Arte Palazzo dei Congressi, a cura di Giorgio Muratore e Simonetta Lux, con una presentazione di Franco Borsi, Edita-lia, Roma 1990, pp. 208, s.i.p. Il Palazzo dei Ricevimenti e Congressi realizzato da Adalberto Libera a partire dal 1937 fu da subito pensato come un fulcro compositivo, prospettico e simbolico dell'Eur, l'Esposizione Universale di Roma del 1942 voluta da Mussolini oltre che per evidenti fini propagandistici, per porre le basi di un primo decentramento della capitale (peraltro in contraddizione col marcato accentramento su piazza Venezia, dopo l'apertura delle nuove vie del mare e dell'impero), in cui fin da quegli anni si iniziava ad intravvedere una carenza di edifici di pubblica utilità, che nel dopoguerra si farà cronica. Gli autori della monografia — che hanno seguito passo passo la costruzione del palazzo di Libera prendendo anche in esame, fin dai progetti di Funi e Afro, le decorazioni parietali concluse soltanto nel 1953 da Gino Severini — mettono a fuoco questo ed altri aspetti, come quello primario delle colonne pia-centiniane poste in facciata, a formare il portico monumentale della razionalistica aula dei congressi, voltata da un'unica copertura ribassata a crociera. Ne emerge un capitolo fondamentale dell'architettura italiana moderna e fascista, in cui gli stilemi del razionalismo classico vengono piegati a una versione autoctona, latina, di grande suggestione. Paolo San Martino Demetrio Paparoni, L'origine della ferita, prefaz. di Arturo Schwarz, Tema Celeste, Siracusa 1990, pp. 103, Lit 22.000. La critica d'arte dopo gli anni sessanta, tranne pochissime eccezioni si muove nell'ambito di una scrittura evocativa che dipana grandi fili di analogie, cosi come sempre più onnivora e onnicomprensiva è la cultura dell'artista, i suoi legami con un immaginario senza tempo e senza luogo, ma ormai presente davanti agli occhi di tutti, come una sorta di museo ideale dell'arte di tutti i tempi. Il gesto dell'artista è perciò sempre universale e ha già da tempo messo fuori uso, almeno in apparenza, una tradizione di ricerca e di esegesi critica che guardava al "vicino", al tramando, al nucleo di una scuola, di un ambiente o di una ricerca particolari. Se l'opera è un gesto che salta ogni crescita stilistica o formale e la ab- batte, allora il suo parallelo è sempre più indietro possibile, al pittore di Lascaux o alle tante immagini stereotipe che sono divulgate dalla riproduzione. Demetrio Paparoni è editore d'arte e promotore di una delle riviste più vivaci di arte contemporanea, "Tema celeste", che si fa a Siracusa in virtù di quello che fino a poco tempo fa avremmo considerato un tipico miracolo italiano in un totale deserto di strutture, ma che è invece un miracolo da villaggio globale se, come lui stesso dice, "gli intellettuali di tutto il mondo abitano in un unico luogo". Nel volume, che riunisce una serie di saggi apparsi sulla rivista, Paparoni ricuce un insieme di artisti in presenza di uno di questi percorsi universali. L'"origine della ferita" è la coscienza o la memoria della morte, un salto a grandi temi e categorie di fronte alle quali sia l'artista che il critico di fatto sembrano ridurre a zero la ricerca del mezzo espressivo. Qualsiasi analisi o autoriflessione su di esso diventa secondaria, con il rientro già consolidato dentro la pittura o mezzi che le sono affini. Ed è anche in questo caso una pittura cita-zionista, al fondo, che rivela all'analisi più ravvicinata una convincente posterità di Francis Bacon, o almeno una sua riconosciuta autorità su lavori degli anni ottanta di artisti come Arnulf Rainer, Jim