N 7 [INDICE - 5 ■■dei libri del mese^tal _Da Tradune__ Su due fronti con passione di Gianni Rondolino Francois Truffaut, Correspon-dance, Lettres recueillies par Gilles Jacob et Claude de Givray, notes de Gilles Jacob, avant-pro-pos de Jean-Luc Godard, ed. 5 Continents-Hatier, Renens (CH) 1988, pp. 672, ili., s.i.p. Non so se Francois Truffaut sarebbe diventato uno scrittore, se non avesse intrapreso la carriera di regista cinematografico. Come lui disse una volta: "se non fossi stato regista, sarei stato editore", intendendo forse che avrebbe preferito organizzare la cultura letteraria, produrre letteratura altrui, creare libri come oggetti e divulgarli, piuttosto che scrivere direttamente. E tuttavia, non soltanto — come risulta da queste lettere, raccolte e pubblicate con molta cura da Gilles Jacob e Claude de Givray — egli ebbe intenzione, nella sua giovinezza, di scrivere un romanzo, ma le continue citazioni da libri, i continui riferimenti letterari, e più ancora il gusto per la scrittura, che traspare da molte lettere, denunciano in lui un vero e proprio scrittore in potenza. Il fatto è che la formazione culturale di Truffaut, una formazione assolutamente autonoma, da autodidatta, attraverso la quotidiana frequentazione dell'amico d'infanzia Robert Lachenay, si svolse contemporaneamente sui due fronti della letteratura e del cinema. Ed è nell'interscambio delle passioni giovanili, dei gusti, dei sentimenti, delle rivolte individuali, che di volta in volta i libri e i film producevano in lui e in Lachenay, che si andò formando negli anni fra il 1945 e il 1952 uno strato di conoscenze, appunto letterarie e cinematografiche, che costituirà la base per la sua attività futura. Non altrimenti si spiegherebbero i suoi primi articoli di critica cinematografica, il famoso saggio polemico del 1954 Una certa tendenza del cinema francese, il suo primo mediometraggio Les mistons, tratto da un racconto di Maurice Pons, il suo primo luogometraggio I quattrocento colpi, che in larga misura ripercorre gli anni del suo sodalizio con Lachenay, e risolve "filmicamente" non pochi problemi di scrittura prettamente "letteraria". Si tratta, in altre parole, di una duplice passione, coltivata da Truffaut per tutta la vita, che non è sempre agevole scindere. Una passione in cui si mescolavano romanzi e film come fossero elementi diversi ma complementari di un'unica eperienza al tempo stesso etica ed estetica. Ed è proprio in questo interscambio di "scritture" che tutta la sua opera pare svolgersi, alla ricerca non tanto di una peculiarità prettamente filmica, quanto di un sottile travaso di strutture letterarie in momenti compiutamente cinematografici (inquadrature, sequenze, montaggio ecc.). Ciò è tanto più avvertibile nei suoi molti film tratti da opere letterarie — dal suo secondo lungometraggio Tirate sul pianista, ricavato dal romanzo Down There di David Goodis ai film tratti dai romanzi di Henri-Pierre Roché (Jules e Jim e Le due inglesi) e di Wil-iam Irish (La sposa in nero e. La mia droga si chiama Julie), a Fahrenheit 451 di Ray Bradbury ecc., sino alla presenza di Henry James in La camera verde —, in cui questo travaso di scrittore raggiunge un livello qualitativo notevole. Di questo cammino umano e artistico la Correspondance di Truffaut, ora pubblicata, è una guida preziosa, a volte indispensabile. Non è un vero e proprio carteggio, mancano le risposte dei corrispondenti, tranne qualche eccezione (fra cui estremamente significativa la lettera di Jean-Luc Godard, il quale ha anche voluto scrivere la prefazione al libro: una lettera che rivela il carattere di Godard e alla quale Truffaut risponde in termini perentori ed estremamente severi). Ma è una raccolta abbondante e significativa: oltre quattrocento lettere, alcune molto