■■■me».. riNDjCF > ■■dei libri del meseHH Premesse alla poesia di Guido Neri Giovanni Macchia, Baudelaire crìti- co, nuova edizione riveduta e accre- sciuta, con una Premessa di Gian- franco Contini, Rizzoli, Milano 1988, pp. 357, Lit 28.000. Nelle pagine relativamente tor- mentate che Benedetto Croce dedicò nel 1919 a Baudelaire (riprese in Poe- sia e non poesia) si leggeva questo au- torevole riconoscimento: "Dell'Ar- te, pochi, non solo tra i letterati fran- cesi, ma anche tra i filosofi di profes- sione, ragionarono con pari profondità di lui". Ma, a parte qual- che episodio isolato, negli studi bau- delairiani apparsi in Italia prima del 1939, il versante critico dell'opera venne per lo più ignorato. Il proble- ma fu toccato, in termini di poetica e fuori dell'ambito della francesistica, nei due grandi libri di Praz (1930) e di Anceschi (1936). Ed è stato poi il Baudelaire critico di Macchia a orien- tare, per diverse generazioni di letto- ri, la conoscenza della critica d'arte e letteraria del poeta, a fissarne il valo- re e il significato. Su scala internazio- nale, l'importanza dell'acquisizione non era — virtualmente — molto di- versa, se nel 1943 il Baudelaire critico di Macchia era l'unica monografia in volume, oltre al libro di Ferran sulle concezioni estetiche, a figurare nella bibliografia specifica inserita da Margaret Gilman nel suo Baudelaire the Cri tic. "Troppo tardi, o troppo presto?" — scrive oggi Giovanni Macchia, rievocando nella Breve avvertenza del- l'Autore l'uscita del libro nell'agosto 1939 — "Un mese dopo la Francia dichiarava guerra alla Germania. Un anno dopo l'Italia dichiarava guerra alla Francia" (p. 15). Doppio inter- rogativo che si sarebbe tentati di in- tendere come retorico, già solo a con- siderare la qualità dei primi recensori (Landolfi, Ferrata, Binni, Blin). Re- sta la singolarità del frangente: alle soglie del grande conflitto, dunque di un più o meno radicale mutamento delle condizioni esterne e interiori di ricezione, ma anche alla vigilia di al- meno un quindicennio di intensifica- ta mobilitazione interpretativa in- torno al poeta delle Fleurs du mal. Di quello stesso 1939 è il primo Baude- laire di Georges Blin (mentre, presso- ché inosservato, Walter Benjamin affidava alla rivista dei "francoforte- si" un frammento a scoppio ritardato della sua grandiosa elaborazione in- compiuta). A esplorare lo spazio di risonanza della poesia baudelairiana vennero subito dopo L'Ame romanti- que et le rève di Albert Béguin e nel 1940 l'edizione definitiva di De Bau- delaire au Surréalisme di Marcel Ray- mond. Negli anni successivi, il Tom- beau de Baudelaire di Jouve, il secon- do volume baudelairiano di Jean Pommier, il Baudelaire di Sartre (che ebbe se non altro il merito storico di provocare, oltre alle repliche di Blin e altri, due interventi essenziali da parte di Bataille e di Blanchot), il li- bro di Fondane su Baudelaire et l'ex- périence du gouffre, fino alle mono- grafie di Jean Prévost e di M.A. Ruff , e ai primi approcci baudelairia- ni della "nuovelle critique" (Poulet, 1949; J.P. Richard, 1955). Parallela a una tale tempesta interpretativa, la messa a punto dei grandi strumenti di lavoro: edizione critica Crépet- Blin delle Fleurs du mal nel '42 e dei cosiddetti Journaux intimes nel '49; completamento delle Oeuvres com- plètes curate da Crépet, col contribu- to di CI. Pichois. Non sarà parso troppo inopportu- no, spero, rievocare — così, alla rin- fusa — qualche esempio di quella bi- bliografia, tanto centrale apparve al- lora la definizione dell'immagine di Baudelaire per la coscienza dell'inte- ra modernità. Discorso universitario e riflessioni saggistiche, analisi meto- diche e ipotesi innovative o solitarie di lettura convergevano in quel com- pito, con notevoli episodi di inter- scambio. Ad animare la ricerca era- no, ripercosse nella discontinuità esi- stenziale degli anni di guerra, le espe- rienze di pensiero più recenti — fenomenologia e psicanalisi, surreali- smo o poesia pura, ma anche un certo marxismo e una religiosità aperta, fin dentro la cultura cattolica — secon- do una generale esigenza, specifica della modernità, di problematizzare, rileggere, trasformare il passato. Di questo clima partecipa del resto, nel '46, il terzo libro baudelairiano di Macchia (dopo un'edizione delle Fleurs du mal): Baudelaire e la poetica della malinconia. Nella nuova immagine del poeta, l'espressione "Baudelaire critico" tendeva ad assumere una peculiare e feconda "doublé entente". Sulla di- sposizione critica come tratto essen- ziale della personalità poetica di Bau- delaire, sulla sua "situazione" rispet- to al Romanticismo, da lui filtrato at- traverso una "lecture ralentie" (che secondo il suggerimento di Nietz- sche è lettura filologica nel senso pie- no) già aveva insistito Valéry (più volte citato da Macchia), fino alla no- ta definizione di un Baudelaire "classico", in quanto "écrivain qui porte un critique en soi-mème et qui l'associe intimement à ses travaux"; ma sull'aspetto più specifico del pro- blema — l'attività di Baudelaire nel "genre terriblement facile, et donc terriblement difficile, de la critique d'art", e letteraria — egli non si era poi soffermato. Quella frase di Valé- ry sembrava sollecitare una verifica del valore non dilettantesco assunto in Baudelaire dall'esercizio critico. Fu forse per questo che il libro di Macchia prese in larga parte la forma — allettante e impegnativa — di una rassegna dei reiterati confronti criti- ci di Baudelaire con gli artisti e scrit- tori a lui contemporanei. Ora, "i poeti, gli artisti che Baudelaire amò sono, quasi tutti, quelli che noi ancor oggi amiamo ed ammiriamo" (p. 22). Al capitolo su Delacroix, con bellissi- me citazioni dal Journal e da altri scrit- ti dell'artista, seguono dense pagine dedicate a Corot, Ingres, Courbet, Manet ecc., é più avanti a Flaubert, Sainte-Beuve, Gautier, Hugo ecc. Si presentava, a questo punto, il rischio che le opzioni critiche baude- lairiane finissero per trovarsi sotto- poste in modo un po' riduttivo al va- glio implicito della prospettiva criti- ca novecentesca. Ma, se consente a far trasparire con discrezione, in cer- te pagine su Delacroix o su Guys, un presentimento dell'Impressionismo, Macchia sfiora soltanto, senza la- sciarsene catturare, il problema (più tardi tanto discusso) di una presunta reticenza riguardo al giovane Manet; così come, altrove, l'aver rilevato il "vuoto" di un ritratto critico di Bal- zac non gli impedisce di precisare la fascinazione esercitata sul poeta da questa figura esemplare. Che la critica per Baudelaire non potesse essere che appassionata — il che significa intelligente e partecipe, impegnata nella ricerca e nella lettura delle forme, convinta della più intera responsabilità immaginativa e for- male dell'artista come soggetto — Io dimostrano ancora più particolar- mente le pagine dedicate in questo li- bro a temi chiave come il Romantici- smo, il colore, il disegno e la "defor- mazione", la Natura, le corrispon- denze e il "surnaturel" il "reali- smo", la "vie moderne", il paesaggio e — per la stessa conversione profon- da di significato che è condensata, in termini poetici, nel titolo Paysage ad apertura dei Tableaux parìsìens — il "paesaggio urbano" (e interiore). L'attenzione di Macchia resta concentrata il più possibile sull'eser- cizio applicato della critica, frenando gli sconfinamenti nel terreno attiguo di una estetica e poetica baudelairia- na; si spiega così che il Salon de 1859, con La Reine des facultés e col capito- lo provocatorio sulla fotografia, non dia luogo a una discussione più am- pia. Preferisce esplorare gli episodi in cui la critica di Baudelaire si trova alle prese con i linguaggi differenzia- ti dell'arte: riserve, poi pronuncia- menti più sfumati a proposito della scultura (posti qui a riscontro del di- battito cinquecentesco sullo stesso argomento); interesse insistente per la caricatura, connesso da un lato alla ricerca sull'Essence du rire e dall'altro all'interpretazione di artisti come Daumier o Grandville tra i francesi, Leonardo, Hogarth, Goya, Bruegel, tra gli stranieri (Macchia vi dedica un intero capitolo, dopo quelli su De- lacroix e sui Salons, arricchendo la documentazione con un arco vastis- simo di riferimenti). Ma commenta minutamente anche un episodio a parte come quello dei giudizi sulle Liaisons dangereuses: poche pagine di appunti, che hanno dato il tono alla lettura di Laclos. Certi grandi momenti della critica di Baudelaire