N. 5 pag. 10 [ Flannery tra le fauci del drago di Marisa Bulgheroni Flannery O'Connor, Tutti i racconti, a cura di Marisa Caramella, Bompiani, Milano 1990, ed. orig. 1971, trad. dall'americano di Marisa Caramella e Ida Omboni, 2 voli., pp. 294 + 314, Lit 44.000. I racconti di Flannery O'Connor — diciannove già apparsi in Italia in un unico volume pubblicato da Einaudi nel 1965, altri dodici inediti — s'impongono alla lettura anzitutto per la loro abbagliante energia visiva. Potremo dimenticare le sequenze dell'azione, ma non il fondale del paesaggio solenne e irrequieto, i neri boschi in marcia all'orizzonte, la terra rossa, il moto del sole, occhio tremendo sempre spalancato, le lune assorte, rosa o argento, gli spiritati cieli turchini o scarlatti. E dimenticheremo il nome di un personaggio, ma non una mascella a forma di tagliola (come quella di Shiftlet, il vagabondo di La vita che salvi può essere la tua) o due occhi di bambina simili a schegge di vetro verde di bottiglia (in Il pelapatate) o un corpo fatto come un'urna funeraria (quello di Ruby, la moglie incinta di Un colpo di fortuna). Quei paesaggi del sud degli Stati Uniti, quelle piccole città della Georgia, dove la O'Connor — che vi nacque nel 1925 e vi mori nel 1964 — visse gran parte della sua breve vita, quei personaggi di una società avida e ansiosa, di bianchi e di neri, di padroni e di fittavoli, di predicatori ambulanti, ci sono familiari perché li abbiamo già incontrati in Faulkner, in Caldwell e nella narrativa post-faulkneriana. E tuttavia portano il marchio bizzarro non solo di una storia "locale", dove il grottesco fiorisce sulle rovine di un passato grandioso, ma di una deformazione più misteriosa e più radicale. In quei remoti spazi rurali trascorre il diavolo, irriconoscibile nei suoi travestimenti; in quei volti e in quei corpi il pollice del soprannaturale ha lasciato la sua impronta come su una rozza creta. E l'attesa di un colpo di fortuna, di un viaggio, di un progetto impossibile, della vita e della morte, riempie quei luoghi e quelle menti come un'angosciosa richiesta: ognuno aspira senza saperlo a un'identità più piena, a una fuga o a un'ascesa in un'aria meno densa di desideri umani, quasi divinasse che la grazia è vicina e può irrompere, non nel miracolo in cui nessuno crede, bensì nel-l'infrangersi repentino del calco di gesso delle illusioni e dei comportamenti quotidiani. Nella narrativa di Flannery O'Connor il divino si manifesta nel profilo fiammeggiante di un'assenza. La natura, portatrice del mistero, ha certo, come osserva suggestivamente Marisa Caramella nella sua introduzione, "i contorni decisi del disegno da fumetto, del quadro pop", ma, dietro le tecniche contemporanee dell'illustrazione nelle quali la O'Connor si cimentò prima di scegliere definitivamente il mezzo della scrittura, si riconoscono altri modelli più antichi e più ricchi di illusioni: come il bestiario medievale, a cui sembrano appartenere i suoi pavoni dalla coda occhiuta, tempestata di soli, o l'arazzo, in cui ogni singolo, cieco punto costruisce una figura riconoscibile solo a distanza. La sua stessa poetica affida agli elementi visivi della scrittura un'intenzione dichiaratamente religiosa, e quasi una teologia per immagini, in un lessico preciso e trasparente. Raccontare è per Flannery O'Connor (lo afferma nel saggio Scrivere racconti, apparso in febbraio su sonaggi sedotti dal demonio, lotta con il Dio assente o lo nega per affermarlo. Di fatto l'enigma di Flannery O'Connor rimane legato al suo volontario rifiuto di ogni conciliazione; lo scandalo, che scompone la tetra quiete dei mentiti idilli familiari o sociali, è il motore delle sue storie, la forza oscura che sbalza i personaggi oltre il muro del visibile, alla presenza del sacro. Poiché il peccato coincide, per lei, con la cecità mentale, la rivelazione è una folgore che inchio- Milorad Pavic PAESAGGIO „ DIPINTO CON IL TE Traduzione dal serbo di Branka Nicija 360 pagine, 32.000 lire In una trama geometrica i mille fili di un romanzo affascinante: un novello Ulisse, una Shahrazad che si innamora del lettore, un intreccio di passato e futuro... La conferma di un grande talento narrativo. Predrag Matvejevic MEDITERRANEO Un nuovo breviario 248 pagine, 29-000 lire I traffici dei mercanti, le migrazioni delle anguille, fughe di popoli e nascita di dee, leggende, architettura, storia, paesaggi. Garzanti David Kimchi COMMENTO AI SALMI I. Sai 1-50 Introduzione, trad., note e indici a cura di Luigi Cattaui Il volume contiene, in prima versione in lingua moderna, la traduzione dall'originale ebraico del commento di Kimchi ai salmi 1-50, cui seguirà in altri due volumi quella dei salmi -rimanenti. Particolarmente sviluppati sono gli argomenti di carattere filosofico e le tematiche relative all'esilio e alla redenzione. Collana Tradizione di Israele - pp. 424 - L. 48.000 "Linea d'Ombra", n. 57) anzitutto vedere e poi mostrare il "mondo concreto", ossia quella effimera, e tuttavia unica, parata variopinta irta di simboli che, inosservata dai più, si dispiega sotto gli occhi di tutti. Se la parola non riesce a contrabbandare sulla pagina l'energia occulta nel visibile, allora il racconto non esiste, allora