N. 3 pag. 29 Trimestrale internazionale di dibattito teorico e politico N. 4 ■ febbraio Amiti / Frank / Cases / Cortesi / Natoli / Timpanaro e altri. La crisi del golfo - L'orlandismo - Ancora un partito per i comunisti dopo il PCI? - Iltema. L'Urss e l'Est europeo - Sul materialismo - Uno scritto di Althusser. Richiedere a Marx centouno, v. Festa del Perdono 6, 20122 Milano tel. 58305261 o Edizioni Associate, v. del Biscione 10, 00186 Roma, tel. 06/6892586, ccp. 48282008. villoso distinguo tra pianificazione, possesso e uso delle armi di sterminio, accettato anche dal magistero della chiesa cattolica, ha sinora permesso loro di sfuggire al verdetto di colpevolezza. Galtung condivide inoltre, con Ekkehart Krippendorff, un severo giudizio sul ruolo dello stato: "Gli stati e la loro capacità di combattere, rappresentata dalle forze armate, sono fratelli gemelli, e se non si capisce questo non si capiscono né gli uni né le altre". La seconda variabile importante, anch'essa strutturale, è dunque il superamento dello stato-nazione, ma con un'idea di governo mondiale minimo, ben diversa da quella del gendarme che si vede in azione in questi giorni. Per Galtung, l'Onu deve avere una funzione di "terza parte", di mediazione, basata su una capacità di intervento nonviolento. Oltre alla tesi dell"'efficacia della guerra" è necessario discutere anche quella dell'efficacia della lotta, della resistenza, della dissuasione e della difesa nonviolenta. Mentre nel dibattito ancora in corso non si trova neppure un cenno a tale questione, Galtung suggerisce l'ipotesi che la lotta nonviolenta è tanto più efficace quanto è minore la distanza sociale tra la terza parte che interviene in maniera nonviolenta e l'oppressore. E quanto si è verificato in casi assai diversi, dal Vietnam all'India al Sudafrica, alla Palestina, alle Filippine, presi in esame per sostenere la possibilità di una soluzione nonviolenta in Palestina (Palestina-Israele. Una soluzione nonviolenta?, Sonda, Torino 1989; si veda la rubrica "Variazioni sul tema" alla p. VII dell"'Indice-Schede" di questo numero), quando sembrava ben più vicina di quanto non lo sia oggi. Ma è anche la tesi che Galtung applica nel leggere gli eventi dell"'Europa dell'89". V'impero del male" sovietico, ben più temibile di quello di Saddam, è stato sconfitto da un'azione congiunta: i movimenti per la pace contro il "nuclearismo" e lo ' 'sterminismo " e i movimenti del dissenso contro lo "stalinismo". Eppure questa lotta è durata almeno quindici anni, se la facciamo iniziare dalla conferenza di Helsinki, ben di più se interpretiamo come lotta nonviolenta anche l'azione di alcuni predecessori, come Sakharov. Nessuno ha notato che alcune tecniche di lotta nonviolenta, le catene umane per esempio, sono state applicate sia nelle grandi manifestazioni della metà degli anni ottanta in Germania, sia in quella ancora più grandiosa che ha attraversato tutti i paesi baltici. Ma non è solo una questione di "interpretazione". Nel pensiero di Galtung è ben presente la "triade" ricerca/educazione/azione per la pace. In breve, questo vuol dire che gli "intellettuali" non possono limitarsi a svolgere la loro funzione di "chierici", ma debbono, quando è il momento, essere disposti e preparati anche all'azione, alla resistenza nonviolenta contro la guerra. Sul piano epistemologico, Galtung si pone in una prospettiva di duplice cambiamento di paradigma. Il primo è il passaggio da una concezione riduzionistica e vagamente orwelliana di "pace negativa" intesa come assenza di guerra, come tregua tra una guerra e l'altra, a un'idea di "pace positiva e di nonviolenza", ben più complessa, a più dimensioni. Il secondo mutamento paradigmatico è il passaggio da una visione eurocentrica a una planetaria (v. Balducci su ' 'l'Unità " del 21 gennaio 1991). Questo significa studiare i problemi interculturali, interreligiosi e i processi di civilizzazione. Già in una conferenza tenuta a Dusseldorf nel giugno 1985 Galtung affronta questi problemi mettendo a confronto le strutture di giustizia e ingiustizia sociale del