|dei libri del mese| NOVEMBRE 1991 - N. 9, PAG. 5 Appuntamenti intimi con il fantasma di Baldo Meo < quel luogo oggi quasi piacevole, come già intuiva Shelley in una famosa poesia ripresa da Brecht in cui dichiarava che l'inferno è una città si. mile a Londra. In quello di Sheckley i nuovi arrivati sono addirittura contenti. Dicono: "Dove sono? All'inferno? Sia ringraziato il cielo, credevo di trovarmi a Jersey City!". Ancora più contenti sono gli habi-tués, poiché da Sheckley sia sulla terra che in inferno si può morire e risuscitare parecchie volte, come sappiamo, e c'è un Impresario dell'inferno che fa ricucire i defunti ammazzati (essere ammazzati è quasi altrettanto facile laggiù come in terra) con una leggerezza ignota agli infami autori di horror narrativi e cinematografici. Sade, per esempio, ogni volta che sbarca è subito fatto fuori dai moralisti ("è incredibile — dice — quanti moralisti ci siano all'inferno"). Ragion per cui Sade organizza un gruppo di malcontenti, capitanati da lui, Sacher Masoch e Gilles de Rais, che vogliono ribellarsi a Satana al grido "Rendiamo l'inferno più infernale!". Ma Satana organizza la controffensiva affidandola ai poeti maledetti francesi, con Baudelaire in testa, e ad altri satanisti moderati come Ar-chiloco e Edgar Allan Poe, importante per i suoi rapporti con l'America. Nella battaglia campale i moderati, nonostante la debolezza dei pallidi poeti simbolisti, hanno infatti la meglio sulle sterminate orde dei sadiani grazie all'intervento dei pellirosse capitanati da Geronimo. Raramente la fantasia di Sheckley è così scatenata come in questo racconto, ma chi si spaventi dei troppi nomi mobilitati per questa battaglia infernale può ripiegare sul bellissimo racconto che apre il volume, in cui il personale dei morti viventi è ridotto al minimo necessario. Murchison, nominato dal Presidente degli Stati Uniti direttore del marketing per l'operazione simulacri, incarica l'esperto Simms di richiamare in vita (simulata) Cicerone e Bakunin, onde metterli al servizio della Tv. Perché proprio loro due? Neanche Simms lo sa, ma forse il lettore lo scopre proseguendo nella storia. La reazione dei due è infatti diversissima. Bakunin non collabora, immagina che quel che gli succede sia un ennesimo trucco della polizia zarista per impadronirsi di lui e finisce per intenerire Simms, che appaga il suo desiderio di libertà procurandogli una "chiave di accesso universale" che gli permette di aggirarsi a suo piacimento in tutte le reti computerizzate. Ma s'intende che Simms fa questo dopo aver dato le dimissioni. Invece Cicerone afferra subito la situazione e mercanteggia la sua collaborazione con Murchison finché questi non gli procura un corpo vero al posto di quello simulato, il che per l'autore Adi'Anonima aldilà costituisce una difficoltà abbastanza trascurabile. Ora Cicerone è pronto per esibirsi in un musical dal titolo Ciò che accadde in realtà nel Foro. Insomma, l'alternativa che ci offre Sheckley è quella tra sopravvivere nella libertà come simulazioni (e anche questo è il prodotto di un miracolo non troppo sicuro perché Murchison sguinzaglia dietro a Bakunin un "programma killer di ricerca") o collaborare e ascendere all'Olimpo dei big come Cicerone. Non a torto qui si immagina che la seconda alternativa sia facilitata dalla duttilità mentale, la prima da una certa sto-lidità e monomania, quali oggi caratterizzano chi ha conservato un minimo di senso morale. Niente di più probabile, ma prima di essere del tutto vittime di questo inesorabile processo speriamo di poter leggere altri racconti di questo rabbino di Perdido, uno dei pochissimi scrittori che ci parli del nostro tempo facendoci divertire senza togliergli nulla del suo orrore. Trionfo della notte, a cura di Robert Phillips, Mondadori, Milano 1990, ed. orig. 1989, trad. dall'inglese di Lidia Zazo, pp. 442, Lit 12.000. Come altre antologie sul gotico, anche questa di Robert Phillips dimostra che un genere così ben codificato vive su archetipi, stilistici e tematici, ricorrenti. Ma c'è in quest'antologia una caratteristica che ne fa un esempio particolare di gotico psicologico di lingua inglese. Non è un caso che essa ruoti strutturalmente su un cardine esemplare: quel plu-riantologizzato The Jolly Corner (1908) di Henry James che segna la via di questo versante del gotico novecentesco (dove troviamo anche Blackwood e de la Mare) rispetto a quello ancestrale di Machan o di Lo-vecraft. Ne L'angolo ameno il protagonista ha la rivelazione di quello che avrebbe potuto essere un suo diverso passato sotto forma di fantasma mutilato. Al momento