Dine, Ross Bleckner, Robert Morris, Siegfrid Anzinger. E curioso come in tutti il neoromanticismo, il ricorso a repertori da danza macabra, sia conclamato, caricato, eccessivo, tanto da diventare, come nota Schwarz nell'introduzione, un irresistibile élan vital che trasforma ogni cosa nel suo opposto. Adalgisa Lugli Maria Grazia Cerri, Palazzo Cari-gnano. Tre secoli di idee, progetti e realizzazioni, Allemandi, Torino 1990, pp. 262, Lit 120.000. Una miniera di documenti e un dettagliato rendiconto delle operazioni di restauro, passate e in corso, per documentare l'evoluzione e le aggiunte ottocentesche di questo capolavoro dell'architettura barocca, nato come residenza del principe di Ca-rignano e diventato nel corso dei secoli, prima sede del parlamento subalpino, poi di istituzioni museali. Oltre alla "rassegna delle avventure costruttive" e ai capitoli più strettamente tecnici sul problema del degrado e degli interventi di conservazione, si segnalano le discussioni e le prese di posizione della critica ufficiale, da Montesquieu per il quale il Palazzo Carignano è un "edificio bellissimo" a Bernardo Vittone che considera le cupole di Guarini "oscure e difficili", da Quatremère de Quincy che giudica stravagante e bizzarro, in senso negativo, l'utilizzo della tecnica da parte di Guarini, a de Andrade che parla dell'"infelice parto dell'ammalata fantasia del Padre Guarino Guarini", per arrivare alla completa rivalutazione nel corso del Novecento. L'autrice è stata soprintendente per i Beni Architettonici e Ambientali del Piemonte fino al 1982. Maria Laura Della Croce D Neoclassicismo, numero monografico di "Antologia di Belle Arti", nuova serie, nn. 35-36-37-38, 1990, Allemandi, Torino, pp. 160, Lit 80.000. Riflettendo, nella breve introduzione, sui dodici anni di attività della rivista da lui diretta, Alvar Gonzà-lez-Palacios rivendica con orgoglio il rigore filologico che è stato il Leitmotiv di questa pubblicazione: una filologia talvolta ostica e poco accattivante ma, si insiste, ineludibile "base di ogni manifestazione brillante". Il volume raccoglie saggi e schede di diversa ampiezza dedicati a svariati aspetti della pratica artistica tardosettecentesca: pittura, scultura, arti decorative e architettura. Anche gli argomenti trattati sono eterogenei: si passa infatti da precisazioni su personaggi di spicco, come Canova, Palagi o Francesco De Mura, al recupero di figure pressoché sconosciute, come Pietro Angeletti, o allo studio di soggetti inconsueti, come le gioie di Paolina Borghese. Ne deriva un quadro frastagliato e forse frammentario, ma che rappresenta tuttavia un utile punto di partenza per la ricostruzione di una stagione artistica ancora trascurata nel dibattito storiografico del nostro paese. Maria Perosino Piccoli Artifici. Miniature e ritrattini dalle raccolte civiche, catalogo della mostra, a cura di Simonetta Stagni, Nuova Alfa, Bologna 1991, pp. 153. s.i.p. Le miniature in mostra presso il Museo Civico di Bologna, affidate per lascito alle Collezioni Comunali d'Arte e al Museo Davia Bargellini, fanno parte della raccolta di 225 opere che sono state di recente schedate e restaurate. Il catalogo curato da Simonetta Stagni rende conto di un percorso critico che rispetta la particolare fisionomia di ciascuna delle 4a Edizione del PREMIO BIMESTRALE MAGAZINE Mar./Apr. 1991 — di L. 3.000.000 — Per la pubblicazione di una raccolta inedita di poesie, racconti, di un romanzo breve o saggio, di autore italiano, anche esordiente. — Il Premio andrà all'opera, contenuta tra le 20-120 cartelle dattiloscritte, giudicata da una Giuria