N. 3 pag. 34 wm MARIETTI m Tony Tanner L'adulterio nel romanzo Contratto e trasgressione L'evoluzione delle idee e dei pregiudizi della società nell'analisi delle eroine di Rousseau, Goethe, Flaubert. José Antonio Maravall La letteratura picaresca Cultura e società nella Spagna del '600 A cura di Rinaldo Froldi I capolavori spagnoli del Seicento nella lucida interpretazione di un appassionato e raffinato commentatore. Paul Ricoeur Filosofia della volontà 1. Il volontario e l'involontario A cura di Marco Boriato L'opera fondamentale del grande filosofo francese. Maria Jesus Rubiera y Mata L'immaginario e l'architettura nella letteratura araba medievale A cura di Ennio Concino II significato estetico e simbolico delle più celebri realizzazioni dell'arte islamica, dallo Yemen all'Andalusia, dalla Mecca a Baghdad. Lorenzo Milani Alla mamma Lettere 1943-1967 Edizione integrale annotata a cura di Giuseppe Battelli In un documento eccezionale, l'inedito ritratto "privato" di un protagonista del nostro tempo. Heinrich Ott La preghiera, linguaggio dell'uomo I fondamenti filosofici del rapporto personale dell' uomo con Dio. Giovanni Meriana Lettere da casa Jemolo Storia di un'amicizia Nel centenario della nascita del grande studioso, un'affettuosa testimonianza di vita e di cultura. Pier Luigi Celli Lettere a una figlia in clausura Quali ragioni ci spingono ad una scelta di vita? Adriano Fabris Linguaggio della rivelazione Filosofia e teologia nel pensiero di Franz Rosenzweig II "nuovo pensiero" inaugurato da La stella della redenzione in un esemplare percorso storico-critico. Oli Penso, dunque parlo di Marina Sbisà John L. Austin, Saggi filosofici, Guerini e Associati, Milano 1990, ed. orig. 1979, trad. dall'inglese di Paolo Leonardi, pp. 282, Lit 38.000. Possediamo il libero arbitrio? È possibile, e come, una conoscenza certa? Possiamo avere conoscenza degli stati d'animo altrui? Che cos'è la verità? O addirittura: che cosa esiste? Domande filosofiche tradizionali, tradizionalmente insolubili. Ma perché non cercare delle risposte, per cata postuma per la prima volta nel 1961 e accresciuta di altri inediti in edizioni successive, sono un'occasione per fare la conoscenza con questo autore, senza dimenticare, peraltro, che si tratta di un autore più difficile di quanto il carattere antimetafisico del suo pensiero e il suo attaccamento al linguaggio ordinario possano far pensare. A dire il vero John L. Austin non è un personaggio inedito per il pubblico italiano. E noto soprattutto a linguisti e sociolinguisti, per il danti l'interlocutore: lontani prodromi dei successivi, più recenti dibattiti (cui Austin non partecipò) sulle "presupposizioni", le "implicatu-re", il "principio di cooperazione". Una delle critiche che in passato è stata rivolta alla filosofia del linguaggio ordinario e, in particolare, ad Austin è stata quella di appiattire i problemi filosofici su di un senso comune corrispondente al modo di parlare e alla cultura degli inglesi di classe medio-alta. E di nascondere questa banalità dietro un muro di minuziose osservazioni linguistiche, complice una polemica persecutoria contro le ipersemplificazioni e le generalizzazioni della filosofia tradizionale. Sono accuse giustificate? Naturalmen- Filosofìa, vile marrana di Emilia Giancotti Yirmiyahu Yovel, Spinoza and Other Her-etics, voi. I: The Marrano ofReason, voi II: The Adventures oflmmanence, Princeton University Press, Princeton 1989, pp. 235 e 217. Quando uscì in Israele il libro di Yovel divenne subito un caso. Se ne parlò anche sulla stampa italiana come di un best-seller. L'intento di Yovel è molto chiaro e di per sé tale da giustificare, a mìo giudizio, la decisa opposizione degli ortodossi intransigenti: recuperare Spinoza all'ebraismo, sottolineandone i legami con la cultura marrana e, per altro verso, non soltanto rivendicarne l'appartenenza al pensiero occidentale ma mettere in rilievo anche la natura radicale e eretica del suo pensiero. Che fosse diffìcile portare a buon esito in ambiente ebraico questa operazione culturale e politica non deve sorprendere, se si pensa che Spinoza ebbe per primo il coraggio di mettere in discussione l'idea sulla quale si è fondata l'identità ebraica: quella di "elezione" del popolo ebraico. Appartenente dapprima alla comunità ebraica di Amsterdam, bandito successivamente da essa, egli dimostrò, nella sua opera più polemica e militante, il Trattato teologico-politico, l'infondatezza teorica del concetto di "elezione divina", chiarendone il significato più riduttivamente storico e, pertanto, transitorio. Studioso della cultura