N. 9 riNDlCF pag 4 ■hdei libri del mese ■■ II Libro del Mese Prete romano di Carlo Dionisotti Luisa Mangoni, In partibus infide-lium. Don Giuseppe De Luca: il mondo cattolico e la cultura italiana del Novecento, Einaudi, Torino 1989, pp. XIII-424, Lit 55.000. Bisogna cominciare dal sottotitolo, perché il titolo, ben trovato, fa pensare a cose che preoccupano oggi e che erano impensabili nella prima metà del secolo e oltre. Chi sono oggi e dove stanno di casa gl'infedeli? Abbiamo un papa che ha rischiato la pelle in piazza San Pietro, complice, prima e dopo il fatto, l'infedeltà locale, e che però .va e viene allegramente per l'universo mondo fra uomini d'ogni colore. E via dicendo. Giuseppe De Luca, nato in Lucania nel 1898, morto a Roma nel 1962, sacerdote, scrittore, editore, amico e confidente di alcuni protagonisti della storia ecclesiastica, politica, letteraria e artistica dell'età sua, non ha ottenuto quel pubblico riconoscimento che in vita aveva sempre desiderato e, per ammenda, evitato. Amava definirsi prete romano, già in questa definizione mescolando umiltà e fierezza. Clandestinamente era diventato monsignore, e quando morì correva voce di una sua imminente nomina all'alta carica di prefetto della Biblioteca Vaticana. Certo è che, fuori d'ogni regola, lo stesso papa Giovanni uscì di Vaticano per portare a lui, morente in ospedale, un ultimo conforto. Dopo la morte, non mancò il tributo degli amici. E grazie in ispe-cie alla sorella Maddalena, continuò a vivere di nobile vita la casa editrice da lui fondata. E apparvero a stampa raccolte di scritti suoi e di lettere. Con tutto ciò il prete romano che aveva gustato e temuto il veleno dell'ambizione, è rimasto, se non fuori, certo ai margini del quadro storico dell'età sua. Noto ad esempio la sua assenza nella terza appendice (1949-1960) e nella quarta (1961-1978) dell' Enciclopedia italiana, dove figurano a mazzi dodi indoctique, morti e vivi. Può darsi che sia in questo caso una vendetta dello stile romano. Perché De Luca, che era stato collaboratore dell 'Enciclopedia italiana, detestava la cultura idealstoricistica che aveva prodotto quell'opera, e aveva coniato l'iniqua ma spiritosa definizione di un Melzi in 35 volumi. Prossimamente si vedrà se e quale articolo gli sarà dedicato nel Dizionario biografico degli italiani. Questo libro su di lui, apparso in una sede che non odora d'incenso, propone un discorso storico. E un libro denso, di una studiosa felicemente estranea a quell'età, e però decisa a sapere e capire quanto più può, capace anche di riconoscere quel che della storia di allora preme tuttora. C'è, a mio parere, una qualche ridondanza. De Luca era scrittore estroso ma scrupoloso. Se leggesse questo libro, credo che gli andrebbe intorno con le force. Ma credo che la sostanza gli piacerebbe. Forse anche il fatto di essere stato inquisito con rigore e gentilezza da una donna italiana. Nel libro le carte sono scoperte. Nel proprio senso, perché è messo a profitto il carteggio abbondantissimo di De Luca: non soltanto le lettere di maggiori, minori e minimi corrispondenti; anche minute di lettere sue, a volte lettere non spedite e però gelosamente conservate. Anche in senso figurato il libro è a carte scoperte. L'interprete non ha ceduto al gusto, che la documentazione solleticava, dell'aneddotica. Neppure al gusto del ritratto, della biografia di un uomo stupendamente vivace. Il libro non vuole essere una biografia. Presuppone la formazione giovanile, il debito colla terra d'origine, coi maestri, la vocazione religiosa, l'approdo a Roma. Punto di partenza è la Conciliazione, è il momento in cui De Luca trentenne, disposto a "camminare da solo", che è il titolo del primo capitolo, profitta di quella svolta decisiva nei rapporti della Chiesa romana con lo stato italiano. Nessun dubbio che sia stata una svolta decisiva. Ancora, dopo sessant'anni, dopo un totale sfascio e rifascio, vediamo gli eletti della repubblica appesi, come