riNDICF HBoei LIBRI DEL MESEli MARZO 1992 - N. 3, PAG. 9 Ana Miranda, Bocca d'Inferno, Rizzoli, Milano 1991, ed. orig. 1990, trad dal portoghese di Amina Di Munno, pp. 320, Lit 29.000. "In una dolce regione attraversata da freschi fiumi, con un cielo sempre azzurro, terre fertili e selve di alberi frondosi, la città sembrava essere lo specchio del Paradiso. Era invece il luogo dove i demoni reclutavano le anime per popolare l'Inferno". L'incipit è da favola cosmogonica, ma anche da filmone storico di ambientazione esotica, dove la definizione del luogo è data da una voce fuori campo, mentre i titoli di testa scorrono su di un paesaggio ubertoso, ancora vuoto di gente, ma che già si annuncia come predisposto fondale di una vicenda di passione e di morte. Il libro, opera prima (1990) di una giovane narratrice esordiente, subito salutata dalla critica patria e ora anche straniera quale scrittrice di livello internazionale, tiene bellamente fede alle attese. E questo ne spiega in partenza il successo di pubblico, in Brasile e fuori, dove un lancio ben orchestrato, lo ha già fatto ampiamente conoscere. La città è naturalmente Bahia. Una coloratissima Bahia secentesca e barocca che il suo cronista-poeta, Gregorio de Matos (1636-95), passato alla storia col nomignolo di Bocca d'Inferno, sbeffeggia, in sonetti gon-gorini o in ottonari alla vecchia maniera iberica, come la città delle due ff: furtar e foder, frodare e fottere. Nell'anno di grazia 1684 in cui si svolgono gli avvenimenti narrati, la città ancora ostenta, sotto il suo cielo di anilina, le ferite e i simboli del contrastato dominio olandese e del tramontato sogno americano di Maurizio Nassau, restituita ormai com'è al primitivo dominio dei portoghesi, alla pietà industriosa dei gesuiti, agli eccessi del potere e della carne, alle fazioni che latinamente oppongono violenza e corruzione, delitto e ruberia. Spesso in questi luoghi la lunga mano dell'Inquisizione si protende a cercare, in un torbido groviglio di prevaricazioni e di morte, il braccio secolare del potere metropolitano. Che poi questo braccio, meccanicamente saldato alla robusta spalla del corrotto, onnipotente governatore Antonio de Souza Menezes, orbato in conflitto dell'arto naturale, sia qui un cesellato Braccio d'Argento, è circostanza abilmente sfruttata dall'autrice che ci costruisce intorno tutta la speziatissima vicenda. Nella struttura tripartita del libro (la città, i personaggi, la vicenda storica presentata nelle sue fasi successive di congiura, delitto e vendette incrociate), che sembra già copione predisposto per il suo inevitabile destino di telenovela, sono facilmente riconoscibili le tessere documentali e di tradizione popo- Congiure e delitti a Bahia di Luciana Stegagno Picchio lare che ne costituiscono il tessuto narrativo. Traspaiono in filigrana sotto ogni linea i versi di Gregorio de Matos o a lui attribuiti, dato che l'opera bifronte, sacra e profana, di questo geniale e sboccatissimo Belli ante litteram, di questo Cecco Angiolieri barocco, ancora attende che dalla collazione dei codici dispersi per il mondo esca una attendibile edizione critica. E in questo pastiche di segmenti memorizzati, in cui i brasiliani a diversi livelli sono ancora, specie nei paesi iberici, scrittori come il portoghese Sarama-go che rifiutano l'etichetta di narratore storico proprio perché per loro la storia è solo pretesto, lente per decifrare l'oggi attraverso il passato, all'insegna di un ironico nìhil sub sole novi. Ma qui le motivazioni sono diverse. La nuova fame di storia che distingue in epoca postmoderna l'attuale letteratura sudamericana (tanto di lingua spagnola come portoghese), ha un sapore quasi romantico di zione di personaggi, epoche e luoghi, in una terra che è grande come un continente e che così s'illude di conoscersi o riconoscersi. Tutto comincia con un delitto, quando