n. riNDICF -7 ■■dei libri delmese|^h La Traduzione Un'eccezione alla regola di Giovanni Cacciavillani Eugène Fromentin, Dominique, Einaudi, Torino 1990, ed. orig. 1862, trad. dal francese di Rosetta Loy, pp. 274, Lit 20.000. Quale sia la qualità media delle traduzioni letterarie dal francese è presto detto: pessima. Non è questo il luogo per indagare le cause di questo sfacelo generalizzato (ma citerei almeno il ruolo carente di quasi tutte le facoltà linguistiche, la mancanza di corsi brevi specificamente volti alla formazione del traduttore, il rapporto spesso giugulatorio del traduttore col suo editore); certo è che, mediamente e generalmente, è difficile imbattersi in questi anni in una versione dal francese che sia noli dico elegante e stilisticamente elaborata, ma più semplicemente corretta dal punto di vista semantico e sintattico. Non mancano le squisite eccezioni, ma esse non bastano a cancellare quel senso di rigetto e di profonda irritazione quando si vanno a leggere traduzioni correnti anche di classici francesi ad alta tiratura: dove è possibile trovare — mi limito a pochi esempi — la locuzione "vivre sur un grand pied" (menare una vita da gran signore) tradotto, alla lettera e insensatamente, con "vivere su un grande piede". Oppure, nell'ambito di un riferimento a Montaigne, il suo grande amico La Boétie inspiegabilmente tramutato in entità geografica: "la Boezia". Se passiamo a livelli superiori — vale a dire, almeno, stilistici — il panorama è ancora più sconfortante e denota, fra l'altro, anche una scarsa dimestichezza con la lingua italiana. Non si sa dire allora la soddisfazione dello specialista quando s'imbatte in una traduzione non solo corretta, ma cesellata a tal punto e con tale gusto e talento da gareggiare con l'originale: è il caso della versione di Dominique ad opera di Rosetta Loy, accolta nella collana einaudiana degli "Scrittori tradotti da scrittori". Varrà la pena accennare brevemente alle peculiarità di questo gioiello della narrativa francese dell'Ottocento. Mi pare intanto doveroso segnalare che il romanzo di Fromentin (1862) fu oggetto di una impietosa stroncatura da parte di Bar-thes in un saggio, fra l'altro, pubblicato proprio nei "Millenni", ad appendice della versione originaria della Loy. "Romanzo benpensante, in cui si ritrovano tutti i valori che stanno a fondamento dell'ideologia borghese, assunti da una psicologia idealistica del soggetto... Romanzo etereo dove non si mangia né si fa mai all'amore... Romanzo prudente, conformista e pusillanime", ecc. Ma anche la critica più favorevole — da Gide a Picon, da Sagnes a Pichois, da Dubois a Richard a Barbara Wright (e nell'Ottocento Sainte-Beuve) — non ha mancato di rilevare o un'insufficienza di mordente o un'inadeguatezza strutturale o una tonalità scolorita o un ideale estetico anacronistico o una serie di lacune motivazionali. Non basta rispondere che Dominique è un romanzo della "rinuncia d'amore" che s'inscrive in una tradi- sostenibilità dell'essere descritta dal Bataille più lacerato. In effetti, Dominique si svolge a più livelli discorsivi: da un lato, svolgendo una parabola elegiaca squisita e volontaristicamente edificante (l'identità matura acquisita attraverso la struggente riconquista del ricordo e del suo ordine interno); dall'altro lato, guastando la logica razionale e facendo irrompere nella sequenzialità progrediente un pensiero sordamente ripetitivo, impercettibilmente contraddittorio, a coloritura sadica, diretta espressione della pulsione di morte. Un finissimo lettore come Pin-gaud si è accorto benissimo che la "trasparenza" del romanzo è ingannevole: "Sotto quest'acqua chiara propone anche un'immagine opposta: egli impersona le "qualità negative" della vita, si è annientato nel grigiore della provincia, è ormai privo d'identità e si è "completamente rassegnato alla disfatta". E ancora: compimento di un'esistenza felice, piena e ricca, l'esperienza di Dominique non è meno esposta al versante della più vischiosa tristezza, del vuoto più desolato, della perdita o della povertà delle linfe vitali. Questi