pag. 11 Cinque voci di una condanna di Anna Chìarloni Christoph Hein, La fine di Horn, Edizioni e/o, Roma 1989, ed. orig. 1985, trad. dal tedesco e prefaz. di Fabrizio Cambi, pp. 200, Lit 24.000. L'edizione originale qui indicata è quella apparsa nel 1985 in Germania Federale presso Luchterhand. Vale la pena raccontare quello che intanto, in quello stesso anno, capitava a est. Il romanzo giaceva da tempo in bozze presso la casa editrice Aufbau e lì si era arenato. Finché un giorno, grazie ad un provvidenziale errore tecnico — ma qualcuno parlò invece di uno sberleffo della base nei con-j fronti dell'apparato censorio — il lì— | bro uscì travestito con un'innocente copertina da romanzo per ragazzi, in qualche centinaio di copie. E venne venduto, e nessuno tornò nelle librerie reclamando che titolo e autore non avevano a che fare col testo che seguiva, anzi andò a ruba ancor prima che un diligente funzionario si accorgesse della "svista". Ci fu un certo rumore, finché finalmente l'anno successivo La fine di Horn venne ufficialmente pubblicato anche nella RDT. Ma perché tanta esitazione? Perché Hein riesplora con questo romanzo la storia della repubblica socialista fino dalle fondamenta, riesumando le vittime che in quella costruzione furono murate. Horn è uno storico di Lipsia che nei primi anni cinquanta viene accusato di revisionismo e confinato a Guldenberg, un'immaginaria cittadina termale della RDT, a dirigere un modesto museo di provincia. Qui tenta di sopravvivere rifugiandosi nell'archeologia del mondo preistorico, un mondo troppo antico "per mentire ancora", ma il progressivo isolamento, l'ottuso conformismo degli abitanti di Guldenberg e un'ulteriore scomunica ideologica connessa con la fuga della sorella nella Germania Federale lo conducono al suicidio. Dopo aver messo in scena il tema della sconfitta della rivoluzione (i testi teatrali più significativi, compreso il recentissimo Passaggio, sono ora disponibili nella traduzione di Fabrizio Cambi presso la Tipografia Editrice Pisana) e aver affrontato il tema dell'alienazione quotidiana in L'amico estraneo (Edizioni e/o 1987), Hein si confronta dunque col tema dello stalinismo nella RDT. E lo fa attraverso una struttura narrativa che gli consente di mettere in stretta relazione — ecco l'altro aspetto scottante del romanzo — il dogmatismo burocratico degli anni cinquanta con il passato nazista. La storia di Horn viene ricostruita dopo oltre vent'anni — la visuale da cui si guarda al passato è quindi quella attuale — attraverso le deposizioni di cinque personaggi che a turno danno la loro versione dei fatti. Ne nasce una cronaca contraddittoria e lacunosa, dal cui gioco prospettico più che un ritratto dettagliato di Horn emerge l'immagine di una comunità ipocrita, che nasconde dietro un perbenismo bigotto e polveroso, l'im- pronta del nazionalsocialismo: la tendenza al sospetto, l'esercizio della delazione, la supina acquiescenza al potere, il malcelato disprezzo per i diversi. E questo il sostrato — suggerisce Hein — che ha consentito allo stalinismo di attecchire nella RDT. I riferimenti cronologici sono puntuali. Il suicidio di Horn risale al 1957, l'anno del duro giro di vite successivo ai fatti d'Ungheria, cui seguì — proprio a Lipsia — l'arresto di Ha-rich e l'emarginazione di intellettuali prestigiosi come Bloch. Questo lo scenario di fondo, ma Hein cala il trionfo dello schematismo ideologico di quegli anni in una dimensione provinciale, in una cornice quasi domestica, che ben si pre- sta a dimostrare come sopraffazione e acquiescenza, arbitrio e servilismo si possano correlare con quello che oggi all'est si suol definire come "fascismo quotidiano". Situazioni e personaggi