giugno 1992 - n. 6, pag. 5 Il Libro del Mese difficili, più volte gli ho rimproverato qualcosa di simile: scrivi troppo, non ti resta tempo per leggere e pensare, rischi di rimanere alla superficie come un orecchiante. Rimproveri fondati: la commozione della morte non mi fa velo sui limiti dell'amico. Ma credo che anche il lettore più ostile e prevenuto, se intellettualmente onesto, non potrà non riconoscere a padre Balducci almeno due meriti; grandi perché rari o, sotto certi profili, perché non vedo, girando gli occhi attorno, nessuno che gli somigli neanche da lontano per acutezza di sguardo e altezza d'ingegno. Il primo merito: la forza di liberazione dai limiti dell'uomo edito o del senex; non per nulla, uno dei suoi libri più belli (a mio avviso) si intitola appropriatamente Diario dell'esodo (1971): è fatto di annotazioni nel decennio del Concilio e del Sessantotto. E un libro in cui quella forza di liberazione dalle tante schiavitù d'Egitto in cui allora eravamo prigionieri cresce di pagina in pagina. Il secondo merito va ricercato nella sua capacità, dissimulata, non appariscente ma reale, di autoironia. Che gli facesse piacere di essere ormai un "santone" dell'intelligencija italiana, di quelli il cui parere è richiesto e ambito dai giornalisti per le cose più disparate, è indubbio. Ma è altrettanto indubbio che non si illudeva affatto di poter influire sulla gente, e specialmente sui potenti, con le sue dichiarazioni o i suoi articoli o i suoi libri. Non per nulla nella premessa a un altro dei suoi libri migliori, Papa Giovanni (forse il più bello in assoluto, scritto di getto, sull'onda di una commozione profonda), si legge: "Quando Dio manda uomini come papa Giovanni non è certo perché si scrivano libri su di lui ma perché ci sia impossibile continuare a vivere e a pensare come se egli non fosse mai venuto fra noi". Sapeva bene che il dono massimo che gli era stato dato era quello della predicazione: celebrava, annunziava e commentava la Scrittura — per i credenti: Parola di Dio — in modo inquietante per tutti, credenti e non credenti che fossero. La sua fede e il suo discorso di fede non tendevano mai a rafforzare nelle sue certezze dure l'uomo edito, il senex, ma a scatenare il gioco del puer e a promuovere l'uomo inedito. Per questo resta a me, e a tanti che l'hanno conosciuto e sentono oggi un gran vuoto, il rammarico che nessun vescovo di Firenze l'abbia mai chiamato a predicare in Santa Maria del Fiore, il Duomo. C'è entrato solo da muto perché morto chiuso nella bara, quando non poteva più inquietare nessuno dei tanti senes che l'hanno invidiato e odiato, preti e laici. All'inizio della celebrazioneTarcivescovo Piovanelli sentì anzi il bisogno di giustificarsi per aver disposto, a causa delle sollecitazioni ricevute, il funerale solenne in Duomo e parlò di padre Balducci come di uno che spesso si era spinto "ai limiti dell'ortodossia". Un'offa ai senes furiosi per quell'onere postumo? Forse; certo è che — ne sono personalmente testimone — grandi uomini di chiesa, da Montini a Parente, da Benelli a Ottaviani, non solo lo stimfarono a fondo ma anche lo difesero spesso dalle pratiche inquisitorie dell'allora Sant'Uffizio. Balducci editore di Luca Toschi Fra i numerosi articoli e servizi comparsi per la morte improvvisa di padre Balducci cerco notizie su ciò che mi ha legato a lui, e cioè le Ecp (Edizioni Cultura della Pace), la casa editrice fondata dallo stesso Balducci zioni si possono trarre dall'attività di Balducci come editore? Lasciamo perdere le risposte giocate sulla diversità dell'uomo. Il punto è che questo scrittore di sicuro successo, negli ultimi anni, aveva rinunciato alle grandi case editrici che lo volevano per tentare una strada che si appassionava a tracciare con noi, giorno dopo giorno, e le cui ragioni gli erano chiarissime: per lavorare con la cultura bisogna ormai cambiare gran parte delle regole. Le Ecp nascono come "Enciclopedia della Pace", un progetto suddivi- scenza, comunque un valore morale, era uno degli elementi della sua personalità che poteva avvicinare o allontanare, ma davanti a cui gli schieramenti tradizionali saltavano. La sua diffidenza verso l'eurocentrismo, che lo aveva indotto a scrivere una Storia del pensiero umano partendo dalia convinzione che il "primo peccato contro la ragione è di ritenere che i diversi da noi non hanno l'uso di ragione e di trascurare il fatto che quella dell'Ao/wo sapiens è davvero una storia unitaria, fin dalle sue origini", lo induceva a tentare di re- Lino sguardo sul pianeta di Giulio Bollati Muore Ernesto Balducci e ci si accorge che di persone come lui ne restan poche, proprio nel momento in cui ce ne vorrebbero