affetti oppositivi dissociati non mancano di ripercuotersi sull'allusività del paesaggio: la piattezza e il vuoto della campagna, il moto agitato del mare; la letargia degli esseri e delle cose, gli uomini, gli eventi e le cose che passano, si per capire il rinnovamento dell'umanesimo, ma si spiega anche il serrato confronto con la cultura italiana, recepita, diario nel diario, negli intensi scambi di idee con gli studenti e perfezionandi della Scuola, tutti fra l'altro identificati e presentati nelle note dell'edizione italiana. I tratti della personalità ancora in formazione del giovane studioso affiorano infatti in quelle pagine di più densa discussione ideo logico-estetica, scritte con tenace e sereno ardore contrappuntistico, dove si fissano le diverse coordinate e discriminanti della cultura tedesca e italiana. Le lezioni di Luigi Russo, le conversazioni in particolare con Arsenio Frugoni, portano Gass a misurarsi con la filosofia di Benedetto Croce che egli ritiene epigonica speculazione idealistica, viziata da una precostituita necessità di sintesi, preclusiva, sul piano metodologico, dell'"esattezza tedesca nel lavoro storico e j 1logico di dettaglio" e, su quello gnoseologico, aella "profondità dotata di immediatezza che scaturisce dall'esperienza dolorosa e beatificante della conoscenza". Gass respinge in definitiva la finalità crociana di una filosofia sistematica della storia e una "filosofia dello spirito che tende a far quadrare tutto ' '. Il rifiuto istintivo del crocianesimo, che ingabbia l'esperienza nello "schema di un sistema concettuale chiuso", e l'avversione per le scienze dello spirito e per la tradizione diltheya-na scaturiscono dall'insofferenza romantica, seppur contenuta, che mira a una conoscenza aperta quanto sofferta, priva di pathos idealistico. Nel capitolo sul liberalismo, fotografia nitida e illuminante delle diverse eredità culturali, Gass collega la filosofia dello spirito secolarizzata all'ideologia liberale, al culto della liberta che sorregge la visione politica degli italiani, emblematicamente riassunta dall'atteggiamento spirituale di Settembrini nella Montagna incantata di Thomas Mann. Il disimpegno sofferto di Gass dalla politica, intesa come coscienza di una hu-manitas che fa appello alla "forza creatrice dello spirito", è dettato da un lato da un rigoroso realismo politico che da sempre caratterizza l'agire del tedesco, dall'altro da una complementare sublimazione se non legittimazione del fatto storico contingente nella sfera metafisico-religiosa. Drammaticamente rivelatrice è a questo proposito la lapidaria motivazione: "Se non vuole cadere in preda alla disperazione, il tedesco deve ricorrere a una fede metafisica". Pur animato da una sorta di radicalismo asce-tico-vitalistico, Gass, natura impolitica, ha comunque percezione, durante il soggiorno pisano, della complessa articolazione ideologica e dei risvolti politici che agitano il panorama italiano di orientamento antifascista. Resta ad esempio sorpreso dall'effervescenza critica verso il fascismo che si respira alla Scuola e anche questo è motivo di riflessione sull'atteggiamento del tedesco di fronte al nazionalsocialismo. Il "rovello interiore" che ha tormentato tanti tedeschi ed è sfociato in un problematico consenso a un 'ideologia non condivisa, è spiegato ancora ricorrendo a un realismo politico finalizzato a garantire con ogni mezzo la salvezza della patria. Fra le righe sembra peraltro aprirsi uno spiraglio sul complesso e per tanti versi irrisolto fenomeno dell'emigrazione in tema. Il diario contiene molti altri spunti e osservazioni, sparsi nella cronaca, sempre ad alta tensione intellettuale ed emozionale, di scarpinate sui Monti Pisani, di scorribande in bicicletta per recarsi a Saltocchio a far visita a RudolfBorchardt, di ossigenanti discese con gli sci all'Abetone, il tutto diluito da una raffinata vena descrittiva felicemente resa nella traduzione italiana. Il diario si ferma ai giorni dell'annessione dell'Austria da parte delle truppe tedesche. Gass trascorse altri quattro anni in Italia, fu