n TINDICFpag 13 ■ dei libri del mese^I Finestra sul Mondo Sul significato d elle parole Peter Novick, That Noble Dream. The "Objectivity Question" and the American Historical Profession, Cambridge University Press, Cambridge 1988, pp. 648, £ 12.50. Denise Riley, 'Am I That Name? Fe-minism and the Category of 'Women' in History, Macmillan, London 1988, pp. 126, £ 6.95. Da diversi anni ormai i termini soggettività e oggettività ricorrono sempre più spesso nel linguaggio corrente scritto e parlato, nel giornalismo e nei convegni scientifici. Sono vocaboli semanticamente impregna-bili come una spugna, abusati e irrequieti. Una loro sistemazione nella rassicurante pace di una certezza acquisita sembra quasi impossibile e proprio questo loro carattere non definito indica che le parole possono mutare radicalmente o addirittura perdere del tutto il loro significato, come già aveva angosciosamente profetizzato il protagonista della Lettera a Lord Chandos di Hoffmansthal quasi un secolo fa. "Soggettività", fino a poco tempo fa monopolio soprattutto della filosofia, della linguistica, della psicologia (e loro affini), nell'ultimo decennio si è diffusa negli angoli più remoti dell'impero delle scienze entrando anche a far parte del vocabolario della storia, senza dubbio in gran parte per merito della storia delle donne e della storia orale. In tali contesti la parola è stata spesso adoperata in un senso politico e generale, come sostantivo riferito a nuovi soggetti studiati. Ben più problematico invece il suo significato complesso, riguardante gli ambiti relativi alla formazione dell'identità da un lato e anche a una consapevole intenzionalità presente nell'agire umano. Come dar conto in campo storico di tutto ciò? E un problema che di recente si è posta soprattutto Luisa Passerini nel suo Storia e soggettività (Firenze, 1988), ricordando tra l'altro che soltanto da poco se ne discute all'interno della disciplina. I padri fondatori, da Ranke in poi, si erano invece preoccupati del problema opposto, di come dotare cioè la storia di criteri di oggettività tali da garantirne la necessaria scientificità. Su un altro versante, non meno importante è la conoscenza del perché e del come, e soprattutto per opera di chi, attraverso quali istituzioni e canali, certi temi dominano, si impongono all'attenzione generale e diventano sorgenti di più ampie e pericolose strategie di coercizione intellettuale. Questo il volto potenzialmente più inquietante della soggettività, poiché ripropone bene o male un problema di rapporto con il potere, come non molto tempo fa Foucault aveva magistralmente mostrato. Due libri pubblicati rispettivamente negli Stati Uniti (That Noble Dream, Quel nobile sogno) e in Inghilterra ('Am I That Name?', E così che sono?) offrono ampio materiale di discussione su questi punti, e il loro grande interesse consiste soprattutto nell'importanza che in entrambi assume, pur nella radicale diversità di approccio, la realtà del fare storia, l'attenzione al modo con cui teorie e concetti sono fatti nascere, vivere e deperire da coloro che praticano e controllano la disciplina, e al senso che acquistano nell'economia generale della medesima. Gli autori, Peter Novick e Denise Riley, pur partendo da presupposti lontani l'uno dall'altro, e con scopi molto differenti, descrivono entrambi soprat- di Paola Di Cori tutto conflitti, contraddizioni e antagonismi esistenti intorno a certi temi: uno stimolo prezioso per coloro che in Italia, e anche in Francia, conoscono la ritrosia esistente in questi paesi a riflettere apertamente su come si lavora. Il primo di questi due libri, That Noble Dream, dedicato ad analizzare voro". E questa eccessiva prudenza è forse l'aspetto meno soddisfacente del libro. D'altra parte secondo Novick proprio qui si trova il punto dolente alla fine di un tragitto secolare nella storiografia americana: il non aver saputo impostare "una discussione generale sul significato del fare storia nel suo complesso". In questo mondo accademico. Un dato, quest'ultimo, che riflette la situazione realé di molte studiose femministe in Europa e nel resto del mondo, e fa emergere una differenza fondamentale rispetto agli Stati Uniti. Come si è accennato, Novick descrive il percorso di una identità che si è andata frantumando; insegue con meticolosa cura il sogno perduto dell'obiettività e la osserva da una certa distanza prima di ripiegarsi malinconicamente sulle attuali sponde insicure del mestiere di storico. Dal canto suo Riley dà per scontata questa crisi — di cui la