n. 6 rindicf -x ■■dei libri del meseBì Arte Marco Chiarini, Il paesaggio nelle Gallerie Fiorentine, Fratelli Palombi, Firenze 1988, pp. 139, Lit 15.000. Con una soluzione inedita per una guida, il libro propone un percorso che attraversa le più importanti pinacoteche fiorentine scegliendo come filo conduttore un motivo iconografico, la rappresentazione del paesaggio in pittura. La ricchezza delle collezioni cittadine permette all'autore di tratteggiare, con brevi capitoli introduttivi, una storia del paesaggio non solo italiano, dalle origini alla sua progressiva affermazione come genere autonomo, fino alle diversificate esperienze del naturalismo ottocentesco, qui forse un po' svalutate dall'identificazione del moderno con l'impressionismo. Nel contempo, il volume offre al lettore l'opportunità di seguire, secondo un'ottica inconsueta, l'evolversi del collezionismo, dalla grande tradizione medicea alle acquisizioni post-unitarie. Scritta con espliciti intenti didattici, la guida è completata da un'utile sezione di schede dei dipinti più significativi, esemplari per completezza di informazioni e chiarezza espositiva. Maria Perosino Giulio Paolini, a cura di Augusta Monferini, Mondadori - De Luca, Milano-Roma 1988, pp. 126, Lit 35.000. La Galleria Nazionale d'Arte Moderna di Roma ha aperto le porte alla ricerca artistica in atto, dedicando un'ampia retrospettiva ad uno dei protagonisti delle vicende internazionali dell'arte concettuale. Così come la mostra, il catalogo è articolato in sette sezioni tematiche, ordinate cronologicamente al loro interno. Tutto è all'insegna di un sottile gioco di rimandi, dallo schema del catalogo e della mostra, che l'artista controlla in ogni fase, dall'ideazione all'esposizione, ai temi della visione e dell'apparenza, dello spazio e della sua rappresentabilità, del doppio e della memoria, tutti riconducibili a quello dello sguardo, filo rosso che permette di ricondurre a un percorso unitario il lavoro di Paolini, dall'essenzialità delle prime opere alla complessità riccamente orchestrata delle installazioni recenti. Gli interventi in catalogo di Augusta Monferini, Gianni Vattimo e Saverio Vertone tendono rispettivamente a definire la posizione dell'artista torinese nel contesto delle ricerche concettuali dal '60 ad oggi, a sottolineare la sua capacità di aprire all'arte spazi di "abitabilità" culturale ed esistenziale, a fotografare la "soggettività apolide" di un artista che ha scelto di limitarsi ad enunciare le regole del gioco della produzione artistica. Maria Teresa Roberto Manuela Morresi, Villa Porto Colleoni a Thiene. Architettura e committenza nel Rinascimento vicentino, Electa, Milano 1988, pp. 100, Lit 35.000. La villa Porto Colleoni a Thiene è senza dubbio una fabbrica di difficile interpretazione perché vi convivono elementi apparentemente contrastantì: una coerenza strutturale che prelude alla villa rinascimentale si unisce alle caratteristiche della medioevale casa-fondaco veneziana, una sintassi regolare si esprime con vocaboli gotici e cortesi. L'edificio in realtà, come ha dimostrato Manuela Morresi intrecciando nella sua ricerca documenti d'archivio e fonti letterarie, analisi stilistica degli elementi architettonici ed iconografica delle decorazioni, è il fedele ritratto di coloro che l'hanno voluta ed abitata, la cristallizzazione della loro storia famigliare, politica e culturale. La villa nasce infatti nella prima metà del XV secolo come centro organizzativo del feudo agricolo di Francesco da Porto ed insieme come segno del grande potere economico da lui raggiunto. Neil'adottare però, e nel lasciar trasparire anche in facciata, la disposizione interna dei palazzi lagunari, essa ribadisce senza possibilità di equivoco lo schieramento della famiglia a favore delle crescenti fortune della Dominante. L'individuazione delle ragioni intrinseche all'edificio permette all'autrice di datarne il progetto e la costruzione al quinto decennio del Quattrocento, confutando anche le proposte recenti che, sulla base di