N. riNDICF -4 ■■dei libri delmese^^l Il Libro del Mese Gli alberi, gli scacchi, i bambini di Goffredo Fofi Acheng, II re dei bambini, Theoria, Roma 1991, ed. orig. 1991, trad. dal cinese di Maria Rita Masci, pp. 71, Lit 15.000. Terzo e ultimo racconto lungo della serie dei "Tre Re" curata nell'edizione italiana con impeccabile amore da Maria Rita Masci, Il re dei bambini di Acheng si svolge sette anni dopo l'azione del primo. Il re degli scacchi, infatti, raccontava l'esodo dalla città e le prime esperienze del narratore-protagonista qui soprannominato, per la sua magrezza, Stecco. Era il tempo esplosivo della rivoluzione culturale vincente, del primo contatto dei giovani "istruiti" con la realtà dell'immensa provincia cinese contadina e montanara, dell'allontanamento degli studenti dalle grandi città nel momento in cui Mao considera il loro compito di "attacco al quartier generale" concluso e si attende dal loro affollamento metropolitano solo confusione e tumulto. Il cinismo del vecchio leader, che manovra come ultima risorsa per la sua battaglia politica masse giovanili facilmente ideologizzabili, sembra potersi permettere di tutto, secondo una sua astuzia della storia verificatasi poi anch'essa fragile e perdente. Senza infierire, i tre "Re" di Acheng offrono una durissima disamina di quegli anni e di quella storia, anche se non è questo il compito primario loro affidato dall'autore, interessato a mostrare la storia sullo sfondo più vasto della civiltà cinese, e a concretizzare in figure e situazioni semplici di immediata comprensione e perfino didascaliche, conflitti culturali e modi di vivere e di intendere natura e cultura, contingente ed eterno. Della sua esperienza di "giovane istruito" spedito in campagna, Acheng ha acquisito la comprensione dei dilemmi profondi della sua terra e società. Ora, nel Re dei bambini, dopo essersi tirato un po' da parte per raccontarci la vitalità della tradizione buddista nel Re degli scacchi, più radicata di quella portata dalla rivoluzione, e per raccontarci nel Re degli alberi la sconfitta della natura a opera di interventi presunti progressisti, egli può permettersi di mettere in scena se stesso e un conflitto che è progettuale, pedagogico per eccellenza e per eccellenza politico o meglio: di critica della politica, come dovrebbe essere di ogni progetto pedagogico vero, cioè liberatorio. Può presentarsi come un pedagogista per caso (ma che lo è poi per vocazione, come dovrebbe essere di fatto per ogni intellettuale), tuttavia in grado di proporre subito nella sua esperienza un'alternativa all'educazione ufficiale. "Nel 1976 erano già sette anni che lavoravo alla brigata di produzione..." Non è più un ragazzino, la sua parte di lavoro manuale l'ha fatta ed è disposto a continuarla. Una volta chiamato dalle istanze superiori a prendere il posto di un insegnante che ha lasciato, non è che il panico lo prenda più di tanto. Questo privilegio (il lavoro intellettuale) gli tocca semplicemente perché ha studiato un po' più degli altri, perché è un "giovane istruito", al contrario dell'amico Lao Hei che lo invidia in quanto, avendo egli conosciuto solo l'insegnamento elementare e le citazioni del presidente Mao, sa di "non avere futuro". Nulla in Acheng è superfluo: la prosa è scarna ma l'azione è fitta e le notazioni anche; tutto nel testo ha una necessità, al pari che nel più rigido teatro didascalico, nelle dimostra- zioni scientifiche. Il fascino dei suoi racconti sta proprio nel loro minuzioso non sciupar niente, neanche una riga, ma con ciò stesso senza mai dimenticare il racconto per la dimostrazione, riuscendo anzi il più delle volte, a rendere limpido e alto il suo narrare. La sua semplicità non è mai quella riduttiva della propaganda quel proletariato nel cui nome si compiono nuove oppressioni e si operano nuove mistificazioni a vantaggio delle "avanguardie", dei "partiti", dei "grandi leader". Insomma, il mite Acheng si confronta direttamente con Mao, "il grande timoniere". Senza mai citarlo, in sordina. mati entrambi di tao), è meno "metafisico", è più concreto, storico, politico. Il maestro guidato dal buon senso e nemico istintivo delle frasi fatte, dell'inesauribile logorrea e ripetitività della propaganda e dei "materiali di critica", o che vorrebbe quantomeno spazio anche per altro di più vero e utile per la crescita C'era una