N. 3 pag. 9 wm Poesia, poeti} poesie Le muse inquiete del Canada di Francesco Rognoni Irving Layton, Tutto sommato. Poesie 1945-1989, a cura di Alfredo Riz-zardi, Piovan, Abano Terme (PD) 1989, pp. 282, Lit 30.000. Joe Rosenblatt, Gridi nel buio, a cura di Alfredo Rizzardi, Piovan, Abano Terme (PD) 1990., pp. 116, Lit 25.000. La poesia di Irving Layton è irriducibile a un singolo modulo espressivo: sensuale come Lawrence e sinuoso come Williams, il poeta ebreo-canadese conosce momenti di yeat-siana intensità visionaria, di epigrammatico nitore (viene in mente certo primo Pound, o Kavafis), di macabro baudelairiano, d'arginata commozione, di sdegno e invettiva (Teognide è uno dei suoi numi tutelari), di ironia lieve o crudele, di sarcasmo, di rabelaisiana risata. Meravigliosa varietà, dunque; eppure anche coerenza notevole. Un'autentica dichiarazione poetica si rinviene negli ultimi versi di Zucchina, quella straordinaria meditazione in cui l'umile, coriaceo vegetale si trasforma in pauroso talismano, evocando l'immagine quasi mitica, orrenda e rinvigorante, della madre decrepita che "sputa sgarbata sul mondo". "Nelle mie orecchie stordite risuona un'invettiva familiare", conclude Layton: "Anche dai poeti vorrei un linguaggio diretto, / senza piagnistei, ogni parola un colpo. / Nei deserti senza pioggia i cactus si schiudono al sole / e il loro profumo è l'altra lingua che gli avvoltoi conoscono". La parola della poesia è parola della madre, ancestrale; è, secondo la lezione wordsworthiana, parola ijomune e ordinaria, ma più disadorna e dolorosa: confina con il silenzio, e anzi la sua arida dolcezza (il profumo dei cactus) appartiene a un mondo dove ogni suono dell'uomo è cessato. E parola vitale, eppure concepibile e comprensibile solo nella coscienza della morte; con la morte convive con fermezza e rabbioso rispetto. "Ciascun uomo fa i propri accordi con la morte. Caro amico, / un giorno la seppellirai in uno dei tuoi paesaggi". Così nei versi per il pittore Ettore de Concillis; ma è con un altro, più atletico ed erotico "accordo", che Layton sigilla il volume: "Vivace e drogato d'amore / con l'asta volteggio / sopra la mia tomba". La figura del saltatore con l'asta è solo l'ultima incarnazione di un poeta già variamente apparso come giocoliere, acrobata, funambolo, buffone, briccone divino, profeta, mago, assassino, eroe, messia profano e sacro. Layton traccia insomma un nuovo "portrait de l'artiste en saltimbanque" (la felice espressione è di Starobinski), arricchendo la tradizione con inedite irresistibili varianti (il Cavaliere solitario, le cui poesie "sono i proiettili d'argento: / scoppi di distici / scariche di quartine"; l'invasata Mosca greca che "Ali traboccanti di divino caos interiore / ... / la testa fra le gambe si scervella sulla brevità della vita / poi come una forsennata greca di Euripide lascia cadere / un miliardo di uova per fertilizzare / il suo tragico splendore che non può essere ucciso"). Lo stesso ricorrente e talvolta fastidioso vittimismo che, in un celebre saggio (Survival, 1972), Margaret Atwood elenca fra le "costanti" della letteratura canadese, è in primo luogo un attributo dell'artista-sal-timbanco: non senza autocompiacimento, il giullare s'esibisce infatti di fronte a un pubblico maldisposto e aggressivamente sospettoso — un pubblico che, dopo lo spettacolo, se non può proprio lasciarlo morir di fame, invita l'artista solo a mense sacrificali ("se un borghese domandasse un po' di poeta arrosto, la cosa sembrerebbe naturalissima", annotava Baudelaire!). Quel che così rischia di apparire un universo troppo polarizzato, retto inerte / senza che una sola mente riconosca il proprio destino". Anche il diluvio si ripete, ma stavolta "Ogni cosa che vive è sommersa e annegata. / Non vedo dondolarsi un'arca". A scampare la catastrofe universale è, con un beffardo colpo di coda, soltanto l'artista-giullare, poiché "Coloro che non intendono distruggere / un Kundera prosciugato da ogni sentimentalismo. Introducendo la prima scelta italiana all'opera di Layton (Il freddo verde elemento, trad. it. di Amleto Lorenzini, Einaudi, 1974), Northrop Frye sottolineava la traducibilità d'una poesia dal significato "sempre diretto, [che] solo in misura da un manicheismo un po' meccanico, è in verità segnato e reso tragicamente complesso da un evento storico ben preciso: l'Olocausto. Un nutrito gruppo di poesie lo affronta direttamente, denunciando la cattiva coscienza dei troppi che cercano di rimuoverne la memoria; e la lezione dell'eccidio resta implicita in ogni altra accusa di conformismo e sfibra-tezza morale, nella tirata Per il mio prossimo all'inferno, nelle poesie che deplorano la crudeltà verso gli animali, o nelle invettive (non sfigurerebbero nelle pagine di Thomas Bernhard) contro la mala genia dei turisti americani (invettive cui accosterei quell'assoluto e più sottile capolavoro che è I bagnanti). La visione storica di Layton è desolante: quello che Blake chiamava "il ciclo di Ore" (e che nel nostro poeta è naturalmente mediato dai ricorsi nietzschiani e dai vortici di Yeats) non si spezza, gli eredi d'ogni nuovo potere sempre "saliranno verso la stessa rovina / finché questa creazione non sarà che una massa gli dei rendono forsennati di poesia". Insomma, salva (e si salva) solo la gioia