prove di termoluminescenza condotte su alcune partì della muratura, vorrebbero ritardare la fabbrica a dopo il 1520, ad un tempo cioè che la renderebbe un inspiegabile ed anacronistico esempio di revival. La scelta politica dei da Porto, sempre in bilico tra interessi locali e fedeltà alla Repubblica veneziana, è il filo rosso che guida anche la lettura degli interventi cinquecenteschi voluti da un secondo Francesco (1472-1554), generale collaterale per i veneti, uomo d'arme ma anche erudito, secondo quanto esigeva oramai il Rinascimento maturo. La villa, a questo punto non è più al centro di un grande impero economico. Trasformandosi in arcadia umanistica perde i suoi merli feudali e si popola all'interno, grazie agli affreschi del Veronese, dello Zelotti, del Fasolo, di dei ed eroi antichi che mettono in scena, entro candide logge corinzie, gli ideali politici del Collaterale; mentre Andrea Palladio e Cristoforo Sorte lasciano nel giardino rispettivamente una vera da pozzo ed una grotta con giochi d'acqua a ricordo di un'epoca che la nobiltà vicentina vuole vivere come olimpica. Matteo Ceriana Giacomo Quarenghi architetto a Pietroburgo. Lettere e altri scritti, a cura di V. Zanella, Albrizzi, Venezia 1988, pp. 517, Lit 80.000. L'edizione completa delle lettere quarenghiane giunte sino a noi, ci offre uno stimolante capitolo di storia dell'architettura fra fine Settecento e inizio Ottocento, incentrato su una delle figure più importanti della stagione del neoclassicismo internazionale. L'epistolario restituisce uno spaccato della vita di Giacomo Quarenghi, illuminandoci sui suoi gusti, sul suo carattere, sulle sue inclinazioni nel campo della letteratura e della musica. Scandendo ritmicamente le fasi della vita dell'architetto, le lettere ci accompagnano passo passo lungo la sua attività dagli esordi romani sotto Mengs, Posi e Derizet all'approdo in Russia nel 1780, al servizio di Caterina II, Paolo I e Alessandro I. Una serie di lettere si riferisce all'unica opera eseguita in Italia, la Chiesa di Santa Scolastica a Subiaco (1770-76), che condensa, nella nitida aula partita da paraste e colonne ioniche, i tratti dello storicismo neo- cinquecentesco, neopalladiano, tipico di tutta la produzione di Quarenghi. Le lettere ci confermano questo dato stilistico ricorrente: l'ammirazione di Quarenghi va innanzitutto all'opera di Tommaso Temanza, commentatore di Palladio e autorevole palladiano, "unico che in questo guasto secolo mi puoi dirigere", secondo soltanto all'autorità dell'Antico, che è stato "la prima base d'ogni mia osservazione". Ugualmente autorevole è l'insegnamento dei maestri del Cinquecento a cui vanno le lodi negate ai contemporanei, troppo spesso "capricciosi" e indifferenti alla regola classica. Paolo San Martino Daniela Mignani, Le botteghe di Firenze, prefaz. di Sergio Bertelli, La Casa Usher, Firenze 1988, pp. 160, Lit 60.000. La prima edizione del Ricettario fiorentino risale al 1498; il commesso in pietre dure ebbe origine a Firenze NOVITÀ DI GIUGNO Ivan A. Goncarov I DIVERTIMENTI DI IVAN SA VIC Simone de Beauvoir BRUCIARE SADE? Tre fondamentali saggi dell'autrice de II secondo sesso: un ritrailo inquietante del «divino marchese», un'analisi del pensiero della destra oggi, un confronto tra il pensiero di Sartre e quello di Merleau-Ponty. William Somerset Maugham LIZA DI LAMBETH L'ALTRO CIELO. RACCONTI FANTASTICI ARGENTINI a cura di Lucio D'Arcangelo Teresa Carrubba IL GELATO Lucarini al tempo di Francesco I; e ancora, una delle più antiche specializzazioni tra i mestieri della ceramica, l'orciolaio, viene già citata nel 1195. Queste sono alcune tra le tante notizie raccolte da Daniela Mignani nel libro che offre l'opportunità di conoscere le botteghe di Firenze ed il loro evolversi nel tempo, dalle corporazioni alla loro soppressione, dalla nascita alla crisi delle manifatture. Le fotografie di Liberto Perugi, immagini di spazi, di strumenti di lavoro, di oggetti rimandano molto bene ad una tradizione che si lega ad un passato in cui il mestiere