stroria delle donne è d'altro canto causa ed effetto — e affronta senza nostalgie proprio le possibili implicazioni teoriche e politi- Archeologia della differenza Joan W. Scott, Gender and the Politics of History, Columbia University Press, New York 1988, pp. 242, $ 29. Concepiti tra il 1983 e il 1988, i saggi di Joan Scott — alcuni già pubblicati altrove, altri ampiamente riveduti per la presente raccolta (v. la scheda di Maddalena Tirabassi su "L'Indice", giugno 1989) — sono destinati a segnare un punto di svolta fondamentale nel dibattito attuale sulla storia delle donne. Centrale in questo libro, e tanto più rilevante dato che si tratta di una caratteristica alquanto inconsueta per la storiografia statunitense, l'importanza attribuita al quadro teorico che sorregge la storia delle donne. Lo scopo di Joan Scott è quello di trovare gli strumenti più adeguati per analizzare criticamente la categoria di differenza sessuale, quella di 'uomo' e di 'donna' — un compito che la storia sociale tradizionale, basata su una acritica premessa di ciò che è da considerarsi "esperienza oggettiva" — si è rivelata insuf-ficente a soddisfare. In questo libro si cerca piuttosto di applicare alla storia delle donne le metodologie e le chiavi di lettura note come post-strutturaliste; una denominazione imprecisa e generica che gode però di grande fortuna in contesto anglosassone. Per Scott occorre affrontare la categoria di differenza sessuale combinando la lezione foucaul-tiana ^//'Archeologia del sapere e dell' Ordine del discorso con quella derridiana della Gram-matologia. Della prima viene utilizzata la nozione della relatività del sapere e del suo rapporto con le istituzioni del potere. A Scott interessa spostare l'attenzione verso il modo con cui si costruiscono certe gerarchie, concentrarsi sui processi piuttosto che sulle origini, le molteplicità e non le cause uniche, le procedure retoriche più che l'ideologia e la coscienza. La lezione di Foucault suggerisce che analizzare la differenza sessuale in storia richiede una profonda modifica di prospettiva rispetto al tradizionale approccio tipico della disciplina: andare al di là dell'apparente unicità dei concetti per individuarne la conflittualità interna che ne organizza il significato, un procedimento che da Derrida in poi viene etichettato come "decostruzione". Ma anziché caratterizzare il lavoro d'analisi come un gioco cerebrale spesso fine a se stesso, o ristretto a un ambito accademico, una lettura che privilegia il processo di produzione e la fluidità e variabilità dei concetti per evidenziarne le contraddizioni inteme si dimostra la più efficace strategia ai fini politici. Essenziale nell'assunto di Scott è infatti la fedeltà all'impegno femminista di combattere l'ineguaglianza tra uomini e donne; e il mezzo migliore per raggiungere questo obiettivo è la critica radicale a una opposizione tra ricerca teorica e pratica politica — come risulta evidente dal titolo stesso del libro dove invece il loro legame viene affermato. D'altra parte, se esperienza e identità non vengono assunte come i prodotti immutabili di circostanze e bisogni oggettivi, neanche la politica può essere vista come il risultato della coscienza collettiva di soggetti staticamente intesi: una stimolante proposta di lavoro per la storia femminista del prossimo decennio. (p.d.c.) la "questione dell'obiettività" e la professione storica negli Stati Uniti, è un indispensabile strumento per chiunque voglia seguire le alterne vicende della storiografia statunitense, in particolare quelle più recenti, comprese alcune pagine sui' Black Studies e la storia delle donne; un buon quarto del libro riguarda infatti gli anni settanta e ottanta. Peter Novick, un professore dell'università di Chicago, ha ripercorso con scrupolosa meticolosità e dall'interno, anche attraverso raccolte di carteggi privati, oltre un secolo di dibattito culturale intorno al rapporto tra verità e scienza, politica e cultura, identità personale e professionale, seguendo l'ascesa e il crollo del mito dell'obiettività con una straordinaria accuratezza. Il libro è soprattutto il resoconto di questi dibattiti, senza che l'autore intervenga con una sua tesi precisa da sostenere. Lo scopo — scrive Novick nell'introduzione — è quello di "provocare tra i miei colleghi storici una maggiore auto-consa-pevolezza sulla natura del nostro la- senso l'ultimo capitolo del libro, destinato probabilmente anche a essere il più letto, è di particolare interesse. In esso appare ammirevole — e utilissimo — lo