cristianesimo e dell'Islam e mette in evidenza l'esistenza per entrambe queste religioni di una versione soft (nonviolenta) e di una hard (violenta). Ma i lavori più pertinenti sono soprattutto quelli contenuti in Methodol-ogy and Development. Dal confronto tra i principali aspetti che caratterizzano l'epistemologia del cristianesimo hard e quelli corrispondenti del buddhismo, l'autore propone una sintesi, che chiama "epistemologia eclettica". A parte le ragioni più specifiche di consenso o di dissenso, Galtung rivela ancora una volta in questo suo esercizio analitico una grande capacità di penetrare negli strati più profondi delle culture, quelli che alimentano, come "invarianti temporali", i processi che portano prima alla violenza strutturale e poi all'evento guerra, per prevenire il quale occorre andare molto in profondità. <3 spingere nell'inconscio il significato di quel giorno zero. E vero che poi divenne evidente che l'umanità correva all'autodistruzione anche senza la bomba, ma nulla è paragonabile ad essa e nulla ha il suo valore simbolico, sicché si può capire che Anders non scorgesse gli orrori che andava denunciando che come conseguenza di quel "giorno zero", mentre d'altra parte inquinamento nucleare e non nucleare spostavano la lotta su un altro terreno e contribuivano a relegare in secondo piano la lezione di Anders, che potè essere ripresentata come nuova qualche anno fa da Jonathan Schell, suscitando le ire dello stesso Anders, ire che peraltro ribadivano il suo isolamento: benché avesse sempre sottolineato che la "sua" folgorazione non era dovuta a sue doti particolari, anzi avrebbe dovuto folgorare tutta l'umanità, resta il fatto che ciò non era avvenuto e che egli era spesso ridotto, contro le premesse, a considerarla una sua personale conquista. Già nel suo rapporto con Eatherly egli appariva un po' troppo come colui che suscitava, sia pure maieuticamente, il risveglio di quella coscienza che la società aveva "messo al bando". Ma quando l'aria si riempie del rimbombo dei bellici oricalchi, che rallegra il cuore di tanti intellettuali, queste contraddizioni ci sembrano non soltanto veniali, ma inerenti alla condizione stessa del vero pensatore, che in quest'epoca disperata deve parlare per gli altri a costo di dare l'impressione di volgere loro le spalle. Né esse inficiano minimamente la verità del messaggio. Chi da noi ha molto meditato su questi problemi è Franco Fortini. Del suo ultimo libro, tripartito, la parte letterariamente più valida è la centrale, il resoconto di un viaggio a Gerusalemme nell'aprile 1989. Si legga soprattutto la straordinaria descrizione del Muro del pianto e della folla "salmodiante e oscillante". "Qua e là si muovevano giovanissimi ancora imberbi ma con i lunghi riccioli pendenti, che dita sottili attorcigliavano. Libri di preghiera rilegati si ammucchiavano per terra e su dei tavoli". Lo sdegno di Fortini di fronte a questa orrenda ritualità è dovuto alla sensazione che essa, che dovrebbe essere un'esercitazione atemporale praticata da secoli, è invece in evidente rapporto con l'oppressione degli ebrei sugli arabi. E il dio degli eserciti che "ancora una volta si faceva marciare in testa alle truppe, in uniforme di un capo di stato maggiore". Il Muro del pianto, che in origine era venerato, dopo il sionismo, in funzione antisionista, come memento che il messia non era ancora giunto, diventa la testa di ponte del dio ebraico contro la presunta idolatria che minaccia lo stato degli ebrei, mentre proprio questo culto, come sottolinea giustamente Fortini, è vera idolatria. Le altre due parti dell'opera sono riflessioni simili nella forma e nei contenuti a quelle di Anders, che Fortini ha discusso recentemente sulla "Talpa libri" del "manifesto" (1° febbraio 1991). Il radicalismo andersiano si può leggere come una sintesi tra la condanna francofortese del "mondo amministrato" e l'attivismo della sua prima moglie Hannah Arendt contro il totalitarismo: alla prima egli rimprovera la passività e il fatalismo, dal secondo si distingue perché non accetta affatto