un gruppo di congiurati della fazione dei Ravasco uccide in un agguato il prefetto di polizia Francisco Teles de Menezes, scherano di Braccio d'Argento, e ne riporta come trofeo una mano mozza, ancora adorna dell'anello categoriale. Sono evidenti simboli barocchi questi del braccio e < che l'interesse per l'interiorità, l'interrogazione sui moti e sugli stati della vita interiore, abbia raggiunto, nella cultura francese del Seicento, una delle sue punte di massimo sviluppo ". Si disvela (in senso heideggeriano) non solo una cultura del mondo interiore, ma anche un'esperienza, una pratica dell'interiorità, sollecitata dalla "bellezza del mondo in temo". E non è un caso che le mirabili finezze psicologiche di questi "spirituali" trovino formulazioni che noi vedremo ricomparire non solo nella psicoanalisi klei-niana (la cui enfasi sul mondo interno, di origine pitonica e agostiniana, è pregna di un acuto sentimento di religiosità: la religio degli oggetti intemi, viventi in una dinamica multidimensiona-le), ma proprio in quella freudiana. Come quando Surin, per designare le inesplorate regioni dell'anima, usa la celebre immagine che sarà del maestro viennese: "come in un paese straniero"... Nei testi di Jean-Pierre Camus, di Frangois de Sales, di Claude Séguenot, di Jean-Joseph Surin, di Marie de l'incamation e di Fénelon, sia pur nelle differenze di scuola, d'interesse o di vertice prescelto, rimbomba la verità, umile, semplice, "illetterata" ma ineludibile, secondo cui al mondo estemo — unitario nella sua diversità — corrisponde un mondo interiore — diverso nella sua unità —, che l'uomo alberga dentro di sé ma in cui egli anche "abita". Vertiginosi paradossi di una topologia che solo tre secoli più tardi Matte Bianco avrebbe rivisitato con gli strumenti della logica matematica. Esteriorità dello spazio estemo, interiorità dello spazio interno, interiorità del mondo estemo, esteriorità del mondo intemo: introiezioni, proiezioni, infinito negativo e infinito positivo, figure buone, figure maligne e tentatrici, armonie e accordi, disarmonie e conflitti. Questa è, sintetizzata al massimo, la lezione degli "spirituali". Ma non basta. Proprio come la più recente psicoanalisi ha elaborato il concetto di "multidimensionalità della mente", costi mistici del Seicento analizzano le strutture complesse dell'anima in ottiche bi-planari (modello aristotelico-tomista), tri-planari (modello renano-fiammin-go) e multi-planari (modello salesiano). A quel modo che la psicoanalisi di Bion ha individuato la "struttura gruppale" della psiche, così Fran-(ois de Sales studia le "porzioni", le "parti", i "gradi", i "regimi di funzionamento" dell'anima. Come Freud ha scoperto il triangolo inconscio dell'Edipo, e come Bion e Matte Bianco hanno isolato le "triadi inteme" che presiedono alla generazione del pensiero, così questi mistici lavorano plasticamente con le "strutture trinitarie" e i "legami" interni. Come Freud, infine, ha definito l'inconscio come luogo delle rappresentazioni fantasmatiche non-verbali, cosìFrangois de Sales intuisce ed esperisce la natura "nonriflessiva "e' 'sopradiscorsiva ' ' delle facoltà spirituali. Si sarebbe stupito, Mino, per queste strabilianti co-incidenze? Non lo sapremo mai: egli è scomparso tragicamente nella primavera del 1991, esplorando l'interno del mondo estemo: gli abissi marini, — il luogo dell'Origine. (g.c.) di cultura si riconoscono in un ammicco, sta uno degli incanti del libro. Ma è appassionante anche l'intrigo, rigorosamente storico. Apparentemente, nessuna ingombrante e soprattutto pericolosa ideologia a giustificare questa rivisitazione (mi si passi la parola) del passato. Certo: ci ricerca di radici nazionali. Dopo tanto romanzo e racconto sociale, in prospettiva regionale o urbana, qui il recupero storico è un modo come un altro di riappropriazione del corpo tutto di un