N. 7 pag. XIII Storiche permanenze di Lisa Foa Wang Meng, Figure intercambiabili, Garzanti, Milano 1989, trad. dal cinese di Vilma Costantini, pp. 420, Lit 32.000 E pressoché impossibile, leggendo in questi giorni il romanzo di Wang Meng, astenersi dal cercare nelle sue pagine qualcosa che possa suggerire una spiegazione di quanto sta succedendo oggi in Cina. Ossia non tanto un'indicazione delle ragioni politiche o sociali che possono fare da sfondo sia pure lontano agli eventi contemporanei — il romanzo è ambientato prevalentemente tra gli anni trenta e quaranta, corrispondenti all'infanzia e alla prima giovinezza dell'autore — quanto le radici umane, gli entroterra personali, le mentalità, i comportamenti tradizionali — quelle che si usano definire le permanenze storiche — che erano certo presenti e talvolta percepibili nelle ondate successive di folle che abbiamo visto occupare in questa primavera il centro di Pechino: giovani, ragazzi, operai, vecchi, donne con bambini; e poi i primi soldati incerti e timidi, seguiti da quelli feroci e scatenati della soluzione finale; e ancora le immagini trasmesse dalla TV cinese: la fila dei dirigenti soddisfatti e acquietati dopo la repressione, i poliziotti e gli inquirenti spietati, i visi tumefatti e disperati degli arrestati, figure ricorrenti nella tragica storia della Cina. Ma il romanzo di Wang Meng non si presta a una facile attualizzazione. Altri lavori letterari, come i Mandarini cinesi della scrittrice Zhang Jie, ci offrono una galleria di personaggi di una Cina più contemporanea; quando non addirittura la narrazione del malessere e dell'inquietudine degli studenti di Pechino mentre preparano nella massima clandestinità una dimostrazione, come Les Héritiers des sept royaumes di Ya Ding. (Entrambi vengono recensiti in questo numero dell"Tndice"). E vero che l'io narrante di Figure intercambiabili si colloca nell'oggi, 1985-86, dopo cin-quant'anni di vita, "una corda allungata per mezzo secolo" che l'autore è incerto se si spezzerà all'improvviso — un'ombra di premonizione del dramma odierno? — o se si metterà a vibrare di suoni armoniosi. Wang Meng è dal 1986 ministro della cultura (lo sarà ancora dopo il suo recente viaggio in Italia e i recenti sconvolgimenti?) e sembra guardare al suo passato con la serenità di chi pensa di aver già vissuto il peggio e di aver già pagato lo scotto per la trasformazione rivoluzionaria del suo paese: un percorso, il suo, simile a quello di tanti intellettuali cinesi, convinti che il 1949 avrebbe seppellito tutti i vecchi dolori della Cina ma che dal 1957 sarebbero stati travolti da ondate successive di persecuzioni, campagne di rettifica e autocritica per finire seppelliti nelle scuole di rieduca- zione del 7 maggio durante la rivoluzione culturale e riemergere infine nel corso riformatore di Deng, restituiti alle loro attività. A questo più recente passato, tuttavia, Wang Meng non dedica che rapidi sguardi sia pure amari e sofferti, una sorta di commento a latère a una narrazione centrata sulle vicende più antiche della famiglia di Ni Zao, il protagonista bambino del romanzo. Questi cresce diviso e sballottato tra una madre tradizionalista ra nelle campagne del Nord-Ovest). Un conflitto culturale che divide la famiglia ma che riflette in un microcosmo la storia della Cina, sempre oscillante tra il peso e l'immobilismo della tradizione, con il suo bagaglio di oppressione e spietatezza, e la tentazione della modernità che appare liberatrice; tra il bisogno di aprirsi al mondo e di assorbire altre esperienze culturali e modi di vita, qui nel libro in particolare dell'Europa, e l'istinto di richiudersi negli schemi più sicuri binazioni, non è a caso scelto