Hihvn N. 3 pag- Marsilio Frecce acuminate e sottili, gocce corrosive, punture di spillo. Grilli: piccoli grilli per la testa Ferdinando Camon IL SANTO ASSASSINO Dichiarazioni apocrife Una sequenza incalzante di scritture brevi e sarcastiche, percorse da fremiti continui dì insopprimibile moralismo pp. 136, L. 14.(XX) Régis Debray A DOMANI, PRESIDENTE De Gattlle, la sinistra, la Francia La provocatoria riscoperta delle virtù di un capo carismatico prefazione di Silvio Lanaro pp. 135, L. 14.000 CNarrativa^) Frediano Sessi IL RAGAZZO CELESTE Perché si uccide un compagno? pp. 180, L. 24.000 ^Letteratura universale^ Izumi Kyòka IL MONACO DEL MONTE KÒYA E ALTRI RACCONTI a cura di Bonaventura Ruperti II mondo magico e crudele, fantastico e sensuale di un moderno autore del Giappone pp. 338. L. 19.000 Charles W. Chesnutt LA SPOSA DELLA GIOVINEZZA a cura di Alessandro Portelli traduzione di Cristina Mattiello La linea del colore: per la prima volta in italiano i racconti del padre fondatore della letteratura afro-americana pp. 264, L. 18.000 Benito Pérez Galdós TRISTANA introduzione di Vito Galeota traduzione e note di Augusto Guarino Il gioco ambiguo della seduzione nel romanzo che ispirò Burìuel pp. 407, L. 22.000 Omero LA MORTE DI ETTORE (ILIADE XXII) a cura di Maria Grazia Ciani commento di Elisa Avezzù Morire per la patria, morire per la gloria. Epitafìo di un eroe. pp. 120. L. 12.000 Seconda edizione C>ggD Elémire Zolla LE MERAVIGLIE DELLA NATURA INTRODUZIONE ALL'ALCHIMIA Leggere le annodature e gli svincoli d'un tralcio, i succhi freschi che irrorano un tronco... pp. 596. L. 45.000 Gigliola Pagano De Divitiis MERCANTI INGLESI NELL'ITALIA DEL SEICENTO Venezia e Livorno, Napoli e Palermo: la penetrazione inglese nel mondo mediterraneo pp. 223, L. 32.000 Gabriella Gribaudi A EBOLI Il mondo meridionale in cent'anni di trasformazioni Un paese del Sud indagato con la pazienza dell'etnologo e la precisione del chirurgo pp. 293, L. 42.000 Shuichi Katò STORIA DELLA LETTERATURA GIAPPONESE a cura di Adriana Boscaro Dalle origini al XVI secolo pp. 379, L. 42.(XX) Seconda edizione Giacomo Noventa "IL CASTOGALLO" E ALTRI SCRITTI 1922-1959 a cura di Franco Manfriani Il quinto ed ultimo volume delle "Opere Complete" pp. 3I4, rilegalo. L. 68.000 La routine della paura di Alberto Papuzzi Janet Frame, Dentro il muro, Interno Giallo, Milano 1990, ed. orig. 1961, trad. dall'inglese di Lidia Per-ria, pp. 212, Lit 23.000. Come tutti i veri scrittori, Janet Frame coinvolge il lettore di Dentro il muro in un immediato e oscuro processo di identificazione con la protagonista del romanzo, quella signorina Istina Mavet, spaventata, ribelle, disperata, ostinata, nella quale non sappiamo fino a che punto si ri- il tè, né di trasportare fino alla porta di servizio il bidone traboccante di rifiuti destinati ai maiali. Evidentemente esisteva un crimine che mi era ignoto, che non avevo incluso nella lista perché non riuscivo a inchiodarlo con il riflettore tremolante della mente negli oscuri sobborghi dell'inconscio". La paura domina la mente del degente, perché non è padrone della propria mente, così come non è più padrone delle proprie azioni, dei propri vestiti e del proprio tempo. dare di stare in guardia, per le processioni misteriose delle luci e le macchine fotografiche nascoste. "Ero sempre più terrorizzata. Cominciai a vagare di notte e a lasciarmi assalire dal panico all'ora dei pasti, di fronte ai quadretti di sangue e alla porcellana di ossa... perché erano ossa, no?" In fondo al vicolo senza uscita c'è l'elettrochoc. La macchinetta con le manopole che avanza sul carrello, verso le pazienti in attesa del tratta- Due donne e un film di Sara Cortellazzo janet Frame presenta Dentro il muro come un'opera di fantasia in cui nessuno dei personaggi, compresa la protagonista-narratrice Istina Mavet, si ispira a una persona vivente. In realtà il diario-documento-romanzo di Janet Frame è marchiato e attraversato, in modo inequivocabile, da esperienze, ricordi, dolori e orrori vissuti dalla scrittrice, rinchiusa e sballottata per otto anni da un ospedale psichiatrico all'altro, per una diagnosi, clamorosamente errata, di schizofrenia incurabile. A svelare le tracce, chiare e profonde, del vissuto personale di Frame disseminate in Dentro il muro, ci vengono in aiuto la sua autobiografia in tre volumi (To the Is-Land, An Angel at my Table e The Envoy from Mirrar City, di cui Interno Giallo ha annunciato la pubblicazione in tempi brevi) e Un angelo alla mia tavola, l'acclamata