lunghe e dettagliate, che coprono gli anni che vanno del 1945 (quando Francois aveva tredici anni) al 1984 (l'anno della sua morte). Non v'è dubbio che, per studiare la genesi dell'opera di Truffaut e cogliere i vari aspetti della sua formazione e del suo carattere, la lettura del folto gruppo di lettere giovanili indirizzate all'amico Robert Lachenay acquista un valore e un significato fondamentali. È come rivivere, attraverso le parole di Truffaut, il suo stile ancora ingenuo, le pignole annotazioni o i riferimenti gustosi e le avventure quotidiane, il mondo dei Quattrocento colpi : un modo diverso ma complementare di ripercorrere un'esperienza di vita che subirà di lì a poco una svolta radicale. Si vedano in proposito le lettere del 1951 dal servizio militare, con le sue considerazioni sull'esercito e la sua decisione, poi attuata, di disertare. Ma si notino anche tutti i riferimenti ai libri letti o da leggere, ai classici francesi, agli autori contemporanei, a Jean Genet in particolare. È come il catalogo di una piccola biblioteca personale, messa insieme con amore e sacrifici, divorata con passione, sempre alla ricerca di qualcosa di stimolante, di forte, di definitivo. Non meno intressanti e utili sono le numerose lettere a Helen Scott, la sua amica e traduttrice americana, con l'aiuto della quale Truffaut realizzò la famosa amplissima intervista a Alfred Hitchcock nell'agosto del 1962 (pubblicata come libro soltanto nel novembre del 1966 a Parigi). Lettere nelle quali egli si confida sui suoi progetti, le sue idee, la sua vita personale e familiare, e fornisce non poche indicazioni sui suoi film e sulla loro lavorazione. Attraverso queste ed altre numerose lettere ad amici, collaboratori, critici, colleghi, è possibile ripercorrere, di anno in anno, anzi di mese in mese, il suo lavoro cinematografico. Non sono soltanto dati e informazioni di prima mano — molti dei quali già noti attraverso altre fonti filmografiche —, ma anche commenti, giudizi, osservazioni particolari. Senza avere il carattere di un diario di lavorazione, o di un quaderno di appunti, questa corrispondenza, per quanto riguarda la ricostruzione critica della sua filmografia, fornisce tuttavia indicazioni del massimo interesse. Ma il libro — che dovrebbe essere soltanto un primo assaggio della vasta corrispondenza che Truffaut intrattenne nel corso della vita, e dare l'avvio alla pubblicazione integrale del suo carteggio, una volta raccolte e inventariate tutte le lettere esistenti, da lui spedite o ricevute — non è interessante soltanto per le informazioni che fornisce, che consentono di meglio definire criticamente la sua opera e di meglio documentare la sua vita. Esso ci dà, sia pure per campionature, un ritratto sfaccettato del suo carattere, della sua moralità, della sua sincerità, della sua libertà di pensiero e di azione. A questo proposito, di grande valore sono le numerose lettere agli amici, ed anche ai non pochi sconosciuti che gli chiedevano consiglio o sottomettevano al suo giudizio i propri scritti, i propri progetti. Per tutti Truffaut ha sempre la parola giusta, a tutti manifesta sempre, senza falsi pudori o infingimenti, il suo pensiero, a volte i suoi sentimenti più segreti. E, se è il caso, non nasconde il suo disappunto. Si veda, al riguardo, la citata risposta a Godard del 1973, in cui rintraccia il percorso della loro amicizia e mette in rilievo le "defezioni" godardiane con una lucidità e un rigore morale esemplari (anche perché sottesi da un profondo senso dell'amicizia). Come sempre accade, quando si leggono carteggi, memorie, ricordi, interviste, si è tentati di collazionare i testi, di mettere a confronto i dati, i documenti, le informazioni, di verificare gli elementi autobiografici sulle singole opere (in questo caso