volta il maestro di Eliana Bouchard Il giovane Lao Gar detto lo Stecco che, armato di roncola, sale la montagna verso la scuola dove dovrà insegnare, è appena stato fatto maestro sul campo di grano dove da sette anni, insieme alla sua brigata ha zappato, seminato, accudito i maiali. Incerto sul suo futuro lavoro, lascia la zappa ai suoi compagni ma tiene la roncola, non come simbolo del passato, ma perché potrebbe servire a cambiare i bambù del tetto o il graticcio del letto. Il maestro ha frequentato solo il primo anno della media superiore e ha di fronte a sé una classe del terzo anno sprovvista di libri di testo: il manuale adottato dallo stato è nelle mani dell'insegnante, dev 'essere copiato sui quaderni e studiato meticolosamente, burocraticamente, ideologicamente. Lao Gar, cosciente della non progressività di un testo dai contenuti così astratti, decide di non fame uso e cerca di trovare un punto di contatto, nella conoscenza dei caratteri di scrittura, per poi di lì tirare delle linee di osservazione della realtà del villaggio, magazzino di segni da cui attingere per costruire frasi e periodi. L'esperimento funziona, i bambini imparano e quando saranno nella loro brigata di lavoro sapranno scrivere una lettera ai genitori. Il maestro Lao Gar, però, viene convocato dal segretario dell'ufficio per l'istruzione dell'azienda centrale e rimandato a temprarsi un po' in una brigata di produzione. Siamo nel 1976, in quegli stessi anni, in Italia, il movimento di cooperazione educativa aveva elaborato una critica al libro di testo, ne chiedeva l'abolizione, lottava contro la burocrazia, i santi e le madonne obbligatorie. Il paragone non regge. Si sa, la civiltà occidentale può abolire il libro ma usarne cento, se non funziona la scuola pubblica c'è quella privata, si può talvolta aggirare la burocrazia e oggi può persino stare a casa chi non ha i santi e le madonne. Eppure questo libretto ci irretisce con la sua semplicità e rimette al centro con la forza dell'ingenuità la necessità dell'uomo di osservare la realtà con i propri occhi e con la coscienza dell'importanza di soddisfare prima di tutto i bisogni primari di ciascuno dando a tutti i caratteri necessari per esprimerli. Se questa piccola considerazione unifica a distanza i bambini di Acheng e quelli di Rodari, un'altra però li divide isolando irrimediabilmente uno dei valori più robusti e più utopici della rivoluzione culturale e cioè la roncola. I nostri bambini occidentali non hanno mai avuto né avranno mai, così come i loro maestri, la possibilità di costruire la loro esperienza conoscitiva coniugando insieme lavoro manuale e lavoro intellettuale. Acheng ha scritto con parole limpide e universali delle storie in cui c'è, anche se non pesa, tutta la tradizione della storia del suo popolo, compresa l'esperienza rivoluzionaria, anche perché ha lavorato in campagna per una decina di anni, leggendo certo Tolstoj, Dostoevskij, Balzac e Hugo. contro la quale il protagonista "re dei bambini" perde anzi la sua battaglia, ma è quella per una semplicità dell'evidenza, quella del "buon senso" soffocato dagli interventi ideologici, che Acheng e il suo "re dei bambini" sono andati, paradossalmente, a imparare proprio dai contadini, da Nel Re dei bambini lo scontro che sta verso la fine non è grandioso come nel Re degli alberi o nel Re degli scacchi (l'abbattimento del grande albero da parte dei figli del progresso e della ragione, la grande partita a scacchi tra il vecchio maestro contadino e il povero giovane cittadino ar- OIKOS Rivista quadrimestrale per una ecologia delle idee diretta da Mauro Ceruti e Enzo Tiezzi Furio Jesi MITOLOGIE INTORNO ALL'ILLUMINISMO A. Kamenskij - F. Sologub -V. Brjusov RACCONTI DEL DECADENTISMO RUSSO G.W.F. Hegel VIAGGIO NELLE ALPI BERNESI Edgar Morin PER USCIRE DAL VENTESIMO SECOLO AA.VV. JOHN M. KEYNES Linguaggio e metodo Theodor Hierneis IL RE È A TAVOLA Ricordi di un cuoco di Luigi di Baviera Francesco Petrarca ITINERARIO IN TERRA SANTA m PIERLUIGI LUBRINA EDITORE V.le V. Emanuele, 19 - 24100 Bergamo - Tel. 035/223050 dei suoi allievi, per la loro "istruzione", viene semplicemente rispedito in una brigata di lavoro dai burocrati, che tollerano solo la ripetitività delle formule, l'indottrinamento rituale su cui si basa infine il loro potere di parlare in nome di chi non sa. Il progetto maoista è