FEBBRAIO 1992 - N. 2, PAG. 4 II Libro del Mese Matematico chiama biologo. E viceversa di Aldo Fasolo Jean-Pierre Changeux, Alain Con-nes, Pensiero e materia, Bollati Borin-ghieri, Torino 1991, ed. orig. 1989, trad. dal francese di Claudio Milanesi, pp. 198, Lit. 35.000. "Quale è la natura degli oggetti matematici? Hanno un'esistenza indipendente dal cervello umano, che li scopre? Oppure, al contrario, sono semplicemente il prodotto dell'attività cerebrale, che li genera?" Jean-Pierre Changeux e Alain Connes, due notissimi studiosi del Collège de France, affrontano questi ed altri interrogativi formidabili, che esplicitamente rimandano a tematiche già delineate nei Dialoghi di Platone. E in forma di dialogo è il confronto serrato fra il matematico e lo studioso del cervello. Ma se l'impianto del libro ha un andamento classico, le ambizioni sono di fare un'opera di totale modernità. Attraverso le nuove conoscenze della matematica e grazie agli enormi sviluppi recenti delle neuroscienze, gli antichi problemi vengono rivisitati ed acquistano ulteriori valenze conoscitive. I due interlocutori partono da posizioni molto diverse. Il matematico Alain Connes, pur dichiarandosi materialista, crede che gli oggetti matematici possiedano una "realtà" distinta da quella sensibile. Il neurobiologo Jean-Pierre Changeux vuole realizzare un'epistemologia materialista forte, tentando di descrivere in che modo il cervello umano generi gli oggetti, inclusi quelli della matematica. L'incontro fra due discipline e due posizioni così diverse non è strumentale a descrivere le aree di interazione fra biologia e matematica, oggi assai fertili, ma vuole costituire una verifica delle rispettive "filosofie". Il dialogo si pone l'obiettivo di rispondere alla domanda "Una autentica intelligenza artificiale è realizzabile a partire dalla materia?". Un aspetto che accentua l'interesse per quest'opera è la volontà di andare oltre una riorganizzazione delle conoscenze attuali, a favore di un contributo speculativo di indole generale. Così, dopo un lungo e fitto dibattito, i due autori giungono ad una non-conclusione (o meglio, ad una alternativa fra due soluzioni), che Alain Connes condensa nella frase: "Scopriamo l'armonia della realtà... oppure siamo noi a creare l'armonia della realtà?" Il matematico è indotto a questa considerazione dopo essersi dichiarato materialista, ed avere nello stesso tempo sostenuto l'autonomia degli oggetti matematici e la loro esistenza indipendente, sotto l'effetto delle tesi di Changeux. Il libro contiene infatti una riformulazione ed un aggiornamento delle teorie neurobiologiche di Changeux — già diffuse in Italia attraverso L'uomo neuronale (Feltrinelli, Milano 1983), a impostazione rigorosamente materialista e in qualche modo neo-meccanicista — che attribuiscono le prestazioni del cervello umano e le funzioni mentali a reti estremamente complesse, ma stabilite, di cellule nervose (neuro-ni). Ma, e qui compare l'aspetto più interessante del pensiero di Changeux, il cervello deve le sue particolarità al fatto di essere un sistema in evoluzione. Il cervello non sarebbe soltanto un prodotto storico dell'evoluzione, ma è esso stesso uno strumento che si autocostruisce attraverso meccanismi di selezione. Questi processi di selezione a livello cellulare e molecolare influenzano e stabi- lizzano i circuiti nervosi e costituiscono le basi di un processo di selezione e di modellamento delle funzioni esplicate ai vari livelli organizzativi superiori (che vanno sino a quello della "ragione" kantiana, che in termini di architettura del sistema corrisponde ad "associazioni" di "assemblee" di neuroni). Questa duale "epigenetico", basato su meccanismi di variazione-selezione. Changeux in questo libro amplia ulteriormente la sua teoria e suppone che la transizione da un livello dato ad un altro richieda due componenti fondamentali: un generatore di diversità ed un sistema di selezione. Ad un certo livello, si vengono così a 1'"intelletto" e della "ragione". In questo modo Changeux riesce a far integrare i livelli diversi d'organizzazione e a prevedere un generatore di variabilità legato sia ai fattori biologici in senso stretto (variabilità genetica, ambiente cellulare,...), sia ai fattori ambientali (incluse l'esperienza del mondo fisico, la percezione, la H cervello e il calcolatore di Riccardo Luccio Nel leggere questo libro, si può tentare di rappresentarsi gli autori. Io mi sono figurato (del tutto arbitrariamente, ovvio) il neurobiologo Changeux come certi medici positivisti, materialisti e deterministi, cari a una tradizione letteraria un