lettura cinematografica di tale autobiografia firmata da Jane Campion, regista neozelandese d'adozione artistica australiana, come Frame. Un reticolato strettissimo di rimandi, che richiamano sia grandi avvenimenti della vita della scrittrice sia minuti gesti e sensazioni del suo quotidiano, si può quindi instaurare fra la testimonianza di Dentro il muro e Usuo adattamento cinematografico. La rossa, irrequieta, problematica, timida e malinconica Janet, messa in scena da Jane Campion, si illumina e si approfondisce ulteriormente alla luce del percorso vissuto da Istina "dentro il muro". Lo smarrimento e l'angoscia della Janet cinematografica lo ritroviamo, in tutta la sua prepotente verità, nelle parole di Istina: "Ho visto la mìa scheda. Impulsiva e pericolosa, dice. Perché? E come? Come? Che cosa significa?" E questi allarmanti e dolorosi punti interrogativi rimbalzano nella scrittura cinematografica, nei segni di interpunzione utilizzati (lunghe inquadrature nere, buie, che bloccano il respiro narrativo), nelle prospettive deformate dall'uso del grandangolo, e ancora nell'adozione frequente della soggettiva, dal punto di vista della protagonista, un modo per privilegiare il suo sguardo stupito, imbarazzato, attanagliato dall'angoscia e perso fra le mura manicomiali. Ma ciò che vorremmo anche sottolineare è la sensibilità, una sensibilità molto femminile, che si traduce nel rapporto instaurato fra la scrittrice e il suo doppio, Istina, fra Istina e il mondo dei malati che la circonda, e ancora, fra Jane Campion e Janet Frame, ovvero fra la regista e l'universo della "diversità". Un cerchio di solidarietà, uno sguardo lucido e nel contempo partecipe lega queste donne fra loro. Janet Frame e Istina si aggirano nei labirinti manicomiali cogliendo la "preziosa umanità" dei degenti, al di là del loro comportamento che "per lo più causava irritazione, ostilità e impazienza". Jane Campion, a sua volta, si è accostata a Janet Frame per sfatare la mitologia della scrittrice pazza e geniale, che si era creata su di lei. "Quando ho deciso di scavare più a fondo — dice Jane Campion — ho capito quanto dolore e sofferenza possano venire procurati a una persona di straordinaria sensibilità che, proprio a causa di questa, viene creduta malata di mente e trattata come tale". Alla "diversità", per eccesso di sensibilità, la Campion si è accostata con la sua, rara, sensibilità e con uno sguardo personalissimo, capace di calarsi nei legami parentali, di capire le scelte estreme, di mettere in scena sensazioni confuse in immagini limpide, di porre l'accento sulla lotta fra ribellione e insicurezza: tutte qualità già presenti nel suo primo film, Sweetie, un altro capitolo, splendido e provocatorio, di ordinaria follia. HiHHHi conosca l'autrice. Tale identificazione è più emozionante e talvolta opprimente che in altri casi, perché il libro ci trasporta in un mondo che è nello stesso tempo la mente di una giovane manicomializzata e la realtà oggettiva dei manicomi. Noi lettori vediamo contemporaneamente il labile confine che separa, o meglio unisce, lucidità, allucinazione, follia, e la condizione di chi viene marchiato per aver oltrepassato quel confine. Nei libri e nei film sulla malattia mentale i due piani restano quasi sempre staccati: o il racconto soggettivo, il diario, la confessione, o la descrizione dall'esterno, il documento, la denuncia. Dentro il muro è l'uno e l'altro: le angosce e le illusioni dei "malati" e lo sguardo dei "sani" su di loro. Il punto di intersecazione è un sentimento dominante in ogni pagina: la paura. "Che cosa avevo fatto? Non avevo pianto né parlato fuori turno né mi ero rifiutata di spingere lo spazzolone con lo straccio per lucidare né di aiutare ad apparecchiare i tavoli per Entrando in manicomio, Istina Mavet si assoggetta a un potere che spia e giudica le sue fantasie, i suoi turbamenti, le sue pene, prima ancora dei suoi comportamenti, e può punirla per la sua sensibilità e per come la sua mente turbata elabora la realtà. "All'ora dei pasti ormai le tovaglie a quadretti mi facevano trasalire: sembravano rigate di sangue e disastri. Nessuno sospettava il pericolo crescente. Notai altre porte oltre a quella misteriosa del bagno; e non avevo modo di scoprire dove conducevano... E noi stavamo sedute dentro, nella stanza teoricamente amichevole. Pian piano, contraendo un muscolo, rimettendo a fuoco uno sguardo malevolo, gli insetti avanzavano sul tappeto e i rettili strisciavano sulla melma color pastello delle pareti, con la lingua