molte. In altri tempi avrei scritto che è mancato un grande intellettuale, ma oggi non posso farlo senza andare incontro a contestazioni e sofismi legali d'ogni genere. La parola (intellettuale) è crollata come uno dei tanti muri che via via crollano tra le grida di trionfo di coloro che intellettuali non sono mai stati, e che forse erano e sono soltanto dei muratori che i muri li innalzano, e su quel loro artigianato ci campano. Le polemiche che i muratori alimentano, le loro ricostruzioni storiche basate su vendicativi atti d'accusa, non sono che i prolungamenti d'una guerra fredda che, dipendesse da loro, non finirà mai, pretesti capziosi e ostinati per dividere ancora e sempre il mondo in due: come se non sapessero contare fino a tre. Emesto Balducci la prima volta che lo incontrai mi colpì perché fino a tre sapeva contare, magari anche fino a quattro. Conoscendolo mi colpì un altro pensiero. Mentre filosofi e politici di estrazione razionalista e progressista, magari marxista, sì affrettavano a buttare dalla finestra, insieme ai ciarpami ideologici, anche i fondamenti delle loro ideologie, e in un empito di zelo, visto che c'erano, anche gli ideali e le idee, Balducci non aveva sentito nessun bisogno di traslocare in quel modo sbrigativo l'arredo di casa. Bella forza, sento dire da qualcuno, era un cattolico. Che fosse cattolico, magari del dissenso, o più semplicemente un cristiano, confesso che me ne dimenticavo leggendo per esempio un suo passo come questo: "Quando l'universo dei valori in cui trova sostegno e linguaggio lo scambio tra gli uomini non è più in grado di imprimere un ordine all'insieme dei processi storici e degli eventi; di più, quando l'universo effettivo procede come un bateau ivre senza governo, verso sicure collisioni, e l'intelligenza comune si mostra incapace di prenderne in mano il timone, allora il credito della cultura egemone si oscura e le singole coscienze sono tentate di trovar rifugio nei tiepidi recessi della vita privata". In dieci anni, quanti ne sono passati da quando Balducci ha scritto queste parole, il quadro che descrive è cambiato in peggio (e sui "tiepidi recessi" quanto ci sarebbe da dire oggi), ma le parole che usa sono tuttora esatte e utilizzabili, di una qualità rara a trovarsi tra i muratori polemisti che tengono il campo. Il segreto dello scrittore è presto detto: è la capacità di pensare delle idee generali, di avere uno sguardo più largo, abbracciale senza enfasi, moralismi, emotività l'epoca e il pianeta. Balducci di parole troppo grandi non abusava, ma pur senza nominarlo parlava sempre dell'intero genere umano. L'ultima volta che l'ho sentito alla radio (ritrasmettevano un suo vecchio pezzo in memoriam) fece cadere il discorso sui circa settanta milioni di indios uccisi dai colonizzatori, sui circa sedici milioni di africani trasferiti come schiavi nel Nuovo Mondo; e non fece nessuna concessione allo storicismo giustificatorio, ma neppure alla contestazione rabbiosa o pietosa. Faceva semplicemente dei conti ed era chiaro che non guardava soltanto a un passato lontano, ma intorno e davanti a sé, a un presente e a un futuro possibili, forse probabili. Nel delirio di vittoria che sembra aver accecato il capitalismo tecnocratico, questo uomo in tonaca che mi ricorda certi abati liberali della Restaurazione sfida con calma furia i pensatori laici a ritrovare — non da negrieri, non da hitleriani — le vie di un pensiero che aiuti a riportare ordine e ragione nel mondo. nel 1986. Ma pochi ne parlano, e quei pochi per un imbarazzato dovere di cronaca e in genere con le idee poco chiare; eppure dalla quotidiana telefonata di prima mattina fino a quella serale, dove comunicava tutte le idee e i progetti che gli erano venuti in mente, le Ecp erano il suo costante punto di riferimento, tanto che lui, così allergico a titoli di ogni tipo, si presentava sempre come il presidente delle Ecp. Anche se i singoli volumi pubblicati ricevono in genere lusinghiere recensioni e segnalazioni, nessuno tuttavia si è ancora accorto del "caso" Ecp e della loro crescita continua, tanto più significativa rispetto alle generali difficoltà dell'editoria. Questo silenzio, oltre a confermare che è più facile inventare la notizia che riconoscerla, suggerisce una domanda: oggi, quali indica- so in tre sottocollane: "Maestri", "Problemi" e "Testi-Documenti". Al concetto di Enciclopedia va affiancato quello di Uomo planetario, il nome di una seconda collana così chiamata dal titolo del volume di Balducci con cui era stata inaugurata (19902). Da una parte, insomma, una realtà da riscrivere in tutte le direzioni, una ricerca sul mondo che dovrebbe fornire gli strumenti per un