il dodici dei tarocchi, al cappio dell'ora di religione. Il taglio del libro è dunque storicamente giustificabile. E il metodo anche dell'inchiesta, che accetta ma non subisce la successione cronologica, pone via via con rispettosa fermezza questioni, che variamente pesarono sulla vita tutta di De Luca, questioni importanti per lui e per l'età sua. Poiché l'età è stata, con poco divario, anche mia, vorrei subito fare una riserva. Il punto di partenza della Conciliazione non vale allo stesso modo per chi aveva allora vent'anni e per chi, come De Luca, ne aveva trenta. La corresponsabilità storica è ovviamente diversa: già nell'antefatto, guerra, dopoguerra, rivoluzione fascista. L'estraneità del chierico agli eventi non escludeva il risentimento del giovane che, differenziandosi dalla maggioranza dei coetanei suoi, non poteva esimersi da un confronto. E probabile che l'orrore della strage, poi violenza civile, non importasse per lui che l'una e l'altra fossero inutili. La follia degli uomini era vendetta di Dio. Credo che prima della Conciliazione, fra i venti e i trent'anni, De Luca maturasse quella seconda vocazione, letteraria e in certo senso politica, che tutt'ora s'impone alla riflessione dei laici. Non che si possa mai prescindere, discorrendo di lui, dalla vocazione prima, dell'uomo di chiesa. Ne tiene conto questo libro, da cui risultano bene illustrati i rapporti con la stampa periodica e con l'editoria cattolica. Ma mi pare che il libro stesso confermi la difficoltà per noi di illustrare i rapporti coi superiori, con cardinali e papi. Poco male: ciascuno fa storia nei limiti della sua esperienza e competenza. In Italia, fra Otto e Novecento, la storia della Chiesa si è sempre opposta a quella dello Stato. Tanto più notevole la eccezionale disposizione di De Luca a corrispondere coi laici da pari a pari. Era anzitutto la parità linguistica e letteraria di un uomo, che aveva letto e appreso gli stessi libri, antichi, moderni e contemporanei, e qualcuno in più, e che aveva arte di scrittore. Mai però un cedimento al diverso mondo dei laici. Mai un travestimento. Nessuna complicità mai: indulgenza per gli altri, non per sé. Intransigenza assoluta, non soltanto in materia di fede, ma anche di tradizione e di costume. Superfluo notare l'incompatibilità con certo neomodernismo venuto di moda nella Chiesa e dintorni dopo la sua morte. Notevole invece il rifiuto originario di quel modernismo, che era stato proprio dell'avan- guardia clericale italiana ai primi del secolo. L'etichetta stessa, allettante per altri, anche dopo la condanna, repugnava a De Luca: moderni potevano e dovevano essere, volenti o nolenti, gli uomini, gli effimeri, non la Chiesa. Finì col diffidare delle etichette in genere, prodotte da una cultura impaziente e presuntuosa, e di quel suffisso in ispecie, che dall'illuminismo in poi aveva scandito le tappe della moderna deviazione dalla verità cristiana. In un paese come l'Italia, arretrato e servile, con quel risvolto della servilità che è la scaltrezza, e con la fiducia nel primato e nella buona fortuna, che è risvolto dell'arretratezza, la posizione di De Luca rischiava di immedesimarsi con quella dei più rigidi e sterilùconser-vatori dell'Ottocento. Ma, come ho già detto, la sua cultura era illimitata e aggiornatissima. Era lettore avido di Voltaire come di Bossuet, di Claudel come di Gide. C'erano per lui autori detestabili, in gran numero; non c'erano autori vitandi. E gli autori francesi in genere, i contemporanei in ispecie, erano primi per lui, come erano per l'avanguardia letteraria italiana degli anni venti e trenta. L'accordo con questa era nella preferenza per una letteratura europea, guidata dalla Francia e in cui l'Italia avesse parte con le altre nazioni e lingue periferiche. La preferenza importava una sottintesa, ma per De Luca scoperta opposizione al primato di una filosofia inconciliabile con la dottrina della Chiesa e stranamente migrata dalla Germania