paese uscito da una dittatura. Ed è un modo di comunicazione interregionale, di mutua rivisita- della mano (con i suoi attributi di unghie, sulle quali discetterà un'anonima Arte di rubare coeva, già attribuita, fra gli altri, al Padre Vieira). E sono simboli scelti a rappresentare il potere lungo tutto il corso del volume, nelle cui pagine finali una nuova mano tagliata, questa volta di uno dei congiurati, parrà ristabilire l'equilibrio fra le parti. Bernardo Vieira Ravasco, padre di uno dei congiurati, è infatti uno dei maggiorenti della colonia, fratello appunto di quel Padre Antonio Vieira, portoghese di nascita, ma brasiliano di adozione che qui, mentre al Bocca d'Inferno è riservata la funzione di storico disincantato della vicenda, si erge subito come deuteragonista del sanguinario Braccio d'Argento e suo primo bersaglio. Sui rapporti fra Vieira e Gregorio avevamo poche notizie. Si sapeva che i due avevano vissuto entrambi in Portogallo fra il 1661 e il 1680 e sembrava strano che, personaggi di spicco come erano, magistrato il primo, predicatore e uomo di corte il secondo, non si fossero mai incrociati. L'incontro sarebbe inevitabilmente avvenuto nella Colonia. E l'idea del libro è infatti quella di congiungere in un'unica rappresentazione, e all'insegna di questa malnota congiura Ravasco-Menezes, i due più famosi personaggi bahiani e insieme i maggiori letterati del Brasile coloniale: un Gregorio de Matos non ancora cinquantenne, ma già fissato nella sua leggenda di sregolato giurista e di geniale poeta maledetto e un Padre Vieira ormai vecchio, ma non fiaccato dalle persecuzioni dentro e fuori della Chiesa. Accanto a loro, come si conviene ad ogni ben orchestrato copione, una folla di personaggi minori, primo fra i quali un Bernardo Ravasco che proprio in questa circostanza perderà il nucleo centrale della sua importante opera letteraria. Nello sfondo, in ogni momento, Bahia. E quel che conta,- la Bahia di Gregorio, essenzializzata nel sonetto famoso riprodotto, come un richiamo interno, sulla quarta di copertina della prima edizione brasiliana e che qui, per un pubblico nostrano, ci si industrierà di tradurre alla meno peggio: "In ogni canto un grande / Consigliere che ci vuole governare casa e vigna. / Non sanno governare la loro cucina / E vogliono governare il mondo intero. / Ad ogni porta solerti ficcanaso / Della vita dei lor concittadini. / Frugano, ascoltano, spiano e ti squadrano / Per trascinarti in piazza o alla gogna. / Un bel po' di mulatti svergognati / Si aggrappano per i piedi ai valentuomini. / Mentre in palma di mano è la canaglia. / Fior fior d'usura dovunque nei mercati. / Coloro che non rubano in miseria. / E questa è la città della Bahia". O lo era, almeno nel Seicento. Che se poi questa dovesse essere la morale del libro, il disimpegno non sarebbe poi quale a prima vista ci era sembrato. ■■llRli| IMMÉftfP <■ " «...Le lesioni riportate da Pasolini e il luogo in cui vennero ritrovati i vari reperti escludono nel modo più sicuro che i fatti si siano svolti così come li ha rappresentati il Pelosi, e danno nello stesso tempo una prova della necessaria presenza sul posto di più persone... Gli abbondanti elementi probatori, e l'assoluta inattendibilità della versione dei fatti data dal Pelosi, danno la tranquilla certezza che almeno due persone aggredirono prima e poi volontariamente uccisero Pasolini, per motivi che non si sono potuti accertare...» [Dalla sentenza deI Processo] «...La confessione dell'imputato non è attendibile... Appare evidente che i fatti non si svolsero come ha narrato il Pelosi...» [Dalla sentenza del Processo d 'appello] Da chi e perché venne ucciso Pasolini? : : ■ KAOS EDIZIONI I OMICIDIO NELLA PERSONA DI PASOLINI PIER PAOLO L'oscura morte di un intellettuale scandaloso: estratti degli atti processuali. Prefazione di Giorgio Galli i/Ss::- ' • - L. 30.000