a titolo del romanzo. Con esso l'autore sembra voler rappresentare una costante fluidità della vita cinese, come sospesa tra vecchio e nuovo, tra suggestioni antiche e impulsi modernizzatori. Così il padre di Ni Zao, tutto preso dalle sue velleità occidentaliste, è poi capace in famiglia di violenze e oppressioni; mentre la madre, ancorata al suo rigido e duro entroterra feuda-le-contadino, è prodiga di pietà e spirito solidale. Né esiste un confine netto tra tradizione e modernità, anch'esse in qualche misura intercambiabili. "Forse perché noi siamo indietro nella tecnologia, rifiutiamo di lasciare la gente al freddo fuori della porta", dice Ni Zao di fronte al can- Premio Italo Calvino 1989 1) La rivista "L 'Indice" bandisce per l'anno 1989 la quarta edizione del premio Italo Calvino. 2) Possono concorrere al premio opere prime inedite di narrativa in lingua italiana e opere inedite di critica in lingua sia italiana sia straniera (inglese, francese o tedesco), che non siano state premiate o segnalate ad altri concorsi. 3) Saranno premiati sia un 'opera di narrativa sia uno studio critico, orientato quest'ultimo ogni anno a una problematica diversa, scelta tra quelle che soprattutto hanno ispirato l'opera e la riflessione di Italo Calvino. Neil anno 1989 per la narrativa il premio sarà assegnato a un racconto. Per la critica il premio sarà assegnato ad uno studio sulla fortuna o sugli influssi dell'opera di Italo Calvino nella narrativa contemporanea, in Italia oppure fuori d'Italia. 4) Le opere devono pervenire alla segreteria del premio presso la redazione de "L'Indice" (via Andrea Doria 14, Torino 10123) entro e non oltre il 20 settembre 1989 (fa fede la data della spedizione) in plico raccomandato, in duplice copia, dattiloscritto, ben leggibile, con indicazione del nome, cognome, indirizzo, numero di telefono dell'autore. Le opere inviate non saranno restituite. Per ulteriori informazioni si può telefonare, il martedì, in orario d'ufficio al numero 011-542835. 5) Saranno ammesse al giudizio finale della giuria quelle opere che siano state segnalate come idonee dai promotori del premio (vedi "L'Indice", settembre-ottobre 1985) oppure dal comitato di lettura scelto dalla redazione della rivista. Saranno resi pubblici i nomi degli autori e delle opere che saranno segnalate dal comitato di lettura. 6) La giuria per l'anno 1989 è composta di 5 membri, scelti dai promotori del premio. La giuria designerà le due opere vincitrici, a ciascuna delle quali sarà attribuito per il 1989 un premio di lire 2.000.000 (due milioni). ' 'L 'Indice" si riserva il diritto di pubblicare — in parte o integralmente — le due opere premiate. La giuria potrà altresì segnalare altre opere, e proporne la pubblicazione. La giuria si riserva il diritto di non assegnare il premio. 7) L'esito del concorso sarà reso noto entro il 15 marzo 1990 mediante un comunicato stampa e la pubblicazione su "L'Indice". 8) La partecipazione al premio comporta l'accettazione e l'osservanza di tutte le norme del presente regolamento. Il premio si finanzia attraverso la sottoscrizione di singoli, di enti e di società. / e un padre modernizzatore velleitario e pasticcione, che tuttavia riesce a navigare in qualche modo tra guerre e rivoluzioni (e non se la caverà nemmeno troppo male con le guardie rosse, mentre Ni Zao sarà inviato, come lo fu l'autore, a lavorare la ter- e sperimentati del passato. Come è stato notato, non ci sono eroi positivi nel romanzo di Wang Meng. Lo stesso gioco delle figure intercambiabili comprato dal padre, con i personaggi divisi in tre parti e ricomponibili in innumerevoli com- cello elettronico della casa di una città tedesca, in un viaggio che compie