si chiamava ancora arte. Ma il panorama che ci propone la rassegna di Daniela Mignani ci guida di notizia in notizia fino ad una domanda che sembra inevitabile, se cioè questa fabrilità che ha portato gli artigiani fiorentini a ricercare una tradizione ed a continuarla spesso con successo, abbia poi giovato all'espressione fattuale dell'opera. Anche a Firenze quanti saranno stati i Bi-stolfi chiusi in un'officina in cui dovevano dare il meglio di sé in lastre mortuarie e non negli oggetti della nuova scultura? E certi ritardi e ripiegamenti su stili passati, ripetuti con ansia retro ed in quanto semplici modelli decorativi, nascono da una richiesta legata ad una certa immagine di Firenze o non sono connaturati alle dinamiche stesse della "bottega"? Una domanda che resta come problema di sottofondo ma che non toglie niente a questo bel volume dedicato ai luoghi e ai modi del lavoro artigiano a Firenze. Marina Romiti I manifesti mele, catalogo della mostra a cura di Maria Antonietta Picone Petrusa, Milano, Arnoldo Mondadori-Roma, De Luca Editore, 19.88, pp. 240, Lit 40.000. Catalogo della mostra napoletana, il volume, corredato da una ricca appendice documentaria, costituisce un'indagine esauriente e vivace della promozione pubblicitaria dei Grandi Magazzini Mele (1889-1915) e dà uno spaccato vivacissimo del periodo che vede presenti a Napoli ligure come Matilde Serao, Salvatore di Giacomo o Edoardo Scarpetta. Colti e dinamici, i Mele lanciano campagne pubblicitarie precorritrici delle attuali tecniche di persuasione occulta; operazioni su larga scala li vedono impegnati in una concorrenza agguerrita con i Magazzini Miccio, in un'attenta regia della propria immagine. Immagine confezionata secondo canoni seducenti ed attenta a difendere i valori tradizionali della famiglia. Da Cappiello a Dudovich, da Metlicovitz a Villa attraverso la Ricordi di Milano vengono reclutati cartellonisti fra i migliori del panorama europeo. Accanto all'immagine affidata ai manifesti, i Mele studiano soluzioni di vendita propagandistica come "il giovedì dei bambini" o "il sabato degli operai" e contemporaneamente, in una ricerca di immagine più tradizionale, legano il loro nome ad opere di beneficenza. Il declino dei loro magazzini inizia verso il 1915 e presto giungono al massimo sviluppo quei Magazzini dei Fratelli Bocconi per i quali d'Annunzio conia un nome denso di allusioni e promesse: La Rinascente. Lucilla Sacca Le tappezzerie nelle dimore storiche. Studi e metodi di conservazione, Atti del IV Convegno CISST, Firenze 1987, Allemandi, Torino 1988, pp. 234, Lit 30.000. L'edizione degli Atti del IV Congresso del Centro Italiano per lo Studio della Storia del Tessuto, tenutosi a Firenze nel marzo 1987, ha il merito di rendere pubblica una documentazione che per la particolarità della materia circola normalmente tra specialisti, ma ha invece le qualità per interessare diverse categorie di persone, non ultimi coloro che possono fare opinione. La competenza che si è raggiunta nel restauro e nella conservazione dei tessuti antichi, anche per la possibilità di confrontarsi con le esperienze dei centri stranieri più attrezzati, richiede un approfondimento maggiore quando i materiali (tessuti parietali, tessuti montati, panneggi...) fanno parte di realtà definite e per loro natura subiscono, ed enfatizzano, l'eventuale degrado dell'ambiente. Da qui la necessità di intervenire non solo sull'arredo in sé ma anche sulle strutture di supporto, tenendo conto che alla specificità del problema "tessuto" si aggiunge l'unicità del suo contesto, per cui non possono darsi soluzioni generalizzate. Dall'esame dei metodi e delle tecniche relativi agli interventi sulle dimore storiche (che hanno impegnato operatori, pubblici e privati, in Piemonte, Lombardia, Veneto, Liguria, Emilia-Romagna, Toscana, Sardegna), deriva la possibilità di confrontare scelte e verificare soluzioni, affinché in situazioni analoghe la razionalizzazione dei problemi possa precedere di poco la loro soluzione. Alessandra Rizzi