i film). Queste operazioni sono certamente utili per lo studioso, indispensabili per ogni analisi storica e critica. A questo destino non sfugge ovviamente questo volume della Correspondance di Truffaut. E tuttavia la lettura, appassionata e appassionante, di queste quasi settecento pagine (stampate splendidamente dalla tipografia Vincenzo Bona di Torino) supera i limiti del documento d'archivio, della ricerca scientifica. È come se si leggesse un romanzo, il cui protagonista, appena abbozzato ma ricco di sfaccettature psicologiche, ci narrasse in prima persona quarant'anni della sua vita, apparentemente tranquilla, persino noiosa, e invece piena di stimoli, accattivante, per molti versi esemplare. È per questo che, sabato 20 giugno, ho deciso di vendere per la strada il giornale "La Cause du Peuple". Lì, sulla strada, ho incontrato degli altri venditori, fra cui Jean-Paul Sartre e Simone de Beauvoir. Il pubblico, in strada, era interessato, la mia pila di giornali diminuiva a vista d'occhio e, quando un agente si è presentato davanti a noi, ho avuto il piacere di offrirgli due copie di "La Cause du Peuple" che lui si è tenuto in mano: cosa che avrebbe potuto forse costargli dei provvedimenti penali. Una foto, scattata da un passante, conferma l'esattezza di questa scena. Dopo averci esortato a disperderci, l'agente ha chiesto a Jean-Paul Sartre di seguirlo al commissariato, cosa che lo scrittore ha fatto ben volentieri. Naturalmente io seguivo il movimento, così come Simone de Beauvoir, altri venditori e qualche passante incuriosito. Se l'agente di polizia ha chiesto a Jean-Paul Sartre di seguirlo piuttosto che a me, è chiaramente per il fatto che io portavo una camicia bianca, un vestito scuro e una cravatta, mentre Sartre indossava un giubbotto di daino sgualcito e stropicciato. C'era dunque, già a livello di costume (come si dice oggi), una discriminazio- sXF ne tra i diffusori di "La Cause du Peuple", quelli che sembrava che lo vendessero per guadagnarsi il pane erano più esposti ai provvedimenti penali di quelli che lo facevano per principio. Il seguito della scena confermava questa mia impressione, giacché un passante, avendo riconosciuto Sartre, gridò all'agente: "Perdiana! non arresterete mica un premio Nobel?!". Allora, si vide una cosa sorprendente, l'agente che lascia il braccio di Jean-Paul Sartre, accelera il passo, oltrepassa il nostro gruppo e fila diritto davanti a sé così velocemente che abbiamo dovuto correre per raggiungerlo. Era la prova che esistevano due pesi e due misure, e che la polizia decìdeva di intervenire non per conto del cliente, ma del venditore. Non posso terminare questa testimonianza che raccomandando ai miei colleghi, i venditori di "La Cause du Peuple", di vestirsi tutti i giorni con V'abito della festa" e di rifiutare il premio Nobel sa per caso glie lo proponessero. Questi sono, signor Presidente, i fatti che avrei esposto all'udienza dell'8 settembre. Franfois Truffaut (trad. di Nicola Rondolino) VOCABOLARIO DELLA LINGUA ITALIANA -i Oltre 150.000 voci, tutti i vocaboli e locuzioni dell'italiano scritto e parlato, ufficiale e colloquiale, della lingua letteraria di oggi e dei secoli scorsi, dei linguaggi e dei gerghi dei vari settori, della terminologia scientifica e tecnica: l'unico dizionario veramente completo per gli Italiani dell'ultimo '900 e del primo 2000. L'opera si fonda su una redazione composta di lessicografi e specialisti delle singole discipline, con Aldo Duro direttore. 4 volumi di grande formato di circa 1.300 pagine ciascuno, con numerosi disegni illustrativi e pregevoli tavole a colori fuori testo, concepiti, gli uni e le altre, come sussidi integrativi delle definizioni. ISTITUTO DELLA ENCICLOPEDIA ITALIANA fondata da Giovanni Treccani Roma, Piazza Paganica 4