del riconoscimento definitivo egli, dopo l'ansiosa caccia per le stanze della vecchia casa, trova aperta la porta che gli consente l'incontro ravvicinato con "l'altro se stesso". Ebbene tra le tante verità narrative che questo capolavoro racchiude, una risulta fondamentale come chiave di lettura del genere gotico: ogni racconto di fantasmi è racconto di un passaggio. Quello che è difficile da stabilire è se la porta sia "d'entrata o di uscita". Si ha paura di lui o di lei non tanto perché il loro aspetto sia terrifico, ma perché la loro presenza dimostra che la morte (e con essa l'irredimibile e l'indicibile) è una porta da cui si entra e si esce con estrema facilità. Sia che ci permetta di tornare in contatto con un passato inestinguibile, ancora nostalgicamente da conoscere, sia che consenta l'avvicinamento al mistero della morte, l'incontro con il fantasma viene vissuto come familia- rizzazione con i rituali oscuri dell'inconscio. Il fantasma acquista la dimensione di presenza intima, specchiandosi come un doppio cadaverico nei gesti e nei sentimenti quotidiani. E tanto più è prosaico e riconoscibile l'ambiente in cui essi irrompono, tanto più forte lo scardinamento dell'universo razionale. La moderna ghost story psicologica si rivela, dunque, un genere sostanzialmente di frontiera o "sul margine" dove la raffigurazione del- l'evento soprannaturale è parte del suo destino narrativo, soglia tra romance e racconto realista, ricordo e visione, verosimile e perturbante, scetticismo e voglia di sospendere l'incredulità, secondo il richiamo di Coleridge. Trionfo della notte raccoglie esempi di questa particolare visione dove il fantasma è la somma di tutti i suoi complessi aspetti psicologici e narrativi. A cominciare da quell'autentico capolavoro che è il racconto di Elizabeth Bowen, la grande scrittrice irlandese morta nel 1973 e ancora tutta da scoprire in Italia. Ne L'amante infernale (o "il demone amante" secondo la bella traduzione che del racconto ne hanno dato Benedetta Bini e Maria Stella in E morta Mabelle, Verona 1986) la signora Drover tornerà nella vecchia casa abbandonata sotto i bombardamenti della seconda guerra mondiale e vi troverà un biglietto del suo povero amante morto venticinque anni prima, nella prima guerra mondiale. Ed è ad un appuntamento stabilito, un anniversario senza scampo a cui viene chiamata — quasi simbolo di una colpa e di un rimpianto comune per i morti innocenti — dentro il taxi che la porta via per i sobborghi infernali di un'altra Londra. Il tranquillo signor Spence de Gli altri dell'americana Joyce Carol Oates un giorno comincerà a riconoscere, tra i passanti, persone del suo morto passato sempre più numerose, fino a lasciarsi trascinare nella loro strana folla un mattino, scendendo verso la metropolitana. Altro discorso per il racconto della Woolf, dove il fantasma viene assunto come espediente stilistico per quel puntinismo psicologico, per quella rarefazione di istanti e emozioni che ordiscono la sua luminosa rete di parole. Le stesse labili e cristalline presenze che tornano ad animare stanze ed esistenze, come nell'intensità breve e commo- vente delle pagine di Jean Rhys. A volte invece sono l'ambigua memoria faulkneriana di William Goyen o l'alienazione mentale dell'inglese Charlotte Perkins Gilman nel bellissimo La carta da parati gialla (1895) o, infine, la misurata ironia di Muriel Spark a tracciare i confini di questo mondo e di quell'altro, di vecchi e nuovi amanti. Il sostrato erotico dell'apparizione del fantasma diventa chiaro nel racconto di Tennessee Williams, dove il protagonista si salverà dall'angoscia per ogni accoppiamento pericoloso nel buio del cinema Joy Rio solo nelle mani del suo vecchio amante morto. Davanti ad un cinema la signora del racconto di Truman Capote incontrerà Miriam, maliziosa bambina senza età di cui non si libererà più. Sempre nel buio di un cinema le fisiche tracce in carne ossa e sangue di un omicidio confermano, nel posticino di Graham Gree-ne, che 0 legame tra paura e autoinganno talvolta non è così scontato. Altre volte è attraverso il punto di vista infantile che il fantasma visita le nostre vite, come per le inspiegabili permanenze del racconto di Dylan Thomas, o come nel vero e proprio saggio sull'ossessione soprannaturale che è il jamesiano La zia di Seaton (1923) di Walter de la Mare, dove gli occhi insaziabili della terribile vecchia incombono indagatori sulla vita e sulla morte del nipote. < le la lettura del diario risolverebbe tutti i problemi {ma lo scopre solo quando ha individuato l'assassino, mentre la Provvidenza gli fa