tendono a configurarsi come "dei veri e propri incontri con se stesso" (p. 81). Il transfert su Poe è ricondotto da Macchia, dai termini episodici della semplice esperienza critica, alla sollecitazione poetica di un mito o "biografia morale", e in- dagato soprattutto come assunzione di alcuni postulati estetici decisivi. Diverso è il caso di Meryon, per cui la preferenza di Baudelaire (attestata da una pagina del Salon de 1859 e nel- le lettere) si manifesta direttamente, Il mondo è mobile Giovanni Macchia, I Moralisti Classici: da Machiavelli a La Bruyère, Adelphi, Milano, 2" ed. 1988, pp. 470, Lit. 18.000. Tra Don Giovanni e Don Rodrigo, ma anche prima di loro, ci sono i moralisti classici, dì cui Macchia pubblicò un 'affascinante antologia, ora riproposta, fin dal 1961. Se gli scenari secente- schi stabiliscono paralleli e diffrazioni tra vita e scrittura, tra personaggi reali da una parte e tea- trali o romanzeschi dall'altra, i moralisti illustra- no la meditazione sulla vita che la scrittura com- pie tra Cinque e Seicento. Dalla sua solitudine, il moralista osserva un mondo in crisi, eminente- mente mobile; si affaccenda intorno ad "un'im- magine labile e incerta per sedurla e captarla". E Macchia raccoglie queste immagini in grandi campiture, nelle quali lascia parlare gli autori stessi, accompagnandone le riflessioni con una splendida Introduzione generale e brevi consi- derazioni su ciascun brano e ciascuno scrittore. Machiavelli, il padre fondatore del genere, af- fronta l'incertezza discutendo del potere (cioè dell'uomo) con la lucida certezza della ragione, ma già Guicciardini s'affida al "ricordo", al frammento. Ancora in Italia, Castiglione rivela l'altro volto dell'uomo rinascimentale, quello "idillico", costruendo l'immagine ideale della "corte" di Urbino, e Guazzo indica il difficile equilibrio tra "conversazione" e "solitudine", mentre in Spagna Antonio De Guevara si abban- dona all'idillio della solitudine bucolica. È pro- prio dal "piacere della solitudine" che nasce il saggio dì Montaigne, lo sperdersi del pensiero non sistematico, ma infinito, su se stesso, della cui ammaliante mancanza di punto fermo di- scorreranno più tardi nel libro Pascal e De Saci. Se in Montaigne e Bacone questa meditazione ha ancora un equilibrio, esso si rompe subito. La solitudine è l'anticamera della malinconia, della follia: ed ecco /'Hospidale de' Pazzi Incurabili di Tomaso Garzoni, ecco /'Anatomia di Burton (o, più leggeri e sereni, Quevedo e Browne). Il Potere, tuttavìa, è sempre più forte: torniamo, con l'arte della dissimulazione, a Graciàn, a Mazzarino, e giungiamo a Torquato Accetto, che non sa decidere tra i due estremi, la Corte e la cella solitaria, tra il Cardinale e Pascal. La mo- ralità è scomparsa, rimane "il gioco degli interes- si immediati". Di contro, si staglia appunto Pa- scal, nell'austero isolamento del ' 'moralista pu- ro", così diverso dell'analitico Cartesio delle Passioni dell'anima. Tra Pascale La Bruyère il filo della solitudine è continuo: per ambedue il "male" nasce dal non stare soli. Ma il "male" del primo, che si ri- tira dal mondo, è diverso da quello del secondo, che nel mondo si intrattiene. Tra i due, tra la cor- te e la cella, La Rochefoucauld: nel salotto, ma in esso "isolato", "gelido e amaro" nelle sue ri- flessioni e nelle sue massime. Dopo di lui, non resta a La Bruyère che guardare gli uomini da vi- cino, uno per uno, nel loro passare attraverso il tempo, nella ' 'labilità ' ' dei dettagli, dei gesti, de- gli accenti. I "caratteri" stanno per diventare personaggi di romanzo. I ' 'moralisti ' ' scavano tra le nostre passioni. Con le "linci del discorso" scoprono le "seppie dell'animo". Da loro, cre- do, noi possiamo apprendere, forse non più im- parare. (p.b.) Hans Kelsen L'ANIMA E IL DIRITTO Un'analisi dei concetti di Stato, diritto, giustizia, e anima con l'obiettivo di smantellare i resi- dui teologici della scienza poli- tica e giuridica. Guy Hermet ALLE FRONTIERE DELLA DEMOCRAZIA Un viaggio attraverso le regioni della democrazia nell'intento di spiegare non solo la genesi dei governi democratici, ma anche le tendenze che possono porta- re al loro degenerare in regimi autoritari. "TEORIA POLITICA" UNA NUOVA COLLANA DI EDIZIONI LAVORO