tecnica e insindacabile, il miglior elaborato. Anche altri testi segnalati saranno proposti per la stampa. Le Edizioni Andreozzi sono distribuite, tra l'altro, tramite propri Rea-der's Club e Mostra del libro esordiente. — Scadenza: 15 aprile 1991. — È richiesta per ogni manoscritto la quota di L. 50.000 (cinquantamila), per spese di organizzazione, da versare sul c/c postale n. 42751008 intestato ad Alberto Andreozzi Editore -Viale G.B. Valente, 31 - 00177 Roma, a cui vanno spediti i dattiloscritti (non restituibili), unitamente alla ricevuta (o fotocopia) del versamento. — A tutti i partecipanti sarà inviata in omaggio sia copia del Uibro premiato che delle altre Edizioni Andreozzi. collezioni private originarie e sa cogliere, nell'apparente disomogeneità qualitativa dei materiali, il punto di forza per una esemplare storia della miniatura dal XVI al XIX secolo. La pittura "in piccolo" trova infatti la migliore interpretazione in un'indagine storica e di costume che le riconosca il suo primo valore d'uso, affettivo e sentimentale, e la sottragga ad obblighi estetici convenzionalmente intesi. La tendenza a orientare la sensibilità verso il "grazioso" e la ricerca della meraviglia, comuni ad ogni squisito artificio minuto, non escludono ovviamente l'alta qualità di un genere che non dispiacque a grandi artisti e che si trova qui ben documentata da schede e riproduzioni. Il lavoro condotto su questa raccolta ha consentito tra l'altro di riconoscere in un pregevole piccolo olio su legno di bosso la mano di Bartolomeo Passerotti e di attribuire plausibilmente una coppia di acquerelli a Rosalba Carriera, la pittrice veneziana che contribuì alla fortuna della miniatura anche per la scelta innovativa dell'avorio come supporto del dipinto. Alessandra Rizzi Roberto Zapperi, Tiziano, Paolo HI e i suoi nipoti, Bollati Boringhie-ri, Torino 1990, pp. 103, Lit 22.000. In bilico tra storia politica e storia dell'arte, il saggio prende le mosse dal ritratto di Paolo III con i nipoti di Tiziano, ricostruendo la genesi dell'opera e spostando spesso, attraverso il rapido succedersi dei brevissimi capitoli, il punto di vista dall'artista alla committenza. Punto di forza del lavoro è la precisa sottolineatura delle valenze politiche del dipinto, dettate dal suo inserimento nella tipologia del "ritratto di stato", che si adatta alla famiglia Farnese ansiosa di accrescere il suo ruolo in Italia così come in Europa, nel con- fronto con un altro grande committente di Tiziano: l'imperatore Carlo V. L'analisi è molto sottile nel mettere in luce le pressioni, le reticenze e le ambiguità di un rapporto in cui, da entrambe le parti, è in gioco il proprio prestigio, i problemi interni alla famiglia dei committenti, i cui ruoli non sono ancora definiti, e il peso che i ritratti hanno in questo contesto. All'interno di questi giochi, le due figure di papa Farnese e di Tiziano sono tratteggiate nei loro percorsi paralleli con delicatezza, ma con qualche accento un po' patetico là dove si cerca di indagare la loro intimità di uomini anziani a confronto. Simone Baiocco Arte segnalazioni L'Europa delle carte. Dal XV al XIX secolo, autoritratti di un Continente, catalogo della mostra, a cura di Marica Milanesi, Mazzotta, Milano 1990, pp. 178, Lit 60.000. Aldo Colonnetti, I segni delle cose. Grafica, design, comunicazione, La casa Usher, Firenze 1990, pp. 143, Lit 25.000. Franz von Stuck e l'Accademia di Monaco da Kandinsky ad Albers, catalogo della mostra, Mazzotta, Milano 1990, pp. 158, Lit 75.000. Francesco Tentori, P.M. Bardi, con le cronache artistiche de "L'Ambrosiano" 1930-1933, Mazzotta, Milano 1990, pp. 412, Lit 80.000. I-'-U ...''