l'esclusione degli Stati Uniti dal paesaggio totalitario, anzi dopo la bomba li vede al centro di esso. Per quanto riguarda il meccanismo di produzione industriale della morte, Anders è un marxista ortodosso e non si lascia intimidire da argomentazioni giuridiche o politiche. Fortini risente di questo pensiero radicale teutonico, ma ha assimilato anche Sartre e Gramsci e viene dalla tradizione del movimento operaio italiano sicché non pretenderebbe mai, come Anders pretende imperterrito da qua-rant'anni, che gli operai abbandonino a cuor leggero il loro posto di lavoro nelle fabbriche per non costruire armi atomiche. O meglio lo pretenderebbe, ma sapendo che è impossibile e che quindi qui ci troviamo di fronte a una contraddizione insolubile, che non contribuisce certo a sminuire il suo e nostro pessimismo. Ma quello che spinge Anders a posizioni aristocratiche suo malgrado induce Fortini a riconoscere la dolorosa ambivalenza dei mutamenti sociali, che da una parte premono verso l'emancipazione, l'autonomia, l'autodeterminazione, l'aggregazione dal basso; dall'altra integrano questi tentativi in quello che egli chiama "fascismo democratico" (espressione che ricorda il "terrore mite" che Anders una volta scorgeva nella democrazia americana). Questa posizione si ripercuote sul diverso atteggiamento nei confronti degli intellettuali. Fortini non si rinchiude in uno splendido isolamento (quello ci pensano gli altri a crearlo intorno a lui), ma cerca quando può di levare la sua voce nel deserto dei mass media. Molte considerazioni di questo libro sono dedicate alla sua complicata strategia e alle lezioni che trae dalle sue esperienze. Proprio perché si rende conto che l'intellettuale-massa vagheggiato da Gramsci si è realizza- to, ma è asservito al potere, egli è convinto che nel generale consenso "le scelte e decisioni rischiose devi proprio andartele a cercare". E una forma di provocazione analoga, ma diversa da quella dell'eterno "eretico" Anders. Anders rifiuta la designazione di filosofo. Da giovane si è occupato di ontologia, ma che senso ha, caro A-mleto, porsi domande sull'essere e il non essere quando non si sa se ci saremo nel prossimo istante? Al contrario di coloro che chiedono lumi a sant'Agostino sulla guerra giusta e ingiusta, Anders nel suo estremismo respinge tutta la storia della filosofia. "Quando le testate nucleari si accumulano, non ci si può fermare a spie- gare l'Etica nicomachea. La comicità del novanta per cento della filosofia odierna è insuperabile". E in verità le facce dei presunti filosofi che ingombrano lo schermo della Tv sono, più che comiche, orribili e disumane quanto quella del generale Schwarz-kopf, oggetto dei loro incensamenti, e i loro libri servono soltanto come lasciapassare per adire alle scale mobili che li portano, secondo le loro speranze, ai rifugi antiatomici dei potenti. Certo quella di Fortini è un'ex trema ratio che dà poca soddisfazione a intellettuali tutti contenti di vivere finché muoiono gli altri. "Se sono disperato — dice Anders — ciò non mi riguarda". 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DECRETI GULL0 E LOTTE NEL MEZZOGIORNO (1944-1949) pp. 256, L. 28.000 ♦ F.CORDOVA DEMOCRAZIA E REPRESSIONE NELL'ITALIA DI FINE SECOLO, pp. 216, L. 23.000 ♦ A. MARTINI. BIOGRAFIA DI UNA CLASSE OPERAIA, I CARTAI DELLA VALLE DEL LIRI (1824-1954), pp. 224, L. 24.000 ♦ S. LEPRE LE DIFFICOLTÀ DELL'ASSISTENZA. LE OPERE PIE TRA 800 E 900, pp. 320, L. 38.000 ♦ F. S. ROTILI L'ORGANIZZAZIONE SINDACALE EDILIZIA: DALLE ORIGINI ALL'INIZIO DEL SECOLO (1886-1902). Prefazione di A. Pepe, pp. 240, L. 25.000 ♦ S. CASMIRRI, CATTOLICI E QUESTIONE AGRARIA NEGLI ANNI DELLA RICOSTRUZIONE (1943-1950), pp. 296, L. 30.000 ♦ L. DE COURTEN, LA MARINA MERCANTILE ITALIANA NELLA POLITICA DI ESPANSIONE (1860-1914) industria, finanza e trasporti marittimi, pp. 296, L. 35.000 ♦ G. CAREDDA LA FRANCIA DI VICHY, pp. 440, L. 52.000. ♦ I. FALCOMATÀ DEMOCRAZIA REPUBBLICANA IN CALABRIA: GAETANO SARDIELL0 (1892-1985), pp. 3400, L. 35.000 ♦ P. 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