N io riNDJCEpag 11 ■■dei libri del meseBH Letteratura di Lingua Tedesca Thomas Bernhard, Il respiro. Una decisione, Adelphi, Milano 1989, ed. orig. 1979, trad. dal tedesco di Anna Ruchat, pp. 125, Lit 15.000. Fra monache impazienti che i malati esalino l'ultimo respiro e cappellani ansiosi d'impartire l'estrema unzione, il diciottenne Bernhard, malato di pleurite, si trova in punto di morte nel reparto degli agonizzanti (il trapassatoio) in un ospedale di Salisburgo, unico giovane in mezzo a vecchi decrepiti che attorno a lui, uno dopo l'altro, cessano di respirare. È in quel luogo di orrori e in quel momento estremo che il ragazzo decide di vivere e inizia un difficile processo di guarigione, nonostante l'improvvisa morte del nonno, unico essere da lui amato al mondo, utopista e bonario despota che soleva ripetere al nipote: "È il corpo che obbedisce allo spirito e non viceversa". Ma è anche lo spirito che s'inventa le malattie: poiché "il malato è un veggente", esse sono indispensabili all'artista e soprattutto allo scrittore per affinarne intelletto e sentimenti. Nel Respiro, parte dell'autobiografia, Bernhard ha ormai concluso il primo ciclo dei grandi romanzi della follia e dell'autodistruzione. Anche la prosa scorre qui quasi piana e discorsiva, rinunciando ai monumentali grovigli sintattici delle opere precedenti. Pur restando sempre ossessiva, ricca di impennate e di pathos. Fedele e scorrevole la bella traduzione di Anna Ruchat. Magda Olivetti Karl Kraus, La muraglia cinese, Lucarini, Roma 1989, trad. dal tedesco di Paola Sorge, con un saggio di Cesare Cases, pp. 218, Lit 16.000. Questa muraglia cinese, dovuta alle fatiche di Paola Sorge, viene ad arricchire la non ricchissima ghirlan-detta delle traduzioni italiane di Karl Kraus ed è quindi un'impresa altamente meritoria, vista la pressoché irriducibile, alluvionale asperità del linguaggio krausiano. La muraglia si compone di 39 articoli di varia disumanità che Kraus raccolse in volume nel 1910, e che oggi ci appaiono spesso in una luce sinistramente profetica. Ciò detto, l'osservazione di Cesare Cases nel suo saggio del 1956, qui riproposto a mo' di introduzione, a proposito della necessità di note esplicative a un testo troppo ricco di riferimenti per noi, oggi privi di senso, vale anche in questo caso. F strano come lo scritto krausiano continui a incutere terrore: gli editori esitano a "turbare la classicità tipografica della pagina" (p. XIX) anche in questa benemerita edizione italiana. Note meno veloci, più frequenti ed esplicative, avrebbero degnamente sorretto il testo e meglio orientato il lettore. Vanda Renetta Joseph Roth, La ribellione, Adelphi, Milano 1989, ed. orig. 1924, trad. dal tedesco di Renata Colorno, pp. 155, Lit 10.000. Andreas, protagonista di questo romanzo già presentato al pubblico italiano nel volume dei Romanzi brevi (Adelphi, 1983), è un mutilato di guerra, ha perso una gamba, ricevuto una decorazione e, al forzato rientro nella società, ottiene una licenza di suonatore ambulante di organetto. La tragedia passata sembra rarefarsi al suono delle musiche dello strumento e la vita di Andreas corre cadenzata come una marcia militare. Il matrimonio con la matura ma ancora avvenente vedova Kathi conferma l'ascesa verso la felicità. Ma il destino è in agguato: forze oscure e oppressive che ristagnano nella torbida atmosfera weimariana lo incalzano rintuzzando ogni sua illusione. La vita ora si accanisce su di lui: Andreas è abbandonato dalla moglie, va alla deriva privo ormai di convinzioni e di fede. Egli si trova inavvertitamente nelle mani degli altri che fanno di lui un ribelle; e tale accetterà di essere. Il duro periodo carcerario diventa occasione per una profonda ricerca interiore. Andreas invecchia precocemente, ma conquista la consapevolezza di non volere più appartenere a quella società le cui contraddizioni gli sono ormai manifeste. La ribellione contro gli uomini si estende a Dio e alla sua ingiustizia: l'ultimo delirio prima della morte è un'incontrollata accusa e un disperato rifiuto di qualsiasi mediazione divina: "La tua grazia — urla disperato — non la voglio! Mandami all'inferno!". Cristina Forte Faraoni Thomas Bernhard, Atnras, Einaudi, Torino 1989, ed. orig. 1964, trad. dal tedesco di Magda Olivetti, pp. 83, Lit 12.000. Il tema della "bora mortis", caratteristico della lirica giovanile di Bernhard, trapassa nella nanativa degli anni sessanta generando ossessive descrizioni di un'umanità sull'orlo del collasso fisico e psichico. L'esistenza dell'uomo non è che un anello che segue