dardeggiante e famelica". Le allucinazioni generano paura e la paura genera allucinazioni. Una spirale che spinge ancora di più verso la follia. Al medico che le dice "Presto la rimetteremo in perfetta forma", Istina Mavet vorrebbe gri- mento, è la materializzazione del terrore. Ho ritrovato in queste pagine la stessa atmosfera da incubo che l'elettrochoc suscitava negli ospedali italiani e che mi è stata raccontata da tanti degenti ed ex degenti quando raccoglievo le testimonianze per scrivere Portami su quello che canta. Il quale era un malato che cantava in un cortile di Collegno e il professor Coda, soltanto da una finestra sentendolo cantare, ordinò che glielo si portasse per il trattamento. La stessa attesa panica quando l'infermiera legge l'elenco delle ricoverate destinate alla terapia: "Aspettare di primo mattino, nelle ore gelide incappucciate di nero, era come attendere la pronuncia di una condanna a morte". La stessa patologica concentrazione sulla ricerca di piccole cose che possano esorcizzare il mostro elettrico: "Tentai di trovare un paio di calze lunghe di lana dell'ospedale per tenere i piedi al caldo in modo da non morire sotto il nuovo trattamento". Gli stessi freddi rituali: "Tu hai il trattamento. Niente cola- zione per te. Tieni la camicia da notte e la vestaglia e togliti la dentiera". Gli stessi codici concentrazionari: "... ancor prima che le rumorose pazienti della corsia Due fossero portate dentro per i 'multipli', il che significa che ricevevano due trattamenti di seguito e a volte addirittura tre". Quando esce, con Istina Mavet, dalla stanzetta degli elettrochoc, il lettore incontra, in questo ordinato mondo a parte, la tranquilla, distaccata, incoerente ma scientifica certezza e ragionevolezza del sapere medico, che all'irragionevolezza, all'imprevedibilità, all'impulsività, alle ossessioni dei comportamenti dei "pazzi" oppone la fiducia in quelle regole e in quei meccanismi su cui 0 sistema manicomiale si fonda e si legittima nella società. '"Si sta inserendo?' chiedeva di tanto in tanto il dottore, come una brezza passeggera proveniente da un altro paese potrebbe rivolgersi a un animale che ha sorpreso a prepararsi per il letargo invernale. L'atto di 'inserirsi' era circondato di approvazione: 'Prima ti inserisci prima ti lasciano tornare a casa' era la logica dominante; e 'Se non riesci ad adattarti alla vita in un ospedale psichiatrico come ti aspetti di essere in grado di vivere nel mondo esterno?' Già, come?" L'angoscia del manicomio è nella sua routine. Nel fatto che nella vita, bene o male, volenti o nolenti, "bisogna inserirsi". E se uno è incurabile, è incurabile. Se è schizofrenico, ci resta. E si sa che l'elettrochoc fa male, "però è per il loro bene". Routine manicomiale significa che la terapia fondamentale, e scientifica, nei confronti di una persona disturbata è metterla sotto controllo, perché a sua volta non disturbi il normale svolgimento della vita sociale. "E le confuse signore anziane vagano su e giù nei loro abiti spiegazzati, con le calze di cotone che ricadono a fisarmonica... e vengono condotte presto nelle loro stanze, spogliate, messe a letto e chiuse dentro. Appena l'infermiera se ne va scendono dal letto e girellano per la stanza controllando cercando riordinando". Qualcosa è riemerso dal loro passato e richiede subito la loro attenzione, ma "nessuno vuole ascoltarle né capirle". Non c'è alcunché di drammatico o spietato in queste vecchie che tentano di "rimettere ordine" dietro le porte chiuse. È soltanto il manicomio. Janet Frame usa un'immagine straordinariamente efficace, una volta che la sua Istina è uscita dall'ospedale psichiatrico e affronta un viaggio in treno per fare ritorno a casa. "Quando il treno si fermò in un deserto di erba e alberi della gomma e fu deviato su un binario di raccordo... mi tornò di nuovo alla mente Cliffhaven e la gente che c'era dentro. La loro vita su un binario morto dava forse la precedenza a un traffico più urgente?" Dentro il muro è un libro da regalare a tutti coloro che hanno dubbi sulla legge 180 e pensano che quelle di Franco Basaglia fossero idee nobili ma inattuabili. Da regalare agli psichiatri depositari di una scienza che può ignorare le piccole (o grandi?) necessità delle persone. La storia che racconta si svolge dall'altra parte del mondo, in un'altra cultura e in un altro tempo; eppure assomiglia alle vicende non raccontate (o non abbastanza raccontate) di tante istituzioni psichiatriche italiane, non solo ai tempi del professor Coda.