po' antiquata, sempre pronti a battagliare con il parroco nell'affermare che la scienza ha dimostrato che Dio con tutto Usuo armamentario può essere tranquillamente messo in soffitta. E di contro mi sono figurato Connes, il matematico sicuro in qualche modo dell'esistenza degli enti matematici aldi fuori di noi, da trovare e non da costruire con la nostra attività cerebrale, come uomo mite che finisce progressivamente per adeguarsi alla visione dell'incontenibile Changeux. Vi è un passo rivelatore del modo di ragionare di Changeux, che troviamo nella discussione relativa al principio di indeterminazione nella meccanica quantistica (pp. 67 sgg.). Invano Connes cerca di spiegare a Changeux che l'indeterminazione non è dovuta all'incompletezza della teoria, o alla incapacità di determinare dei parametri pertinenti da parte dei fisici, ma è insita nella teoria. Per Changeux si tratta di un "insuccesso" che "l'inconscio [dei fisici] si rifiuta di riconoscere" (p. 74); "non vi è indeterminazione fondamentale [quanto osservato] potrebbe, in fin dei conti, essere spiegato un giorno o l'altro in forma deterministica" (p. 71); "forse esiste un altro modello cui i fisici non hanno ancora pensato" (ìbid.J; "un giorno si potrà giungere a una spiegazione più razionale" (p. 72, il tondo è mio); "Se conoscessimo gli eventi... renderemmo [il] fenomeno riproducibile" (p. 73); "la teoria [dell'indeterminazione] non funziona" (ibid.J; ' 'l'indeterminazione misteriosa di cui parlano un certo numero di fisici non ha molto senso. ..[è] lo stato delle nostre conoscenze [che] non ci permette ancora di dominare queste nozioni" (p. 74). Be', l'"intelligenza onnicomprensiva" di Laplace si prende la sua bella rivincita! Come dicevo all'inizio, Changeux e Connes sono appieno dei sostenitori della teoria dell'identità, che afferma che gli eventi mentali sono semplicemente eventi cerebrali; più in parti- colare, sono dei sostenitori (anche se non esplicitamente) della teoria dell' identità dei tipi. Secondo questa concezione ogni evento (stato, processo...) mentale si identifica sempre e necessariamente con un determinato evento cerebrale —<- ad essa si oppone la cosiddetta teoria dell'identità delle occorrenze, che si limita a dire che ogni evento mentale è uno stato particolare cerebrale. Si badi che tra le due teorie c'è una profonda differenza. L'ultima lascia aperta infatti la strada alle concezioni funzionalistiche, secondo le quali non ha praticamente importanza il substrato materiale che è alla base degli stati mentali. In altri termini, concezione che Changeux e Connes respingono, gli stati mentali potrebbero essere stati di un cervello costituito in modo radicalmente diverso dal nostro: per esempio, di un calcolatore. Vediamo allora l'organizzazione del cervello che viene proposta. L'attività mentale può essere descritta a tre livelli, con qualche differenza tra i due. Per Changeux si possono distinguere: 1 ) il livello della rappresentazione, 2) dell'astrazione della rappresentazione in concetti, e infine 3) di un'astrazione di livello più elevato. Per Connes, invece, i tre livelli sono quelli 1) del calcolo, 2) della capacità di capire errori e di proporre strategìe alternative, e infine 3) della scoperta. Ma i livelli mentali sono livelli di organizzazione cerebrale; gli stati e i processi mentali relativi sono stati e processi cerebrali. I livelli cerebrali sono allora quelli 1) delle cellule, 2) delle "assemblee " di neuroni, 3) di assemblee di assemblee. (È curioso che il nome di Hebb non venga mai citato, anche se fu lui a proporre per la prima volta una organizzazione del genere nel 1949). Viene previsto una sorta di meccanismo di darwinismo mentale, che regola il funzionamento delle sinapsi che uniscono, secondo questi livelli, i diversi neuroni. Certo, quanto più ci si diparte dal primo livel- > visione, che si autodefinisce un "darwinismo generalizzato", è divenuta di grande importanza nelle neuroscienze negli ultimi anni, quando è stato finalmente possibile comprendere i meccanismi attraverso i quali si costruisce il cervello durante lo sviluppo. Changeux (e per vie diverse, Gerald Edelman, col suo Neural Dar-winistn, Basic Books, New York 1987) ha fornito un'autorevole e convincente trama esplicativa a tutte le osservazioni, classiche e moderne, che dimostravano importanti fenomeni di selezione (e morte cellulare) durante lo sviluppo normale del sistema nervoso. Veniva in questo modo posto l'accento sull'importanza fondamentale dello sviluppo indivi- comporre delle "forme" transitorie che, oltre a risentire delle regolazioni proprie del