e precede la morte. E la prosa dell'autore austriaco appena trentenne, ben resa nelle soluzioni stilistiche della traduzione, si fa rapporto analitico di questo dato di fatto, cronaca di un assurdo intervallo biologico delimitato dal nulla. Due gemelli ventenni, sopravvissuti loro malgrado a una sorta di suicidio familiare collettivo, vivono in una torre, isolatisi da una società — quella tirolese — che nella sua ottusa e arrogante normalità prevede il manicomio per chiunque venga sorpreso nell'atto di fuggire volontariamente dalla "gabbia della vita". Gli elementi spaziali del racconto — la rocca, il fiu- me, il meleto di Amras — riamandano alla forma conchiusa e stilizzata di un emblema araldico, ma segnano anche i confini di una reclusione esistenziale, marchiata per di più da quella che resterà una costante nell'opera di Bernhard: la condizione patologica. Walter, il più sensibile e intuitivo dei due fratelli, soffre infatti di una forma ereditaria di epilessia, ironicamente definita come "tirolese". Si annuncia in Amras quel sarcasmo di Bernhard nei confronti di un Austria provinciale e servile, banale e al contempo oscena, che culminerà nell'ultima pièce, Heldenplatz (1987). E "l'endogamia spirituale" di un mondo arretrato e repressivo che ricaccia i gemelli ai margini dell'esistenza, fino al suicidio di Walter. Anche la scrittura ribadisce l'esclusione dalle relazioni sociali: la voce narrante, tesa dai corsivi — quella di K:, il fratello sopravvissuto di Walter — si spezza intersecandosi con frammenti di lettere e con appunti dello scomparso. Non dialogo dunque, nemmeno tra i gemelli obbligati a un oscuro rapporto di simbiosi, ma monotone "cacofonie corporee" di soggetti ormai consapevoli dell'assurdità dell'esistere. La celebrazione letteraria del fallimento in cui si spegne il "respiro della giovinezza" ricade inevitabilmente su se stessa, travolgendo anche i canoni del racconto. Di qui la sensazione di una realtà pietrificata e seriale, ribadita dalla sequenza dei toponimi: Amras, Aldrans, Rans. Di qui il tono reiterato, ossessivo, sprezzante verso qualsiasi convenzione, teorizzato dallo stesso K. : "Detestavamo tutto ciò che viene espresso compiutamente [...] Eravamo nemici della prosa, ci ripugnava tutto ciò che nella letteratura è chiacchiera, stupidità narrativa, soprattutto il romanzo storico, tutto quel ruminar date ed eventi storici [...] Non ci sono mai piaciute le storie [...]' '. E poiché denominare, per il Bernhard degli anni sessanta, significa "demenzializzare", al narratore altro non resta che la coscienza della propria esistenza "saldata alle tenebre", oscillante tra stupore, panico e silenzio. Anna Chiarloni Iperborea dal nord la luce TOVE JANSSON L'ONESTA BUGIARDA Due donne, due diverse visioni del mondo e delle cose nel nuovo originale romanzo dell'autrice del Libro dell'estate. HERBJ0RG WASSMO LA VERANDA CIECA Un'adolescente affronta il dramma della diversità e della violenza. Lo sguardo forte di una donna in un romanzo di straordinario successo: 200mila copie in Norvegia e Premio del Consiglio Nordico HENRIK STANGERUP LAGOA SANTA Scontro di civiltà e avventura umana nell'appassionante vicenda di un ricercatore danese in Sudamerica: un Cuore di tenebra nella foresta brasiliana. "Il miglior libro straniero dell'anno" (Chicago Tribune) LARS GUSTAFSSON MORTE DI UN APICULTORE Davanti alla morte un uomo riscopre la vita, l'amore, la natura PÀR LAGERKVIST PELLEGRINO SUL MARE La ricerca d'assoluto nell'amore e nella vita in un grande classico svedese premio Nobel Via Palestro, 22 - 20121 Milano Tel. (02) 781458 Ernst Junger, Due volte la cometa, Guanda, Parma 1989, ed. orig. 1987, trad. dal tedesco di Quirino Principe, pp. 112, Lit 16.000. Volto alla rivisitazione e alla scoperta, il viaggio di cui questo libro è il resoconto si offre come la testimonianza stenografica di un'avventura eccezionale. Tra i due poli che segnalano rigorosamente l'inizio e la fine di questa esperienza (l'aeroporto, l'aereo, il comfort e la potenza terrifica della modernità, e poi il ritorno nel giardino di Wilflingen, dove l'iris, comparsa prima della partenza, è ancora in fiore) si colloca il passaggio della cometa di Halley, nella primavera del 1986, l'evento che costituisce lo scopo stesso del viaggio. L'avvenimento è avvertito dallo scrittore, allora novantunenne, come doppiamente eccezionale, sia per la rarità della sua ripetizione nel corso di una stessa esistenza (egli ha già assistito da adolescente, nel 1910, al passaggio della cometa), sia perché si manifesta all'inizio