scoprire presto il diario della ragazza, poco utile all'indagine perché l'uomo ha nascosto tutti quei dati che potevano individuarlo, ma utile per esaltare la virtù della vìttima). Infine la terza parte ci presenta l'angelo vendicatore in azione. Egli rappresenta più che mai il dover essere di fronte all'iniquità dell'esistente; ha una famigliola che impersona ciò che Olwen e il commesso viaggiatore avrebbero potuto realizzare. In fondo anch'egli era un uomo forte e intelligente che avrebbe potuto testimoniare della bontà della Creazione. Invece come Nietzsche e Raskol'nikov si è convinto che Dio non esiste e quindi tutto è lecito. Si è gridato da molte parti al capolavoro ignorato, e infatti ci siamo molto vicini. L'impostazione metafisica rida sostanza al giallo, lo sottrae alla banalità e lo rimette nella tradizione che va da Dante a, appunto, Dostoevskij. L'effetto Raskol'nikov funziona ancora e l'ultimo dialogo tra il commissario e l'assassino, in cui entrambi scoprono le loro carte ideologiche, è all'altezza di quelli tra Porfirij e il protagonista del romanzo di Dostoevskij (il titolo originale di questo di Barlow, molto più calzante di quello della versione italiana, è II protagonista.). Tuttavia c'è qualcosa che non funziona. Dante, e ancora Dostoevskij, credevano nella teodicea, Barlow forse anche, ma in un'epoca che non ci crede più. Per quanti contorcimenti acrobatici facciamo, fino alla strana idea di Hans Jonas per cui Dio è in fieri, quindi si potrà considerare responsabile di Auschwitz solo dopo che avrà raggiunto la maggior età, i teologi ricorrono alla teodicea solo per amor di firma. Raskol'nikov di fronte al delitto individuale doveva confrontarsi solo con i massacri artigianali dello zar. Ma Barlow scrive poco dopo la seconda guerra mondiale e per quanto non si identifichi con essa sembra avere simpatia per i buoni soldati e antipatia per il commesso viaggiatore, che considera anche la guerra come una scala verso l'autoaffermazione, vantandosi di quel che non ha fatto. Monsieur Verdoux aveva gridato ai giudici l'impossibilità di commisurare i suoi delitti a quelli dei generali e degli uomini politici. Barlow se ne guarda bene, per lui la lotta si svolge al di fuori della società, che è quella che è. Il romanzo giallo nasce su questa ipotesi e per questo è un genere tipicamente protestante. Le poche eccezioni, come il padre Brown di Chesterton, avrebbero chiesto a Barlow se per avventura anche il commissario nella sua presunzione di giudice inesorabile non pecca d'orgoglio e non è quindi più vicino a Satana che a Dio. Non si fa male a vedere in un seduttore di provincia "il protagonista" e nel suo castigo l'intervento di una teodicea che avrebbe potuto trovare migliore applicazione altrove? Giustamente gli autori di gialli ordinari ammazzano un mucchio di gente senza pensarci troppo, sanno che in confronto ai grandi massacri della guerra, della mafia o della droga sono quisquilie. Eppure lo sono e non lo sono, ed è bene che a ricordarcelo siano bei romanzi come questo, che senza l'ondata di religioneria seguita al crollo del comunismo non avrebbe costituito un successo postumo nonostante gli encomiabili sforzi di Sciascia e Sellerio. (c.c) Adelphi André Breton L'ARTE MAGICA Pagine 358, 234 illustrazioni in bianco e nero e a colori, lire 250.000 Un profilo dell'evoluzione dell'arte vista dall'occhio del fondatore del Surrealismo. Edizione fuori collana Roberto Calasso I QUARANTANOVE GRADINI «Biblioteca Adelphi» Pagine 500, lire 32.000 Persone, libri, storie di quell'epoca arcaica che fu chiamata il «moderno». Joseph Rotti DESTRA E SINISTRA «Biblioteca Adelphi» Pagine 236, lire 22.000 La Germania da cui nacque il nazismo raccontata da Roth in forma di romanzo. Alvaro Mutis L'ULTIMO SCALO DEL TRAMP STEAMER «Fabula» Pagine 112, lire 16.000 Una storia di amore e navigazioni esotiche che ha il fascino di una leggenda. Muriel Spark SIMPOSIO «Fabula» Pagine 149, lire 20.000 In una cornice mondana e brillante appare e opera il Male allo stato puro. Martin Heidegger IL PRINCIPIO DI RAGIONE «Biblioteca Filosofica» Pagine 275, lire 60.000 Una delle opere fondamentali dell'ultimo Heidegger, per la prima volta tradotta. James Hillman IL MITO DELL'ANALISI NUOVA EDIZIONE RIVEDUTA «Saggi» Pagine 392, lire 45.000 La psicoanalisi psicanalizza se stessa. Plutarco IL VOLTO DELLA LUNA «Piccola Biblioteca Adelphi» Pagine 189, lire 16.000 Una divagazione cosmica. Arthur Schopenhauer L'ARTE DI OTTENERE RAGIONE «Piccola Biblioteca Adelphi» Pagine 124, lire 12.500 Trentotto stratagemmi per ottenere ragione anche quando si è in torto.