lo scrittore non raggiunge il suo scopo che è quello di rivelare, ossia di squarciare il velo delle apparenze, non perché al lettore sia possibile scorgere quello che si cela al di là, ma perché gli sia dato sperimentare la forza scardinante del sacro. Duri, scostanti, affascinanti, questi racconti, enigmatici quando furono pubblicati — nel 1955 una prima raccolta, A Good Man Is Hard to Find, nel 1965, postuma, una seconda, Everything That Rises Must Converge —, sono appena stati scalfiti da più di quindici anni di esegesi critica, volta soprattutto a conciliare la dichiarata "ortodossia cristiana" dell'autrice con la sua, a volte blasfema, violenza di eretica che, tramite i per- da lo sguardo su quanto era rimasto occulto e che, spesso insostenibile, anticipa la morte di un personaggio o segue alla morte sacrificale del suo antagonista. Come i paesaggi dapprima immoti attendono il brivido che li anima, così i personaggi della O'Connor sono preda improvvisa dell'impulso a smentirsi che l'antagonismo accende. In La veduta del bosco un nonno, convinto di essere amato fino all'identificazione, dalla nipotina, in tutto simile a lui come un piccolo stampo dell'origine comune, scopre l'ostilità, e la singolarità, di lei un attimo prima di morire dopo averla uccisa accidentalmente in una comica e feroce lotta di gemelli. In Un brav'uomo è difficile da trovare, tra i primi memorabili racconti della O'Connor, il Balordo, un assassino evaso dal penitenziario locale, stermina una rissosa famigliola in viaggio, sperdutasi per vie poco battute a un passo da casa. Ultima a essere uccisa è la nonna che, più viva e innocente degli altri, ma troppo loquace, l'ha riconosciuto. Il Balordo, i cui oc- chiali montati in argento incorniciano — come spesso in questi racconti — uno sguardo puntato oltre le apparenze, ha scoperto, simile a un degradato malvagio dostoevskiano, che, in assenza di un Dio, "non c'è piacere al di fuori della cattiveria"; ma, dopo aver sparato tre volte alla nonna, che l'ha chiamato figlio, ammette che "non c'è vero piacere nella vita". Nei melodrammi tinti di nero della O'Connor l'atto violento si combina con un cerimoniale arcaico, e il riso spodesta le lacrime. Il suo universo potentemente metaforico è popolato di peccatori e di peccatrici che sono — a uguale titolo dei violenti — gli autoelettisi virtuosi, i falsi attivisti, i compiaciuti; perché, se chi scopertamente simula, ruba o uccide, lacera un ordine fittizio, chi i propri misfatti li compie solo nella mente giustifica quella trama di iniquità in cui la O'Connor traspone la finzione di pace dell'opulenta America anni cinquanta. E se gli uni espongono le proprie grottesche mutilazioni, gli altri mascherano le proprie deformazioni interiori. In Gli storpi entreranno per primi Rufus Johnson, delinquente minorenne, ostenta il suo piede equino come un'arma o un'insegna a sfidare l'antagonista, Sheppard, che vorrebbe convertirlo alla bontà, pur essendo incapace di salvare il proprio bambino, Norton, dalla disperazione per la morte della madre. Sheppard, falso pastore, scorge infine con repentina chiaroveggenza "il diavolo, Tessere dagli occhi limpidi che scandaglia i cuori, guardarlo maliziosamente con gli occhi di Johnson", e poco dopo scopre Norton appeso alla trave del solaio. Nei racconti di Flannery O'Connor la mutilazione, visibile o invisibile, contrassegna non solo l'individuo, ma le famiglie, monche di padre o di madre, e le comunità: le figlie e i figli inquieti disconoscono l'eredità dei genitori, i padroni e i fittavoli, i bianchi e i neri gareggiano nello sfruttarsi a vicenda; un'intera società, storpia senza riconoscerlo, si espone ignara al divino, a quell'occhio mai chiuso del sole onnipresente. Flannery O'Connor sosteneva che un'opera d'arte di qualche profondità è il resoconto di un cimento, di un passaggio "tra le fauci del drago". Il suo cimento personale fu quello di vivere, da eretica, l'esperienza di una malattia mortale nell'America compiaciuta e assopita degli anni cinquanta, in quel sud dove i contrasti tra apparente e reale, tra naturale e innaturale, erano più vividi. L'inferno celato sotto le parvenze del paradiso economico, dove la gioia è decaduta a soddisfacimento e il dolore è disagio psichico, e non vi è male che l'anestesia del benessere non possa curare, la O'Connor lo rappresentò così come lo scorse, nell'abbagliante negativo del suo mondo dai colori straniati. Accusata dalla critica contemporanea, laica o cattolica, di rappresentare nei suoi racconti e nei suoi romanzi — La saggezza del sangue (Garzanti, 1985) e II cielo è dei violenti (Einaudi, 1965) — un paese inesistente, destituito di ogni gioia, si difese seccamente sostenendo che "ai deboli di udito si urla nell'orecchio e per i deboli di vista si disegnano figure ingrandite", e che tale, cieca e sorda, era per lei l'America. Oggi i mali della sua società mista e mutilata, strutturata sulla finzione, possono apparirci stranamente noti, stranamente affini ai nostri; oggi ci sembra di poterla leggere come una profetica contemporanea di questo fine secolo di cui la morte precoce la derubò. Ivi città nuova editrice Via degli Scipinni. 265 - (1(1192 Roma - (ci. 3216212