stato un progetto per il dominio, di ignoranza dunque, invece che di "educazione" e di affrancamento? Acheng non lo dice a chiare lettere, ma semina di indizi la narrazione, e conclude sul personaggio del ragazzo che studia per poter parlare per il padre muto, il disprezzato faticatore soprannominato senza alcuno motivo "Cacarella". (Anche il turpiloquio minimale e di una volgarità tutta contadina — legata ai bisogni primari — cui il protagonista rinuncia quando deve andare a insegnare per rispetto del suo ruolo, è un elemento di positiva concretezza, pacatamente rivendicato rispetto all'aulica e barocca, insensata sloganistica del potere). Il maestro ha poco da insegnare agli allievi. Ha da insegnare poco ma quel poco è essenziale: saper leggere, saper raccontare il vero e non la retorica finzione dell'ideologia. La lezione è quella stessa che il maestro dà al suo migliore allievo. L'allievo provoca una scommessa. In cambio di un prezioso vocabolario "professore dei professori", egli saprà raccontare un fatto prima che questi sia avvenuto. Per riuscirvi, fa accadere il fatto prima della data prevista, ma è un modo di barare , anche se il suo tema non tradisce la verità. Gli altri — i burocrati — della verità poco si preoccupano: basta loro inventare leggi astratte e ossessivamente ripeterle nell'illusione che verità poi diventino (o tornino a essere). Il "re dei bambini" sa che la realtà la si può raccontare (e interpretare, e derivarne lezioni) solo prima vivendola. Anche questo era un insegnamento di Mao, un vero che è diventato in Mao e nei maoisti (là e qua) falso nel momento stesso in cui si è fatto norma o retorica, catechismo. Acheng discute Mao sul terreno di Mao. Nel bellissimo film di Chen Kaige tratto dal Re dei bambini, che i mercanti del cinema italiano, compreso quello detto d'essai, non hanno trovato utile comprare per i nostri schermi, il regista — della leva di Acheng e come lui figlio di sceneggiatori — appare molto meno didascalico di Acheng, ma bravo in quanto è bello il testo di Acheng che egli visualizza. Più occhio che penna, cinema. Più pastoso, anche, e lirico, egli ama soffermarsi su particolari e su paesaggi che Acheng accenna e non descrive. Per esempio, quéi cinque chilometri che dividono la brigata dalla scuola. Per esempio, il non-idillio della grassa Lai Di con il protagonista per il cui tramite già Acheng ci ha avvertiti dell'assurdità del modello sessuale iperrepressivo e maschilista che la rivoluzione culturale santificava. Per esempio il tema delle canzoni — del conflitto tra la tiritera "rivoluzionaria" da opera di Pechino e marce eroiche, e la semplice canzone molto infantile e giocosa e ironica (l'ironia: bestia nera di ogni "rivoluzione al potere") composta dal "re" e da Lai Di. Chen Kaige lascia al suo posto la scena molto evidente dei giovani della brigata che recitano, su insegnamento del loro compagno diventato per cosi poco tempo maestro, la storiella del vecchio sulla montagna che raccontava la storiella del vecchio sulla montagna che... Parodia di scuola; e senso della storia e della narrazione come ripetizione, della storia e della narrazione come già detto, e in particolare, sembrerebbe nella storia cinese. Ma ha spostato alla fine una divagazione mentale del "re" messa invece da Acheng nella prima metà del libro: il modo in cui egli conduceva, alla brigata, i buoi al pascolo pisciando qua e là per essere seguito da loro, avidi del sale contenuto nell'urina (e siamo a un altro esempio di quella concretezza "corporale" cosi importante in Acheng), paragonato a un modo possibile di insegnare (ma "gli alunni sono molto più facili da gestire dei buoi"), di "comandare grazie alla pipì". Una saggezza tutta contadina, terragna, che il regista del film fa ritornare alle origini, al ragazzo, all'allievo nella cui vita conta il lavoro più della scuola, e il lavoro di sempre, con quella conoscenza di sempre di cui i burocrati, altra specie anche quando dal popolo siano venuti, non possono proprio tener conto, ne sono proprio incapaci. Il ragazzo e i buoi sono osservati dall'insegnante provvisoriamente fallito e respinto, dal giovane istruito che diventerà, forte di quella conoscenza, lo scrittore (e pedagogo, "re") Acheng, che oggi, dalle parti di San Francisco, scrive e lavora "part-time" come imbianchino, muratore, riparatore di autombili.