nel 1980 dopo le sue svariate peripezie, incontrando compatrioti occidentalizzati ma nostalgici, esuli travagliati da un senso di colpa e pentimento e anche uno studioso europeo, innamorato dell'anfica civiltà cinese al punto da cinesizzare il suo nome. Ma le figure intercambiabili non sono l'unico filo rosso del romanzo. Quella Pechino in cui cresce Ni Zao, mentre lontano si svolge l'epopea dell'Ottava armata rivoluzionaria che libererà la Cina, è popolata di gente che sopravvive tra sogni velleitari, frustrazioni, meschine cattiverie, folli fantasie, ed è soprattutto affetta dall"'aquismo", la malattia di Ah Q, il personaggio di Lu Xun, debole e servile verso gli oppressori e arrogante verso i deboli. E una riflessione amara sul comportamento dei cinesi che l'autore osserva non solo nella sua infanzia quando dominavano i signori della guerra o gli occupanti giapponesi ma anche nel corso degli ultimi travagliati trenta-qua- ranta anni; un comportamento verosimilmente dettato dall'istinto di conservazione e sopravvivenza sotto i vari dispotismi ma che ha anche permesso e permette a quei dispotismi di compiere la loro nefanda opera. La primavera di Pechino del 1989 sembrava aver rotto quel meccanismo perverso. Non solo gli studenti e gli intellettuali avevano occupato la piazza della pace celeste, simbolo del potere, ma folle di popolo erano scese per le strade a coprirli, genitori e famiglie forse per la prima volta interamente solidali con i figli ribelli, fino a rendere inermi le truppe inviate dal padre dei riformatori divenuto un nuovo signore della guerra: Deng, l'inattesa e imprevedibile "figura intercambiabile" della Cina moderna. E accanto a lui, tra i soffocatori del movimento giovanile sono riemerse dal passato altre vittime illustri della rivoluzione culturale, che sembravano aver ripudiato per sempre i metodi della violenza e della sopraffazione, avendoli subiti di persona dopo averne fatto ampio uso negli anni della "lotta contro la destra", lanciata in quel 1957 che per gli intellettuali cinesi rimane la svolta cruciale, l'inizio di una lunga catena di umiliazioni e discriminazioni. Wang Meng ricorda quella piccola valle sperduta dove a quel tempo scrittori, poeti, pittori, scienziati, "uomini che avevano commesso ogni tipo di errori", vennero inviati per trasformarsi attraverso il lavoro di rimboschimento, la costruzione di stalle, la fabbricazione di mattoni nelle fornaci. "U sudore inzuppava la terra. Poi la sera si faceva autocritica nel gabinetto che non era stato mai usato e che finì per non essere usato affatto. Si scandagliava la propria coscienza per trovare i 'crimini' più riposti. Ci si riuniva nella mensa dopo l'orario di lavoro per intrecciare i cesti e si cantavano canzoni rivoluzionarie". L'autore rievoca quelle scene di "ventisette-ventotto anni fa", forse persuaso che tutti quei dolori, passioni, pazzie, stupidaggini si siano ormai sedimentati nelle pietre delle montagne attorno a quella valle. Ma sarà così? Per vie traverse e tortuose quella follia è ancora una volta tornata, in uno di quei ricorsi storici di cui la Cina non riesce a liberarsi. I Ni Zao di oggi, che avevano alzato la testa ormai quasi certi che nel paese delle ' 'quattro modernizzazioni" si potesse pretendere di interpellare il potere, di avanzare richieste moderate e rispettose — come hanno fatto i giovani della Tien Anmen — sono stati respinti con le accuse più infamanti e rituali, in realtà soltanto colpevoli di quell'eterno reato di "lesa maestà", forse il principale dei dettami della Cina confuciana. Come sta scritto nel libro di Wuch'èng-èn, Viaggio in Occidente-, di cinque secoli fa, "il dio Erlang non è riuscito ad arrivare al sole".