racconto completamente nuovo del presente e del passato, e dove il rimando illuministico all'enciclopedia non è solo suggestione; dall'altra l'uomo, che si assume la responsabilità di una conoscenza nuova, non più espressione di valori "tribali", avrebbe scritto Balducci, ma consapevole di appartenere a un sistema planetario. L'abbandono fiducioso alla cono- stituire la voce a quei popoli e a quei soggetti che l'hanno perduta o che non l'hanno mai avuta. Sapeva bene però come il superamento del razzismo intellettuale non significhi disconoscere l'"eredità filosofica dell'occidente... pùnto di riferimento irrinunciabile della nostra identità". Il suo. antiamericanismo, il terzomondismo, non erano rifiuto o accet-tazioni in blocco; prima di tutto veniva la necessità di distinguere e di capire, perché il nemico da sconfiggere è uno solo, ovunque: il silenzio che i vincitori impongono ai vinti; la cancellazione delle memorie era ritenuta da lui intollerabile e causa principale di errore e di dolore. E qui, appunto, diventava fondamentale lo strumento della casa editrice. Negli ultimi mesi si è lavorato e discusso molto alle Ecp. C'era da orga- nizzare una nuova collana, "Caravelle", anche questa aperta, come sempre, da un libro di Balducci, l'ultimo, inedito, Montezuma scopre l'Europa. I primi volumi saranno dedicati, in coincidenza con l'anniversario della scoperta dell'America, alle popolazioni del nuovo continente, del Sud e del Nord, facendo sempre attenzione a coniugare passato e presente. Queste caravelle dovranno poi salpare per altri lidi: l'Africa, l'Oriente, l'Asia per tornare magari a navigare fra i mari di casa nostra. Le discussioni però vertevano specialmente su un altro punto, vitale per il progetto della casa editrice. La pace vuole un'economia di pace, istituzioni di pace, una scuola e un'università di pace — tema centrale per Balducci —, una medicina di pace, un diritto di pace, una chiesa di pace. Era giunto il momento di uscire dal rassicurante abbraccio dei libri di opinione e di storia delle opinioni, dei volumi di denuncia, delle dichiarazioni di principio, della Storia con la "S" maiuscola appunto, e di cominciare un viaggio nella pratica quotidiana, di intraprendere lo studio della società possibile, cercando di fare libri di altro tipo. E qui le cose si complicavano per un ritardo culturale diffuso e radicato, anche fra chi ruotava attorno alle Ecp. Una tale correzione di tiro in ognuno dei suoi collaboratori presupponeva un passaggio molto difficile, forse chiarificatore, e certo non indolore. Da questo punto di vista può essere significativo ricordare un piccolo dettaglio: nell'ultimo comitato editoriale, rivolgendosi a me, soprattutto come al letterato che non aveva mai rinunciato a sostenere l'utilità delie arti (se solo queste prendessero atto delle enormi possibilità conoscitive, analitiche loro proprie, rinunciando a quanto di tridentino e tra-stullatorio si portano dietro da sempre), mi invitò a trovare fra gli storici delle arti chi sapesse e volesse aiutarci nel nostro progetto, parlandoci di letteratura, di musica, di pittura, ecc. sotto il profilo della cultura della pace. Una moralizzazione efficace, anche della cultura, passa attraverso una verifica di questo genere. Il tempo dei soli appelli, delle sole denunce, delle lunghe analisi prima dell'azione sembra tramontato. L'esigenza è chiara: scardinare il vecchio, costruendo il nuovo. In una società come questa, dove le istituzioni — dall'università agli ospedali — deputate a percepire le esigenze, le domande più vere della gente, si dimostrano pavide e inefficaci, Balducci attraversava ogni giorno come accade a pochi i bisogni di conoscenza delle donne e degli uomini più diversi, di certo non tutti accomunati da una fede religiosa. Questa ricchissima esperienza di vissuti tanto eterogenei era la miniera delle idee della casa editrice, mentre, d'altro canto, alle Ecp si telefona per sapere del libro che si sta cercando, e che forse ancora non esiste, di iniziative che si vorrebbero intraprendere e per le quali si chiede un consiglio e un sostegno organizzativo. Quando è giunta la notizia dell'incidente di Balducci, le due stanze delle Ecp, ancora da imbiancare, in via dei Roccettini, al numero 11 della salita che porta alla Badia Fiesola-na, si sono riempite di gente e di telefonate. Arrivavano e stavano lì, aspettavano, cercavano notizie, aiuto, ma, con la loro presenza, ancora una volta, un grande aiuto lo davano a noi delle Ecp. Morendo, Balducci non vuole lasciare eredi. Non esiste comitato editoriale che lo possa sostituire. Però ci lascia qualcosa di più, un metodo. Da quel metodo bisogna ripartire, subito.