minori dunque, comparse di una cronaca di provincia, che restituiscono bene al lettore l'atmosfera soffocante di quegli anni. Kruschkatz, ad esempio. Funzionario di partito nonché sindaco di Guldenberg, Kruschkatz sa benissimo che Horn è vittima di un'ingiustizia, ma la giustifica in nome della "legge ineluttabile della Storia" che, secondo lui, richiede anche il sacrificio degli innocenti. Una concezione della politica che non lascia spazio a tipi come Horn perché chi si ostina a Diabolico divino di Anna Baggiani Oskar Panizza, Il concilio d'amore et coetera et coetera, preludio di André Breton, L'Affranchi, Salorino 1988, trad. dal tedesco di Andrea Chersi, pp. 173, Lit 9.500. Un agile libretto da consigliare, come livre de chevet, al nostro ministro della sanità. È un'operazione coraggiosa, curiosamente tempestiva, per questa piccola casa editrice che pubblicò, l'anno passato, il Diario di un cane dello stesso autore, accanto ad altri titoli interessanti, distribuiti attraverso canali alternativi (si meritano, sì, l'indirizzo: cas. post. 53, CH-6872 Salorino). Se i racconti qui contenuti ben si prestano a dare un'idea della vena fantastica, alla Poe, con oscillazioni tra razionalismo ed espressionismo, dell'autore — deliziosa la presa in giro di Sweden-borg nel Delitto di Tavistock Square — altra cosa è il pezzo forte che dà il titolo al libro: una Tragedia celeste in cinque atti, accompagnata dal surreale preludio di Breton, artefice del repechage francese degli anni '60. In cielo, a concìlio, un Dio trascinante un'eterna vecchiaia, con relativo corredo farmaceutico, un Cristo emaciato e tìsico, letteralmente consunto dall'amore dei fedeli, una leziosa Madonna e, ultimo, in forma dì fuoco, lo Spirito Santo, scandalizzati dalla corruzione umana, decidono una punizione adeguata. Convocato, pertanto, il demonio, gli lasciano mano libera, secondo le sue competenze, in cambio della libertà di stampa. Con un lampo di genio, accoppiandosi con la voluttuosa Salo-mè, il demonio darà vita alla sifilide, che impesterà il mondo (siamo giusto nell'Italia fine '400). Avvelenare agli uomini "l'ebbrezza d'amore, la più innocente, la più dolce felicità che conoscano" e lasciare spazio alla redenzione: ecco la diabolica invenzione, in ottemperanza al divino dettato. Costruito con un taglio vivacemente caricaturale — il vero obiettivo del protestante Panizza è ovviamente la Chiesa Cattolica — con l'immediatezza del pezzo da cabaret, il dramma denunzia l'amarezza nascosta della satira che colpisce il segno: il monologo del diavolo è un piccolo capolavoro; agghiacciante la descrizione del decorso della malattia — non per niente l'autore era un medico. Ma la libertà di pensiero, e di stampa, aveva un prezzo ancora troppo alto nella moderna epoca guglielmina: dal che discende, infine, che il diavolo viene gabbato, come in tutte le storie che si rispettino. Per II concilio d'amore, apparso nel 1894-95, a Panizza toccò infatti un anno di prigione. Fu condannato per "oltraggio alla religione", nonostante la sua appassionata autodifesa in cui, rivendicando il diritto alla satira, tirava in ballo Hogart, Pamy con la sua Guerre des dieux, pubblicata un secolo prima, e, per restare in patria, il "vero tedesco" Sebastian Sailer, predicatore e autore di un'umoristica Caduta di Lucifero. "Tedesco, francese o inglese... nessun popolo rinuncia a mettere alla berlina la propria religione": varrebbe forse la pena di riprendere, oggi, il discorso. Inutile fu anche la difesa letteraria ad opera dell'amico Conrad, fondatore nel 1891 a Monaco di quella "Gesellschaft fùr modernes Lehen" che raccoglieva la bohème rivoluzionaria cui Panizza si era legato. Profondamente