ebraica oltre che della filosofia occidentale, in questo libro Yovel non ci dà soltanto una monografia, a più facce, su Spinoza, ma attraverso Spinoza fa anche un bilancio della sua posizione di intellettuale ebreo, laico e militante e avanza una proposta politica di completa laicizzazione dello stato di Israele. Inoltre, benché esista già un'ampia letteratura sul rapporto di Spinoza con la cultura ebraica e marrana e benché la tesi che Spinoza sia un pensatore laico, radicale e teorico dell'immanenza sia ormai accreditata, lo specifico interesse del contributo di Yovel risiede, per un verso, nella particolare accentuazione dell'identità marrana del filosofo olandese e del suo essere ebreo e, peraltro verso, nell'aver stabilito e chiarito attraverso analisi puntuali una continuità tra l'origine marrana e i contenuti dì un sistema teorico che, nella sua formulazione definitiva, finisce col rovesciare i presupposti da cui muove. Il libro si compone di due volumi che si sviluppano entrambi intorno all'idea che Spinoza — pensatore eretico ma di provenienza marrana, provenienza rintracciabile in alcune delle sue tesi più importanti — fu anche il fondatore di una moderna filosofia dell'immanenza. Usando come filo conduttore l'idea di immanenza, che giustamente egli considera come l'idea portante del sistema, Yovel rintraccia prima i semi di tale principio nelle correnti in cui si articola la cultu- M lo meno parziali, o dei preliminari a una più corretta e meno insolubile formulazione delle domande stesse, esaminando il modo in cui parliamo di questi stessi problemi nell'esperienza quotidiana. Questa la proposta della filosofia analitica del linguaggio ordinario: analizzare e riformulare i problemi filosofici mediante il riferimento non a linguaggi ideali o a strutture logiche formalizzabili, ma al linguaggio comune e al suo uso quotidiano. La filosofia del linguaggio ordinario si è sviluppata come corrente della filosofia analitica inglese fra gli anni trenta e gli anni cinquanta trovando il suo momento di maggior vivacità negli anni del secondo dopoguerra e i suoi centri privilegiati nelle università di Cambridge (dove insegnava Wittgenstein) e Oxford. Della sua variante oxoniense fu esponente di spicco — se non leader riconosciuto — John Langshaw Austin (1911-60), di cui ora escono in traduzione italiana i Saggi filosofici. Forse nessuno ha dimostrato tanta passione e tanta perizia nell'investigare fenomeni linguistici anche minimi, tanta fiducia nel ricercare in essi l'origine di equivoci filosofici, lo spunto per scoprire le reali credenze di ciascuno di noi, o per delineare ancora una volta un'au-torappresentazione dell'uomo e del suo essere nel mondo. I Saggi filosofici, raccolta di articoli scritti fra il 1938 e il 1958 pubbli- suo Come fare cose con le parole (Marietti, Genova 1987), opera di filosofia del linguaggio uscita dai confini disciplinari della filosofia e generalmente considerata uno dei "classici" alla base dello sviluppo della pragmatica linguistica. In effetti, nozioni come quella di "enunciato performativo" (il tipo di enunciato proferendo il quale si compie un'azione, ad esempio "Io prometto che...", che serve a fare una promessa) e ancor più quella di "atto linguistico" (il proferimento di qualsiasi enunciato, considerato come azione) sono a volte (e a torto) trattate come se fossero dei contributi alle ricerche di pragmatica linguistica, privi di ogni valenza filosofica. L'Austin filosofo che si trova nei Saggi può invece essere un aiuto a meglio comprenderle, chiarendone il contesto d'origine. Così, ad esempio, è curioso ma non casuale ritrovare la "felicità" (o buona riuscita), parola chiave nella teoria dagli atti linguistici, studiata sotto le specie aristoteliche dell'eudai-monia nell'Etica Nicomachea nel primo e più giovanile dei saggi contenuti nel volume. Può inoltre essere interessante rintracciare, soprattutto in saggi anteriori al 1950, l'emergere embrionale di tematiche come quelle relative a ciò che l'uso di certi enunciati "presuppone" o "dà a intendere", o al ruolo giocato nella comunicazione degli assunti riguar- te, il deciderlo sta al lettore. I Saggi filosofici danno elementi sufficienti per capire come si siano formate, e in che misura dipendano da una lettura a sua volta viziata da pregiudizio. Austin parla apertamente delle ragioni, dei vantaggi e dei limiti della sua metodologia (soprattutto nel saggio Una giustificazione per le scuse). Inoltre, il fatto stesso della traduzione italiana, condotta da Paolo Leonardi (anch'egli filosofo del linguaggio, di ambito analitico) con