di storia religiosa degli ultimi decenni), fornita infine di una solida ipotesi interpretativa. Per questo l'opera, punto di arrivo di ricerche pluriennali, è divenuta subito a sua volta punto di partenza di una serie di nuove ricerche e riferimento obbligato per tutti coloro che si occupano di santità, culti e devozioni nell'Europa cristiana, dal Medioevo fino ai giorni nostri. Oggi, in traduzione, offre una lettura scientifica e insieme largamente accessibile su un tema che, proprio per essere diventato alla moda, richiede parametri rigorosi, che lo mettano al riparo dalle approssimazioni e dalle semplificazioni, siano esse di segno apologetico o all'opposto 'razionalista'. La traduzione italiana è stata abbreviata, per rendere l'opera più accessibile, nella prima parte, dedicata allo sviluppo del culto dei santi nel corso dell'alto Medioevo — una premessa rispetto all'ambito della ricer- spondere a ciò che l'autore si è realmente proposto: non "una visione panoramica del culto dei santi alla fine del Medioevo", ma una attenzione specifica a quei "saneti novi, la venerazione dei quali è apparsa e si è sviluppata in Occidente tra la fine del secolo XII e gli inizi del secolo XV". Una scelta motivata dal loro grande incremento sotto "la pressione di un'opinione pubblica molto proclive alle forme 'moderne' della santità", e dall'interesse per un tipo di testimonianze — anch'esse 'nuove' —, le inquìsitiones compiute sulla loro vita e i loro miracoli da parte delie autorità ecclesiastiche che com sentono "di risalire alle radici del modo di percepire la santità e di individuare i segni da cui la gente di quel tempo (quali che fossero i loro ruoli sociali) riconosceva i viri Dei": "luogo in cui si confrontano — ed è un confronto ora pacifico ora conflittuale — la cultura dei ceti dominanti (ai quali appartengono quanti hanno ordinato l'inquisitio e quanti la realizzano di fatto) e quella dei ceti subal- strettissime con la progressiva centralizzazione della Chiesa e con l'esigenza di controllo su tutte le forme di vita religiosa, e ne viene presentata una analisi che permette sia di cogliere caso per caso e periodo per periodo i criteri di selezione e le interazioni tra la fissità del questionario elaborato e usato dagli ecclesiastici e la spontaneità delle deposizioni dei testimoni, sia di seguire la trasformazione della vita di un uomo nella vita di un santo attraverso graduali modificazioni e accomodamenti. Di qui i tre grandi temi in cui si struttura il volume: La Chiesa e il culto dei santi nell'Occidente Medioevale; Tipologia della santità medievale; Indizi e manifestazioni della santità. Per secoli riconosciuto a livello locale con la sola approvazione, più o meno formalizzata, dei vescovi, il culto dei santi a partire dal secolo XI vede un processo — sostanzialmente concluso nel 1234 con Gregorio IX — di graduale ma sistematica rivendicazione alla sola autorità del pontefice romano della conferma della san- tità, e lo sviluppo delle inquìsitiones, svolte prima a livello locale da commissari, coadiuvati da notai, per la raccolta e autenticazione delle deposizioni, poi esaminate a Roma dai cardinali, infine approvate (o meno) dal pontefice. Ma già dalla prima metà del secolo XIV il papato frenerà progressivamente la domanda per non 'svalutare' la canonizzazione: Giovanni XXII (1316-1334), ad esempio, ne effettua tre e ordina l'apertura di quattro inchieste, ma rifiuta di dar corso ad altre quattordici, segnando così una tappa decisiva rispetto al distacco tra la santità approvata dalla chiesa romana e quella riconosciuta dalle chiese locali e dai fedeli. Proprio uno sviluppo culturale, favorito dagli ordini mendicanti, che tendeva a moltiplicare le devozioni a santi vicini nello spazio e nel tempo allo scopo di fornire modelli di comportamento per i laici direttamente e facilmente imitabili, è all'origine del fallimento della Chiesa nel controllo e nella canalizzazione dei culti, inducendola progressivamente alla distinzione tra santi (canonizzati) e beati. Tra il 1418 e il 1445 una lunga pausa; alla ripresa, con quello di Bernardino da Siena, i processi di canonizzazione appaiono sempre più rigidamente controllati dalla curia e il ruolo dei testimoni limitato all'approvazione dello schema proposto. Ben motivato dunque il limite cronologico della ricerca: il 1431, anno in cui termina il pontificato di Martino V, e anno del processo di Giovanna d'Arco: "processo dettato sicuramente da ragioni politiche [...], ma anche primo processo condotto da 'grandi prelati' usciti dalle università, che si proposero di bloccare sul nascere una devozione popolare e di impedire che essa potesse svilupparsi". Alcuni dati quantitativi sono eloquenti: 71 processi, ordinati tra il 1187 ed 1431, molti dei quali ancora inediti, costituiscono l'imponente dossier documentario; di questi solo 33 si conclusero con la proclamazione della santità. Il 35,2% dei processi riguarda religiosi (monaci, canonici, membri degli ordini mendicanti ecc.), il 40,8% il clero secolare, il 24% i laici; le percentuali delle canonizzazioni sono rispettivamente 31,4%, 42,9%, 25,7%. Tra i santi riconosciuti dunque 3 su 4 sono membri del clero secolare o religiosi, e tra il clero secolare metà sono vescovi, mentre il basso clero occupa un posto insignificante. Disparità ancora più netta tra uomini e donne: solo il 18,3% sul totale dei processi e solo il 14,3% delle canonizzazioni riguarda le donne; mentre all'interno della categoria dei santi laici la situazione cambia: 58,8% dei processi, 55,5% delle canonizzazioni, come conseguenza della 'esplosione' dei movimenti religiosi femminili, senza tuttavia rimanere un elemento durevole per la persistente reticenza della gerarchia ecclesiastica nei confronti di forme di religiosità meno ordinate e controllate. La scomposizione e l'intreccio dei dati, su base geografica, sociologica, religioso-istituzionale, porta a risultati illuminanti sui caratteri della santità nuova e sulle sue connessioni con i contesti storici e politici. Prima l'individuazione di due grandi aree, una definita come 'non mediterranea' (Inghilterra, Germania, Paesi Scandinavi, Europa orientale, Francia Settentrionale), caratterizzata da tre elementi: la nascita nobile o più in generale l'appartenenza al mondo del potere e della ricchezza, l'alta carica temporale o spirituale (re, principi, vescovi, abati), la morte violenta (l'esempio più noto è quello di Tommaso Becket, il vescovo vittima del potere regio), una sorta di archetipo, secondo l'autore, della santità nella mentalità comune; e un'area