segnato dall'esperienza della prigione, dall'esilio tra la Svizzera, dove continuava a pubblicare, e Parigi; ancora condannato in Germania per "lesa maestà" per le poesie di Parisiana (1899), Panizza morì nel 1921 nel manicomio dove era stato ricoverato per ben quindici anni. pretendere giustizia — così argomenta Kruschkatz ancora vent'anni dopo, ricostruendo a suo modo la fine di Horn — si rivela inadatto al vivere sociale, dunque destinato a quella morte "come un bue al mattatoio". Hein dispone di una notevole sensibilità per i registri linguistici (che la traduzione di Cambi conserva felicemente) ed è proprio qui, nel lessico di questo funzionario e dei suoi zelanti tirapiedi, che il lettore tedesco coglie la sinistra continuità tra la "lingua tertii imperii" e gli slogan dei funzionari di Ulbricht. Una continuità che nel romanzo filtra anche attraverso altri personaggi come Spodeck, cinico e colto medico di provincia, che nasconde sotto il suo garbato nichilismo un'accondiscendenza interiore al passato regime, cui peraltro l'intera stazione termale deve il suo benessere economico. E attorno a lui la massa amorfa e conformista, la stessa che — ligia al dovere nazista della delazione — ha a suo tempo consegnato Marlene, una bambina-minorata, all'eutanasia nazista. Salvatasi grazie al sacrificio della madre, questa figura dolente, folle e insieme veggente, rimanda ad un topos frequente nella recente letteratura della RDT. Penso a Geh-versuche (1985) di Harald Gerlach e Bronnsteinskinder (1986) di Jurek Becker: anche qui figure di adolescenti oltraggiati dalla violenza nazista, che pur nella loro anomalia psichica costituiscono una sorta di saldo riferimento, quasi depositari isolati di un'umanità perduta, per l'individuo macinato dagli eventi del dopoguerra. Marlene indica la traccia di un'integrità affettiva, tramite innocente con quel carrozzone di zingari che ogni anno, fino alla morte di Horn, compare al limitare del bosco. È questo un simbolo di autentica vita comunitaria anche per il piccolo Thomas, un'altra delle voci narranti, come Marlene fragile e inerme: il gruppo di nomadi rappresenta per loro un modello esistenziale opposto a quello della pingue e corrotta Guldenberg. Con un rimando implicito a Bloch, è il folle, il primitivo o il bambino che — proprio perché marginale — resta intatto, non tatuato dal sistema di dominio vigente, dunque in grado di leggere oggettivamente la realtà. Per questo la voce di Horn avanza dal passato proiettandosi sull'oggi (uno scarto temporale che nell'edizione Luchterhand è segnalato dal corsivo, su pagine non numerate) e vibra dallo spazio chiuso tra un capitolo e l'altro incalzando Thomas, ormai adulto, a ricordare. Perché la storia dello stalinismo nella RDT — finora censurata e rimossa — deve ancora essere scritta. M.L. von Franz SGUARDO DAL SOGNO I sogni di famosi filosofi e uomini politici dell'antichità interpretati dalla più importante allieva di Jung J. Bowlby UNA BASE SICURA APPLICAZIONI CLINICHE DELLA TEORIA DELL'ATTACCAMENTO L'influenza delle esperienze infantili sullo sviluppo della personalità R Casement APPRENDERE DAL PAZIENTE Una serie di toccanti insight nel vivo della tecnica analitica E. Gaddini W.R. Bion SCRITTI 1953-1985 Un contributo di grande rilievo e originalità al pensiero psicoanalitico contemporaneo SEMINARI CLINICI BRASILIA E SAN PAOLO L'esperienza viva del lavoro di supervisione con il famoso psicoanalista S. Cirillo R Di Biasio LA FAMIGLIA MALTRATTANTE DIAGNOSI E TERAPIA Una risposta incisiva a un fenomeno sempre più drammatico a cura di A. Saraval LA SEDUZIONE SAGGI PSICOANALITICI Al vàglio della psicoanalisi modi, tempi e ragioni della relazione seduttiva