livello d'appartenenza, si manifestano al livello d'organizzazione immediatamente superiore. Se la funzione espressa è selezionata in modo favorevole, avviene una stabilizzazione della forma. Così una novità apparsa a livello cellulare può contribuire a produrre nuovi circuiti ed archi riflessi ("i mini-cervelli"), che a loro volta possono creare nuove assemblee di neuroni e variare le concatenazioni fra le assemblee. Attraverso un meccanismo di questo genere una variazione dei livelli più bassi (molecolari e cellulari), se adeguatamente selezionata e rinforzata alla lunga può manifestarsi ai livelli dei- memoria). Viene così proposto un "darwinismo mentale" in continuità con il darwinismo neurale e che ne utilizza i prodotti selezionati ai livelli più bassi (i neuroni e le loro connessioni) per produrre delle "assemblee" di cellule capaci di produrre spontaneamente delle attività superiori. Quanto più queste attività costituiscono rappresentazioni congrue del mondo esterno, tanto maggiori sono le possibilità che esse vengano stabilizzate e selezionate. Come si vede, Changeux propone una forma piuttosto rigida di determinismo (fondata però sull'epigenesi del sistema , piuttosto che sul "potere dei geni"). La teoria può apparire un poco scarna, ma bisogna ammet- tere che si è dimostrata in accordo con i dati sperimentali ed è feconda di proposte di ricerca neurobiologica. Tutte le indagini promosse sulla plasticità sinaptica, sulla stabilizzazione dei fenotipi neurali, sulla "cibernetica" delle comunicazioni cellulari nello sviluppo devono moltissimo alla teoria di Changeux (ed alle ricerche da lui condotte in prima persona!). Il libro è interessante anche per i suoi limiti: un lettore informato su problemi di filosofia o di scienze cognitive coglie facilmente certe ingenuità di argomentazione o la scarsa rilevanza attribuita nei fatti ai problemi dell'intelligenza artificiale. Changeux critica esplicitamente i funzionalisti "che arrivano persino ad affermare che la natura fisica del cervello non impone alcun vincolo all'organizzazione del pensiero" (p. 151) e riafferma la validità metodologica di una impostazione che cerchi di "penetrare all'interno della "scatola nera" e selezionarla per ridurre e poi ricostruire un processo fisiologico" (p. 154). D'altra parte, quanto è difficile fare della reale interdiscipli-narità con esperti di campi disciplinari diversi, anche quando l'oggetto è transdisciplinare, come nel caso del cervello e della mente! Il dialogo fra il matematico e il biologo, pur rappresentando un confronto aperto, lascia alla fine ciascuno a coltivare il proprio campo disciplinare. La difficoltà del dialogo (e la sua necessità) sono chiare a tutti coloro che si occupano di neuroscienze. Ma come deve realizzarsi questo incontro? E fra chi? Recentemente un altro libro in forma di dialogo ha visto a confronto un neurobiologo ed un filosofo - K. R. Popper, J. C. Eccles., L'Io e Usuo cervello, Armando, Roma 1981 -giungere a conclusioni unitarie (e ben diverse da quelle di Changeux!). Ma in quel caso il biologo aveva assunto le impostazioni del filosofo... Nel mondo da qualche anno si sono susseguiti incontri, tavole rotonde e altre forme di socializzazione scientifica sui problemi della mente e del cervello, ma di quanto sono mutati i programmi di ricerca dei singoli partecipanti? Questa divisione di saperi continua a persistere anche a livello di recensione: per abito professionale e per competenze un libro del genere sarà recensito per la biologia da un biologo, per la matematica da un matematico... Ma il libro può stimolare anche altre riflessioni: ad esempio, quale è la legittimazione di uno scienziato nel discutere di problemi generali, specialmente nel campo minato delle scienze cognitive e mentali, tradizionale appannaggio di filosofi e logici. Come può lo scienziato estrapolare dal suo campo specifico d'esperienza e porsi in relazione ad un campo diverso di cui conosce in modo non professionale i contenuti. E viceversa come può un filosofo comprendere a fondo la logica interna di determinati risultati delle neuroscienze. In altri termini, il pericolo è che lo scienziato riinventi Lamettrie o Platone, e che il filosofo non comprenda la lontananza siderale che esiste (almeno ora) fra l'usare le reti neuronali come strumento di lavoro sperimentale e utilizzare queste reti come modello filosofico. Per una vera interdi-sciplinarità (ammesso che sia possibile e desiderabile sempre) la strada è ancora lunga, ma certo passa anche attraverso libri imperfetti e pieni di stimoli intellettuali, come quello di Changeux e Connes.