N L'INDICE - 2 libri del mese^i Intervento Incontro con il Giusto di Alessandro Baricco Non è chiaro se lecito corollario al vivere sia il raccontare d'averlo fatto: o non piuttosto una colpevole ridondanza. Nel dubbio, non c'è libro di memorie che non suoni come una eventuale, scorretta, ambizione. Nel libro di Pintor (Servabo, recensito da Cesare Cases sullo scorso numero di giugno dell'"Indice") quel suono con il pane", ha sentenziato nell'occasione Vertone, liquidando a sottile impostura i narratori che pretendono di scrivere libri non con la farina della vita ma con le pagnotte dell'immaginazione. Una simile faciloneria, che tra l'altro costringerebbe i più ad aspettare l'età della pensione per arrischiare un qualche libretto, tra- nemente praticato da chichessia e il contraddittorio una pratica da spettacolo televisivo, la pregnanza della parola che rimette in rapporto con la verità sembra esser divenuto privilegio di un linguaggio regressivo e elementare: non è più nell'acume della complessità ma nella luce dell'assolu-tamente semplice che sembra di riconoscere il riverbero dell'autentico. E un po' come se si cercasse di afferrare la limpidezza delle domande originarie prima che quelle entrino nel circuito torbido di mille risposte sovrapposte. Non a caso si guarda con maniacale interesse verso certa letteratura del Terzo Mondo, come a cercarci la verginità di un interrogarsi non ancora oscurato dal lusso del ri- LA FATICA DELL'UOMO LA FORZA DELLA MACCHINA IL CULTO DELLA FORZA PIETRO ADAMO & GIULIO GIORELLO IL MITO DI SANSONE LA DEBOLEZZA DELL'EROE MASSIMO CIAVOLELLA VENIR MENO, LACRIME E SOSPIRI JEAN STAROBINSKI FORZA E DEBOLEZZA PSICOLOGICHE LA FORZA DELLE IDEE JACQUES REVEL COSA C'È DIETRO IL POTERE DIFESA E AUTODIFESA • LA VANITÀ DELLO SFORZO LINEE DI FORZA ALBERTO CANGIANO LE PATOLOGIE NEUROMUSCOLARI FRAGILITÀ E RESISTENZA LA FORZA DEI LEGAMI FRAN£OISE HÉRITIER-AUGÉ I VINCOLI DI PARENTELA DIRETTORE GIULIO MACCHI EDITRICE SIGMA-TAU NELLE PRINCIPALI EDICOLE E LIBRERIE Collezione Storica Yosef Hayim Yerushalmi DALLA CORTE AL GHETTO 456 pagine, 52.000 lire Da cristiano a ebreo, dai palazzi di Madrid ai ghetti italiani: l'avventurosa biografìa e l'affascinante percorso spirituale del marrano Cardoso, medico e filosofo, contemporaneo di Spinoza e Shabbetaj Zevi. Saggi Blu Gerd Binnig DAL NULLA 264 pagine, 35.000 lire La creatività nella natura e nell'uomo: dall'esperienza e dalle riflessioni di un Premio Nobel, una provocatoria indagine sulla logica e sui meccanismi dell'invenzione. Garzanti scolora dopo le prime righe. È tale l'inaspettata timidezza e l'elegante pudore con cui Pintor si racconta, che il fastidio dell'autobiografismo si stempera immediatamente nel piacere di raccogliere, per la via obliqua della scrittura, quella voce che, a mezza voce, riesuma se stessa. Mostra un gran rispetto per la scrittura, Pintor. Non c'è mai trasan-datezza nel suo periodare, la scelta dei nomi è accurata, l'uso dell'aggettivazione elegantemente esatto. Per chi è capace di ascoltarla, una musica abita le sue righe: il melos commovente che è solo di certi sguardi nobilmente voltati all'indietro. E poiché dove la cronaca assume una musica là accade la narrazione, non è stato difficile per molti riconoscere in quelle pagine un sobrio marchio di vera, o grande, letteratura. Sulla spinta, non è mancato chi ha rispolverato il vecchio luogo comune, falso, secondo cui spetterebbe alla letteratura che nasce direttamente dalla fornace della vita una particolare dignità. "Il pane si fa con la farina, non manda un deleterio moralismo non infrequente tra i lettori: ed è seccante che proprio il libro di Pintor diventi, involontariamente, bandiera di una battaglia sbagliata. Perché il tratto più affascinante di questo libro è, al contrario, il suo volersi fermare un attimo prima della letteratura. L'eleganza dello stile e la cura della scrittura paiono, in quelle pagine, il doveroso e istintivo gesto di difesa con cui l'autore si mette al riparo dalla retorica del ricordo. Il lindore letterario di quella scrittura nasce proprio come difesa dal rischio di far letteratura. E tutto ciò non per semplice pudore o puritanesimo gratuito: è una sorta di rischiaramento preliminare, per spianare radure dove poter accogliere ciò che si cerca e si aspetta: là dove si ritira la parola letteraria, scocca ciò che viene da chiamare parola etica. È questo doppio movimento che custodisce il reale nucleo provocatorio del libro di Pintor. Ciò che lascia il segno e stana la riflessione. In un contesto come quello attuale in cui la dialettica è esercizio impu- spondere. Si cerca una qualche innocenza perché dall'innocenza, solo, ci