.'>TÌfì MHWI Paolo Troubetzkoy, 1866-1938, catalogo della mostra, a cura di Gianna Piantoni e Paolo Venturoli, Il Quadrante, Torino 1990, pp. 295, Lit 65.000. La scultura italiana dell'Ottocento non è stata fino ad ora oggetto dì studi di insieme o di mostre paragonabili a quella dedicata all'Ottocento francese (La sculpture fran9aise au XIXe siècle, Grand Palais, Parigi 1986) con un catalogo per argomenti, piuttosto che per opere, autori o scuole, che toccava temi come l'atelier dello scultore, le accademie e le scuole di formazione, le tecniche e i materiali, le commissioni pubbliche e religiose, il meccanismo delle scelte e dei finanziamenti, la scultura nella città e infine le diverse forme di linguaggio, dalla tradizione classica, al romanticismo, all'eclettismo, al realismo, al simbolismo e al primitivismo. In Italia le più importanti mostre di scultura ottocentesca degli ultimi anni sono nate al contrario da situazioni molto circoscritte, su singoli artisti o piuttosto su nuclei di materiali conservati, come il restauro dei gessi di Lorenzo Bartolini a Prato (1978), della gipsoteca di Bistolfi a Casale Monferrato (1984) e ora di quella di Troubetzkoy al Museo del Paesaggio di Verbania Pallanza, che ha dato occasione per la pubblicazione di un catalogo con un taglio che lo rende utilizzabile come prima monografia sull'artista, ma con una opportuna accentuazione sui problemi posti dai materiali presi in esame e un utile percorso (Venturoli) attraverso le altre gipsoteche italiane, i convegni e le pubblicazioni di restauro e conservazione. Il principe Troubetzkoy è allievo di Bazzaro e si forma nella Milano scapigliata di Grandi, Ranzoni e Cremona, artisti legati al mecenatismo e al collezionismo della sua famiglia, quando si trova sul Lago Maggiore. Negli anni ottanta dell'Ottocento fa dichiarazioni di poetica che lo assimilano a Medardo Rosso, nel voler rendere /' ' 'impressione", nel ripudiare il simbolismo ("non voglio che ì miei dipinti e statuette rappresentino 'idee' come quelle dei simbolisti "), ma poi elabora un linguaggio facile, veloce e descrittivo, che semplifica, ma utilizzandolo a fondo, lo sperimentalismo di Rosso. Ma con tutti i virtuosismi e il gusto per la scultura minuta dei francesi, tanto che con la grande esposizione parigina del 1900, Troubetzkoy verrà imposto nei salotti da Robert de Monte-squiou come il ritrattista della "vie moderne", l'equiva- lente in scultura di Boldini. È un vero virtuoso anche delle nazionalità: il padre è un principe russo, la madre una cantante lirica nordamericana, è allevato da un'istitutrice svizzero-tedesca, sposato a una svedese e poi a un 'irlande- se. ■■ Mi ■ La matrice lombarda è in un costante e forte legame con Pallanza che commissiona a Troubetzkoy il monumento a Carlo Cadorna. In realtà l'artista entra in contatto con ambienti molto diversi e molto in anticipo sui tempi: è in Russia dal 1898 ali 905 e in seguito, come beniamino del collezionismo intemazionale, in varie città degli Stati Uniti, dove fa ritratti di personaggi di spicco americani, e qualche incursione nell'esotico, citando dal folklore, dai cow-boys ai pellerossa. Infine toma in Europa, dividendosi tra la sua casa nei dintorni di Parigi e Villa Cabianca sul Lago Maggiore, ma recuperando anche, col lascito dei gessi provenienti dal suo atelier al Museo del Paesaggio di Pallanza, un'identità italiana, che Raffaello Giollì aveva dovuto ribadire nel promuovere una sottoscrizione nel 1912 perché la Biennale di Venezia gli dedicasse una sala. Adalgisa Lugli