protestante all'Italia. L'esempio della Francia, e della stessa Inghilterra, dove una letteratura di ispirazione cattolica si era affermata, confortava De Luca a promuovere e appoggiare un analogo sviluppo in Italia. Importava rinnovare da un lato la cultura ecclesiastica, ottenere d'altro lato che scrittori laici liberamente riconoscessero il magistero dèlia Chiesa. Ci poteva essere collaborazione, non confusione di compiti. Il divario fra chierici e laici era per il prete romano sacramentale, insuperabile. Si arriva così alla Conciliazione. Questa segnò la fine dell'Italia risorgimentale e consentì alla Chiesa di affrontare direttamente la nuova Italia fascista con le forze sue proprie, dell'autorità e della tradizione. Non poteva sfuggire a De Luca l'inferiorità delle corrispondenti forze messe in campo dall'Italia fascista. Né che queste erano in gran parte le forze stesse, avvilite e travestite, dell'Italia risorgimentale. Era cresciuto d'altra parte il rischio di una confusione di compiti, di un coinvolgimento della Chiesa nella politica italiana. Per la sua diversa vocazione e abilità De Luca era disposto a collaborare, non a contendere coi laici; a profittare degli spazi aperti dalla ConcOiazione per piantarvi la bandiera della Chiesa, non per assicurare la sopravvivenza clandestina del defunto partito popolare. Di qui il disaccordo, bene illustrato in questo libro, dal futuro Paolo VI. Fino a che punto e fino a quando sia durata la collaborazione di De Luca col regime fascista, non è chiaro. Certo fu collaborazione di uno che guardava a quel regime, come a ogni altro, con distacco e dall'alto in basso. La sua fedeltà alla Chiesa era totale; nulla aveva da chiedere allo stato italiano. Di qui il seguito della storia. Suppongo che anche per lui fosse decisiva la sottomissione dell'impero fascista al Reich nazista e la conseguente guerra. Non gli saranno mancate ansie e sofferenze, ma era spettatore. Durante e dopo la guerra potè mantenere, rinnovare e istituire rapporti stretti con vinti e vincitori d'ogni parte. Anche qui, ad esempio per i rapporti con De Gasperi e con Togliatti, si legge ultimamente questo libro su di lui. Persino gli spettrali cattocomunisti entrarono nel suo gioco. Forse perché in quel momento parevano vivi e validi nel campo opposto gli spettri dell'Italia risorgimentale e anticoncordataria: liberali, repubblicani, azionisti. Ci voleva suprema lucidità di testa e di fede per uscire indenni dal mercato nero del dopoguerra. La Chiesa stessa era impegnata nel mercato: un papa diplomatico, sopravvissuto impotente e scornato alla guerra calda, si dava ora un gran da fare nella guerra fredda. Resta significativo che De Luca si avvicinasse a Don Sturzo proprio quando il vecchio esule, tornato in patria, si ritrovava isolato e sospetto a Roma. Testa e fede non sarebbero ba- P P. Cavallo P. Del Bosco P. laccio R. Messina La guerra immaginata a cura di Aurelio Lepre Teatro, canzone e fotografia | tra il 1940 e il 1943 : Storia moderna e contemporanea pp. 256 L. 24.000 Il metodo del discorso * a cura di Guglielmo Bel lei li : L'analisi delle produzioni discorsive in psicologia e in psicologia sociale | pp. 240 L. 25.000 | Vito A. Sirago L'uomo del IV secolo Le trasformazioni politiche, sociali e ! culturali alla fine dell'Impero Romano ! pp. 416 L. 36.000 LIGUORI EDITORE Carlo Formenti immagini del vuoto Conoscenza e valori nella gnosi e nelle scienze della complessità Teoria & Oggetti pp. 164 L. 15.000 Teorie della internazionalizzazione e realtà italiana a cura di Nicola Acocella e Roberto Schiattare/la Studi e ricerche del Dipartimento di Economia Pubblica dell'Università «La Sapienza» di Roma pp. 390 L. 35.000 Silvia Di Lorenzo La donna e la sua ombra Maschile e femminile nella donna di oggi| Inconscio e cultura pp. 196 L. 22.000 Umberto Giani La mente diagnostica Probabilità, incertezza e modelli di Intelligenza Artificiale in Medicina pp. 396 L. 39.000 PIÙ LIBRI PIÙ IDEE.