poi chiamato alle armi, cadde in Olanda nel 1944. La sua morte fu l'insensato ma necessario "sigillo di una solidarietà" patriottica di cui una delle ultime annotazioni del Diario pisano ("Può la guerra giustificarsi anche al cospetto dell'assoluto?") era stata il preludio testamentario. zione illustre della narrativa francese: dalla Princesse de Clèves alla Nou-velle tìéloìse, dal Lys dans la vallèe a Volupté, al Grand Meaulnes e alla Porte étroite. A una moderna e più accorta lettura, il romanzo appare avvolto nel segreto di una verità indicibile, a tratti violento e trasgressivo, in scene capitali che precorrono l'in- regna il torbido". Più precisamente, si può dire che il racconto si svolge secondo un'elaboratissima struttura di armoniche a distanza in cui ogni asserzione (poniamo: "A") lascia intendere, scalata e celata, un'altra asserzione che contraddice la prima (cioè: "non-A"). E la scandalosa logica degli opposti compossibili rivelata da Freud: per il soggetto "X" sono valide — a diverso livello di consapevolezza — due predicazioni opposte e inconciliabili eppur presenti: "A" e "non-A". Bloccata l'opposizione, portato il racconto nel cuore stesso dell'indecidibilità, Fromentin, narratore luciferino, pone e nega, afferma e annulla l'affermazione, con una logica perversa che si potrebbe definire come bruciante dinamica della paralisi. Alcuni esempi semplificati. Il personaggio si propone immediatamente come modello sovrano di equilibrio e di felicità, coronamento di una lunga distillazione dei valori autentici dell'esistenza. Ma ecco che, in spazi testuali contigui, il personaggio ma, giacché sottolinea di aver focalizzato la sua attenzione sul "ritmo interno della pagina" e sul suo battito differenziato: "come il battito di un polso che cambia da individuo a individuo". Basterà, a menzione, fornire un esempio del primo tipo di scrittura e un esempio del secondo. Smemorante adesione ai ritmi del reale: "Io stavo con loro quando falciavano, quando ammucchiavano il foraggio, e mi lasciavo portare dai carri che tornavano con il loro carico immenso. Steso supino in cima, come un bambino . coricato su un letto smisurato, cullato dal quieto movimento delle ruote sull'erba tagliata, guardavo da un'insolita altezza un orizzonte che mi sembrava non avere fine. Oltre il limitare verdeggiante dei campi vedevo il mare a perdita d'occhio; gli uccelli mi passavano più vicini; non so quale inebbriante sensazione di aria più pura, di spazio più vasto, mi faceva smarrire per un momento la nozione della vita reale". Emersione del fantasma di morte: "Venne a fermarsi bruscamente a due passi da me, e i cavalli eccitati, con la schiuma alla bocca, si impennarono come se avessero avuto la sensazione che i due cavalieri volessero battersi. Credo veramente che Madeleine e io ci guardammo con rabbia, tanto l'eccitazione e la sfida si mescolavano in quello strano torneo con altri, intraducibili sentimenti. Lei si teneva dritta davanti a me, il frustino col pomo di tartaruga fra i denti, le guance livide, gli occhi iniettati e splendenti di una luce sanguigna". muovono, cambiano. Fermiamoci qui. Rosetta Loy, in una Nota del traduttore, mostra di aver capito benissimo la natura bifronte del testo, la sua complessità e la sua ricchezza psicologica: "La grande forma del romanzo è nella trasposizione dell'amore nella natura. La tensione erotica, costretta e soffocata nei gesti, prorompe nella campagna assolata o fra i canneti gelati dall'inverno, tra le alghe e le conchiglie lasciate dalla bassa marea, nel grido di un pavone o nel volo della beccaccia". Il problema formale, stilistico posto da Dominique si risolve dunque nella tensione non facilmente avvertibile (come s'è detto) fra un livello serenamente autunnale, di trasparente acquietamento, e un livello più oscuro, intermittente, fisso al male di vivere e alla violenza dei sentimenti più riposti. L'opposizione è anche fra un ritmo ampio, cadenzato, avvolgente, e un ritmo di rottura, ellittico, semanticamente veemente. La Loy è stata ottima au-scultatrice anche di questo proble-