tragica della creazione; e perciò le numerose poesie dedicate ad altri artisti, che costituiscono un segreto "libro dentro il libro", ove poeti, filosofi, pittori, cineasti, musicisti si raccolgono, accomunati da un "destino rischioso": "solo con l'arte modulare il dolore umano / in un grido così triste, così strano che gli uomini chiamano estasi" (Fellini). Strettamente connesse alle poesie in lode del furore creativo, sono quelle che celebrano l'amore erotico. Erede del paradosso stevensiano che vuole perenne soltanto la bellezza percepita dai sensi, Layton è però soprattutto un creatore di indimenticabili personaggi femminili. Anche per loro parlerei di "libro", anzi di "romanzo" en abime: le varie donne evocate, con passione o con ironia, con amore, con sprezzo, con gratitudine, a loro volta contribuiscono a tratteggiare la ricca figura di un seduttore cosmopolita, un po' come si potrebbe incontrare nelle pagine di limitata si avvale di moduli complessi, imperniati su accessori della lingua come la rima, l'allitterazione, l'assonanza e simili"; e il gran numero di poesie ambientate in Italia, o dedicate ad amici o artisti italiani, è un ulteriore invito alla traduzione. Già curatore di due sillogi laytoniane (Lerici, 1981; Piovan, 1983), Alfredo Rizzardi appronta ottime versioni, fedeli eppure spesso in grado di vantare una propria dignità artistica. Qua e là si incontrano inspiegabili distrazioni (perché mai le bouncing por-poises [focene saltellanti] sono diventate "tartarughe" [p. 47]? o gli stools [sedili del cesso] dei "giacigli" [p. 55]?); e qualche volta si sarebbe "osato" di più (come resistere alla tentazione di rendere a vanishing waistline of air con "un'evanescente vita [invece di 'cintura'] d'aria" [p. 227]?), ma è comunque difficile immaginare mano più sicura di quella di Rizzardi. Nell'assenza di qualsiasi datazione, si suppone che le poesie siano disposte cronologicamente (di certo, le ultime sono scritte da chi, come Yeats, sa che "i vecchi devono essere pazzi"): un'allusione al Satyricon di Fellini (1976) assegna così appena un quarto del volume ai primi trent'anni di produzione e tutto il resto all'opera di un poeta ultrasessantenne (Layton è del '12). Siamo insomma al cospetto d'uno di quei rari artisti che non conosce involuzione e può dare ancora tantissimo. Peccato quindi che la quasi inesistente distribuzione della "Colchide", la collana dell'editore Piovan in cui Layton è ospitato, lo destini esclusivamente agli specialisti e alle aule universitarie. E il peccato è ancora maggiore dato che ultimamente la collana sembrerebbe tipograficamente, e fin nella qualità della carta, molto migliorata: quasi tutti i refusi che disturbano la lettura di Tutto sommato (soprattutto del testo inglese), spariscono da Gridi nel buio. Così non sono certo che l'emistichio "Or poems are read earth" (che Rizzardi rende: "O le poesie sono terra rossa") contenga un refuso (read invece di red), o non sia piuttosto un gioco d'omofonia che il traduttore deve rassegnarsi ad ignorare. Che sussista un dubbio del genere è indizio del tipo di poesia in esame. Si tratta infatti di raffinatissima metapoesia, che s'avvale dei più sottili accorgimenti per "increspare" la pagina, farne ruscello o lago, e subito trasmutare in inchiostro il sangue dei pesci presi all'amo: "Una poesia è pescare presso un ruscello invisibile / & tu non sei lì del tutto ma sei consapevole / di essere spiato da uccelli rari del bosco / dove sono nascoste uova colore di sogno // in ciascun uovo è celato un nastro di macchina da scrivere / è la lenza [line, che vuol dire anche 'verso'.. !] che pesca nel futuro". Se per Layton l'arte è dionisiaco forsennato divertimento, per il connazionale Rosenblatt essa è soprattutto divertissement, ozio piscatorio non scevro di sacralità (si pensi a tutte le connotazioni della figura archetipa del pescatore), ma sempre claustrofobicamente ricondotto all'unica realtà del foglio bianco. In bilico fra un'evocatività quasi mallarméiana e le delicatezze un po' stucchevoli di Richard Brautigan, la parola di Rosenblatt s'immerge "dove il buio morde un fondale di cioto-li", o si spinge "ai confini dei grilli ridenti // laggiù la terra è molto tenera / & i bruchi sono dolcissimi e affamati". Un brivido d'orrore attraversa queste poesie liquide, levigatissi-me, dove articolati "concetti" metafisici, folgoranti illuminazioni e stravaganze carrolliane intessono crudeli canti nuziali: "Avvolta nella mia rete, una figlia del fiume balla / muovendosi a scatti in una vestaglia d'argento; / finalmente mia sposa". Quanta nostalgia per gli illeciti e sani amori laytoniani! L'opera e la figura di Rosenblatt (nato nel '33) sono finemente discussi nell'eccellente saggio introduttivo, illustrato da sette disegni dello stesso Rosenblatt, che permettono una sorta di "ginnastica visiva", una specie di riscaldamento prima delle acrobazie dell' orecchio e della mente cui invitano i testi. L'impeccabile traduzione è frutto d'una consuetudine e di un affetto cui lo stesso Rosenblatt rende esuberante omaggio: "Stimato amico, hai scisso l'atomo della mia maschera j... I ora ogni glossema inglese si ritira timido sotto una foglia / in questo salubre giardino con le corone che cantano dal suolo italiano" (Per Alfredo in un giardino di traduzioni).