si aspetta la verità. A modo loro, le pagine di Pintor ottengono quell'innocenza. Torna in esse, con cadenza quasi rituale, la forza di un nominare assolutamente semplice — e per questo profondamente morale. Accade che la scrittura risalga il corso del tempo e della riflessione fino a riconquistare l'essenza etica di un gesto: il punto originario in cui ancora la sua unica e sufficiente legittimazione era l'assoluta limpidezza del suo esserci. "Era semplice e giusto stare da una parte". Una frase da nulla. Eppure quando uno la incontra, in mezzo alla trama delle memorie, scocca come una noumenica rivelazione. "Stare da una parte". Intorno tutto il mondo, e dentro l'istintivo gesto morale che decifra l'indistinta molteplicità del reale, si rifiuta di credere che tutto sia equivalente, e intuisce la necessità di scegliersi "una parte": "per stare in compagnia della gente meno fortunata e sostenere le buone ragio- ni". È difficile immaginare un modo più elementare di riassumere la complessità di una epifania politica. Quando, nel suo meticoloso lavoro di essiccazione del reale, Pintor raccoglie, sul fondo della propria prosa, frasi come quelle ottiene ciò che oggi sembra essere il sortilegio più prezioso: riesumare la sacralità di un'arcaica parola etica. Riguadagnare la pronuncia che sa nominare (nominare e basta) ciò che è giusto. A una voce del genere spetta oggi una potenza (un potere) da cui è difficile sottrarsi. Non so cosa sia rimasto, nella coscienza collettiva, di quell'istinto a "stare da una parte". Così, a prima vista, mi sembrerebbe un istinto completamente smarrito nella geografia sconnessa di un mondo in cui "le buone ragioni" e perfino "la gente meno fortunata" sono parole esplose che seminano ovunque brandelli di sé. Leggere Pintor dà l'illusione che, per un attimo, quell'universo si ricomponga nella chiarezza di una grata semplicità. E "stare da una parte" diventa improvvisamente un'urgenza inderogabile, un gesto riparatore da consumare in fretta, come a recuperare montagne di colpevole tempo perduto. Alla fine ci si sorprende a studiare le pagine di Pintor come se fossero un manuale alchemico: si cerca di individuare il processo grazie a cui, dalle spoglie della parola letteraria decanta la forza della parola etica. Come ottenere un simile sortilegio? Certo non è solo una questione di regressione controllata a un linguaggio elementare: a dire cose semplici sono capaci tutti, è la strada per cui ci si arriva che decide della pregnanza del risultato. La semplicità di Pintor è una sorta di terreno vergine al di là dell'intelligenza, non al di qua: e sembra presumere uno scarto in avanti della coscienza. L'impressione è che la forza propulsiva di quello scarto sia ineluttabilmente generata dall'esercizio narrativo. In un modo che non è facile decifrare, è il ritmo della narrazione che scioglie le architetture dell'intelligenza e ritaglia intorno alla parola etica la radura sospesa in cui quella scocca con la forza di una scheggia di verità. E un po' come nei proverbi, che suonano tanto più veri quanto più riesce loro la piccola acrobazia della rima: nei libri è il suono magico della narrazione che erode progressivamente la roccia del reale fino a configurarlo a minuto totem linguistico. C'è una complicità segreta tra parola letteraria e parola etica: un indissolubile legame che giace tramandato, ma non spiegato, nella frase con cui Benjamin sigillò il proprio saggio su Leskov: "Il narratore è la figura in cui il giusto s'incontra". L'ho da sempre amata, quella frase, senza mai capirla davvero: il libro di Pintor non aiuta a capirla, ma convince definitivamente a intuirla come vera. E in definitiva proprio in questo svela il suo contributo più prezioso alla riflessione: in quel suo riportare alla necessità che la figura del narratore si identifichi con la figura del giusto. La decifrazione della funzione etica del narrare. In un tempo in cui la riconquista del diritto a raccontare sembra l'unico scopo di chi prende una penna in mano, Pintor ricorda, consapevolmente o meno, che qualsiasi storia è vana se non riesce a far sedimentare la friabile ricchezza di una parola etica. E che l'unica legittima voce narrante è quella capace di consumarsi nel proprio racconto fino a scomparire e a lasciarsi dietro, solo, la laica sacralità di un'orma capace di attestare l'esser passato da lì di un uomo giusto. Chiunque può capire che un precetto del genere rende l'esercizio letterario sommamente impervio e definitivamente selettivo: ma al contempo lo rende di nuovo possibile, lecito: e decifra ciò che, solo, può forse assolverlo dalla sua costitutiva, arrogante impostura.