sforzo di documentazione dei dibattiti più recenti che illustrano la crisi di identità della disciplina, dovuta in massima parte — secondo Novick — all'irrompere di nuovi sottolinguaggi specialistici che hanno finito per distruggere ogni illusione di unità disciplinare. Per molti aspetti il piccolo libro di Denise Riley, che fin dal suo apparire ha suscitato un vivace dibattito sia in Inghilterra che negli Stati Uniti, si colloca all'estremo opposto di quello di Novick, e anche la biografia professionale dell'autrice è tutt'altro che accademicamente stabile, come invece è quella dell'americano. Studiosa femminista di filosofia e sociologia, autrice di un importante libro sulla ideologia della maternità nell'Inghilterra del secondo dopoguerra, nonché poetessa molto apprezzata, Riley non insegna all'università né scrive esclusivamente rivolta al sta contemporaneo. 'Uomini' e 'donne' sono categorie incomprensibili al di fuori di ciò che a seconda dei contesti si intende per 'sociale' e per 'corpo', scrive Riley; in particolare, proprio la peculiare instabile condizione della categoria 'donna' all'interno della cultura occidentale è insieme fondamento e impaccio al femminismo stesso, soprattutto perché ambiguamente legata a quella di 'umanità' e di 'persona', e ai concetti di uguaglianza e differenza che ne derivano. Si può vivere perennemente consapevoli della propria identità sessuale femminile? Si può esistere dimenticandola del tutto? Politica, teoria e storia delle donne hanno oscillato tra questi due poli e continueranno a farlo; moto inevitabile e pericoloso forse (come è emerso in alcune iniziative sulla parità nel lavoro, per esempio), ma anche immensamente fecondo (la storia e la crescita del femminismo stesso non sarebbero altrimenti neanche pensabili). Riley è consapevole dei pericoli politici di una dissoluzione, anche solo in termini retorici, della parola 'donna', e d'altra parte proprio la critica femminista stessa ha portato in questa direzione. "Secondo me — scrive — non è contraddittorio dire che 'le donne' non esistono, e contemporaneamente agire in politica 'come se esistessero', poiché il mondo funziona proprio come se esse esistessero senza ambiguità di sorta". La suggestione di una prosa che comunica a tratti le tensioni e risonanze della poesia è tra i meriti principali di questo testo dove la storia, non più solo studiata e contemplata, viene resa anche utile e utilizzabile per illustrare in maniera originale e personalissima la terribile pesantezza delle parole e di chi le pronuncia. k. EDIZIONI DELL ORSO 15100 Alessandria - Via Piacenza, 66 Tel. 0131/42349 - C.C.P. n. 10096154 che di tali incertezze, a cominciare dalla plurisemanticità di cui il termine 'donna' è carico. Disegna con tratti veloci ed eleganti la traballante impalcatura interna ed esterna dell'universo concettuale dei soggetti/ oggetti della storia delle donne e ne scrive al plurale e al singolare. Quan-d'è che si preferisce l'uno all'altro? Il continuo movimento esistente tra 'donna' e 'donne' — l'astratta universalità del genere e la concreta esperienza storica delle singole — è al centro di questo libro; un punto di vista condiviso anche da altre studiose che lavorano negli Stati Uniti, come Teresa de Lauretis e Joan Scott. 'Am I that Name?' (è l'angosciosa domanda sul proprio essere di De-sdemona nell'Otello di Shakespeare) è una appassionata interrogazione sull'identità storica e la soggettività femminile. Tuttavia, lungi dal fornire una accurata ricognizione come quella di Novick, Riley non offre il risultato di una ricerca, propone invece elementi di riflessione su alcuni nodi centrali del pensiero femmini- Scrittura e scrittori Collana di Studi Filologici diretta da Luciana Borghi Cedrini Serie miscellanea: Studi testuali (omaggio a d'Arco S. Avalle) 1984, pp, 138, L. 15.000 Studi testuali 1 1988, pp. 192, L. 20.000 Serie monografica: Luciana Borghi Cedrini Via de lo Paraiso. Un «modello» per le signore liguri della prima metà del Quattrocento 1984, pp. 104, L. 20.000 Sandro Orlando Un'altra testimonianza del «Seneca» provenzale 1984, pp. 72, L. 15.000 Luciana Borghi Cedrini La cosmologia del villano secondo testi extravaganti del Duecento francese 1989, pp. 208, L 30.000 Silvia Buzzetti Gallarati Le Testament maistre Jehan de Meun. Un caso letterario 1989, pp. 264, L. 20.000 Gianni mombello Une lettre inèdite de Vaugelas à Antoine-Philibert Bailly 1989. pp. 92, L. 20.000 Walter meliga L'«Eructavit» antico francese secondo il ms. Paris B.N. fr. 1747 (In preparazione)