dell'era dell'acquario, un'era che dietro al massiccio fenomeno del livellamento e della desertificazione, prelude all'avvento di una rinnovata spiritualità. Accadendo all'interno di un'esistenza che ha concentrato il suo senso nell'avventura, nell'esperienza limite, osservato con l'attenzione dell'occhio dell'entomologo allenato a distinguere differenze infinitesimali, il secondo passaggio della cometa diventa per Junger il momento in cui trasformazioni immani e catastrofi come l'esplosione del reattore di Cernobyl possono essere guardate con calma sovrana, annotate, quasi come segnali di insondabili mutazioni, accanto alla rotazione triennale (piè di gallo, coridale, mughetto) e al rinnovarsi puntuale della fioritura nel giardino. Chiara Sandrin Werner Bergengruen, La morte a Reval, Bollati Boringhieri, Torino 1989, ed. orig. 1989, trad. dal tedesco di Carla Vemaschi e Hans Fischer, pp. 160, Lit 20.000. "Ogni morte ha la sua risata. E non è irriverente se anche noi scherziamo un po' a modo nostro con lei, poiché ci vuole diventare familiare": in base a questo assunto fu composta la raccolta, organizzata secondo il ritmo e la struttura della danza macabra che accompagna un affresco nella cattedrale dell'antica capitale estone che fu Reval. Un Prologo e un Congedo in forma colloquiale racchiudono otto storie divertenti, persino delicate a dispetto della sovrabbondanza di cadaveri e casse da morto, mai in sospetto di necrofilia benché non manchi l'ammiccamento ad autori diversamente intimi della grande consolatrice, come Poe o Villiers de l'Isle Adam (ne Lo strano albergo, per esempio, o in certe figure di vedovi). Più che al trapasso Bergengruen si interessa alla vita, ora frenetica ora fin troppo ordinaria, che si svolge intorno all'evento: le manie, gli espedienti commerciali, artigianali, i paradossi di un mondo dei vivi che, piuttosto che temerla, digerisce la morte, la incorpora nelle cadenze e nei tempi della propria circolazione sanguigna. Poco di sovrannaturale: solo in chiusura, all'ultima pagina, compaiono a schiera i fantasmi e con essi, di scorcio, un pizzico di storia. I morti sono, in verità, il pretesto per una fuga nella nostalgia, negli affetti familiari perduti, nel focolare. "La morte è una grande consolazione [...] e noi intendiamo voler bene alla morte, come vogliamo bene a questa città". Bergengruen, lettone cresciuto in Estonia, amatissimo nel dopoguerra, non se ne andò dalla Germania nazista; non ci si può sottrarre a un brivido di fronte alla data di pubblicazione della raccolta, il 1939: la morte, quella nota al nostro secolo, stava imponendo il suo dominio, divenuta merce, oggetto di produzione industriale, destino collettivo. Il lutto stabiliva la sua ragione; la nostalgia resa impraticabile, la memoria diveniva un difficile impegno. Quanto a Reval, verrà Baffone e l'antica città prenderà il nome di Tallinn. Luca Rastello Paul Leppin, Severin va nelle tenebre, Aktis, Piombino (Li) 1989, ed. orig. 1914, trad. dal tedesco di Antonella de Luca e Fabio Canessa, pp. 117, Lit 16.000. Il Ragno è annidato al centro di una matassa inestricabile di vicoli umidi, anditi oscuri e passaggi coperti, strade gonfie di umori saturnini, di minacce, quartieri dove il delitto nasce per generazione spontanea e monta come la panna, o sale dal selciato come i vapori della pioggia. Al Ragno si danno convegno dandies, dinamitardi, donne fatali, anime perdute, flaneurs, scapigliati d'ogni sorta, tutti irretiti dal sottile "terrorismo legale" messo in atto dal gestore della bettola, ambiguo cacciatore d'anime che tesse, attende e osserva i suicidi a cui con pazienza induce i suoi avventori-vittime. Una "curiosità praghese", questo romanzo notturno, gonfio fino all'ingenuità dei topoi di perdizione della bohème praghese dei primi del secolo, di cui l'autore fu "il re senza corona" (la definizione è di Else Lasker-Schiller). Una curiosità, tuttavia, piena di fascino, non attenuato dalla traduzione, e non solo per gli amanti dello "spirito vltavino" celebrato nella Praga Magica di Ripellino (che cita più volte questo romanzo). La figura dell'autore, futuro aspirante nazista — respinto: troppo decadente e corrotto — è ben collocata nel clima della sua epoca dal saggio di Marino Freschi in appendice che, fra l'altro, svela alcune identità reali che si nascondono dietro i personaggi del libro (altre le rivelò Ripellino). La giovane casa editrice promette nuovi ghiotti bocconi per gli amatori: è già in programmazione, per esempio, Gli ultimi giorni dell'umanità di Ja-kub Arbes. Luca Rastello