il criterio di "tradurre tutto", al limite fingendo "che le osservazioni che Austin fa sulla lingua inglese le avesse fatte sulla lingua italiana", serve a evidenziare il carattere concettuale più che strettamente linguistico, e quindi non vincolato alle forme di superficie di una singola lingua, della maggior parte delle osservazioni au-stiniane. È vero però che la filosofia del linguaggio ordinario richiede continuamente una distinzione (difficile, e filosofica) fra tesi concettuali di cui i fenomeni linguistici costituiscono semplicemente un sintomo o un esempio, e tesi riguardanti direttamente la struttura della lingua in questione. Non si può poi dubitare che Austin fosse consapevole delle differenze fra lingue: conosceva certamente, oltre al greco e al latino, il tedesco e il francese; il suo darwinismo linguistico, cioè l'idea che nelle lingue sopravvivono le distinzioni concettuali più adatte, era probabilmente inteso come applicabile a qualsiasi lingua, benché egli l'applicasse alla propria lingua madre. Quanto ai timori di appiattimento e banalizzazione, l'insistere di Austin su di una filosofia "sobria" e senza pretese di profondità a volte sa un po' di denegazione (si veda l'apertura di Enunciati performativi): numerosi indizi infatti autorizzano a credere che Austin era ben lungi dal non conoscere, o dal non voler provare, il brivido filosofico. Che vuol però mantenere nei limiti di un suo canone di eticità: per esempio con l'uso di "strumenti puliti", o con il rifiuto di barare usando generalizzazioni infondate, la rimozione di con-troesempi, la sovrapposizione fra concetti non equivalenti. Che Austin non fosse più nemico della filosofia (quella degli altri) di qualunque altro filosofo, lo mostra in modo significativo la rete di riferimenti ad altri filosofi che si trova nei suoi Saggi. Alla teoria della conoscenza di Platone è dedicato un articolo. Cartesio e Leibniz, insieme con Platone stesso, sono nominati come esempi di genio filosofico (sia pure perverso); Kant è citato qua e là con fondamentale rispetto, e non mancano accenni agli empiristi inglesi, fra i quali Berkeley è citato con maggiore simpatia, Hume con maggiore antipatia. Nel panorama contemporaneo o quasi-contemporaneo sono citati G. E. Moore (per criticarlo), Peirce con la sua semiotica, Charles Morris. Non vi sono riferimenti espliciti a Frege e a Wittgenstein; ma la presenza del primo, che si intuisce qua e là, doveva essere nota agli interlocutori cui i saggi, originariamente conferenze, erano rivolti (Austin tradusse in inglese l'opera di Frege Grundlagen der Arithmetiky, quanto poi a Wittgenstein, la sua influenza sulla filosofia del linguaggio ordinario formava un orizzonte condiviso cui Austin si riferisce in diverse occasioni polemicamente. L'autore con cui Austin preferisce dialogare è, comunque, Aristotele, considerato esempio e guida per i problemi di metodo e in particolare per l'approccio di Austin all'etica attraverso la teoria dell'azione e il problema della responsabilità (linguisticamente incarnato nelle "scuse"). Quanto alle tesi sostenute da Austin, sono da segnalare le tematiche epistemologiche: il rapporto fra percezione e linguaggio (in cui, a suo avviso, la percezione eccede il linguaggio), il rapporto fra credenza e sapere (di cui Austin afferma la discontinuità); non mancano però tematiche di carattere ontologico (per esempio sul tema de "i fatti"), in cui Austin a più riprese si mostra sì antimetafisico, ma contemporaneamente antiriduzionista. L'etica è presente, come accennavamo sopra, attraverso la tensione verso una teoria dell'azione (e del linguaggio come azione), da costruire attraverso l'analisi del linguaggio. Fra gli articoli che affrontano temi di filosofia del linguaggio spiccano Come parlare — alcuni modi semplici, un'analisi al microscopio, in contesti dichiaratamente astratti, di semplici asserti dichiarativi intesi come atti linguistici; e La verità, che argomenta a favore di un'originale versione della teoria della verità come corrispondenza ai fatti. I Saggi filosofici erano, per metodo, contenuti e stile, tutt'altro che facili da tradurre. Paolo Leonardi ha fatto molto bene un lavoro molto impegnativo, riuscendo a rendere le idee e il modo di procedere dell'autore, anche se qualche volta nei dettagli il testo perde un po' colore: in lingua originale la scrittura di Austin era "costruita", voluta (fino a essere, a momenti, contorta), più di quanto non risulti nel leggere la traduzione che — peraltro motivatamente — spesso appiana o semplifica. Dispiace che vi siano parecchi errori tipografici.