MARZO 1992 - N...3, PAG. 7 <1 anni, p. 104): "mi chiamò a sé. Il tempo esplose e smise di esistere. Scomparve lo spazio, eccetto quello che le mie mani rendevano tangibile, tutto il senso della mia vita trovava posto nella stretta branda di un sanatorio. Non c'era niente prima di questo e non ci sarà niente dopo. Ora solo questo esisteva. Stordito, soffocato, lì morivo e di nuovo nascevo". Santodìo, evidentemente non basta essere passati per le più terribili prove del secolo per essere uno scrittore migliore di B.* e di C.*, mediocri romanzieri italiani che non hanno subito né l'assedio di Leningrado né le repressioni di Zdanov. Non ne sono sicurissimo ma una chiave, positiva e negativa, per capire le ragioni di questi limiti è forse proprio nella pagina conclusiva sull'assedio di Leningrado (col sogno di una coincidenza dell'"io" e del "noi") e nella scena immediatamente seguente dell'agosto '46 (p. 164) quando Zdanov, allo Smol'nyi, ingiuria volgarmente alcuni scrittori di fronte a una platea di seicento intellettuali acquiescenti. Tanto basta a scardinare, nella coscienza di Metter, ogni speranza. L'oltraggio allo Spirito, incarnato in quei seicento intellettuali e negli ingiuriati Zoscenko e Achmatova, assume per lui dimensioni epocali. Prova orrore non per il "futuro della letteratura" ma per "la prontezza e la semplicità con cui la gente fa suo un punto di vista estraneo, assurdo e crudele". Era probabilmente quel che avevano dovuto fare alcune centinaia di milioni di esseri umani nel decennio precedente, assassini e assassinati. Al 'perché?' non tenta neanche una risposta. Il libro si chiude con la figura di un ingegnere che ogni estate va a cercare nei campi di Veliki Luk le ossa dei soldati della sua compagnia, tutta distrutta in battaglia. "Vaghiamo entrambi in mezzo a tombe introvabili". Con queste parole si chiude il libro. Troppo e troppo poco. Un'epoca e una vita di Fausto Malcovati Me lo consigliò un amico di cui mi fido quasi sempre. L'ho letto d'un fiato. L'ho trovato bellissimo e ho cominciato a dire a tutti che bisognava leggerlo. Molti mi hanno dato ragione. Qualcuno ha storto il naso: dé-jà lu, melensaggini, sottoprodotto di Solzenicyn e via. Mi son detto: che mi sia sbagliato? L'ho riletto subito una seconda volta. Non ho cambiato idea. Il quinto angolo è un libro magnifico. È un viaggio lento, pacato, dolente nella memoria personale e storica di un ebreo russo nato prima della rivoluzione, adolescente nel 1917, adulto agli inizi degli anni trenta, testimone della non resistibile ascesa dello stalinismo, sopravvissuto ai novecento spaventosi giorni dell'assedio di Leningrado, spettatore del linciaggio pubblico di Zdanov contro Achmatova e Zoscenko nel 1946. Intorno a lui arresti, violenze, suicidi, prevaricazioni, protervia. La memoria di tutto questo è il tema del Quinto angolo: una memoria che parte da lontano. "C'è un solo mezzo per rendersi irripetibile, se non altro ai propri occhi, ed è quello di ricordare l'adolescenza: si avrà allora la sensazione che essa sia stata meravigliosa. Quando siamo giovani e accanto a noi vivono i nostri coetanei, ci immaginiamo che attenda tutti lo stesso destino. Il tempo passa, i destini serpeggiano e si attorcigliano, bruciano come una miccia lenta, e ciascuno si spegne o esplode a modo suo". Izrail' Metter, oggi ottantaduenne, ebreo russo. "Per i legami di sempre, per i ricordi d'infanzia, per il vincolo affettivo con la mia famiglia d'origine molto amata, per il mio modo di vivere, anche se non sono mai stato particolarmente religioso — io sono ebreo. D'altro canto però, in misura assai maggiore sono russo. E in misura maggiore perché ciò riguarda tutta la cultura. A me piace la definizione: ebreo russo... In questa 'doppiezza' io mi sento a mio agio". Un libro nato dal bisogno di "vuotare il sacco": "o, come scrissi a un amico: l'imperativo a tossire per liberarmi. Il catarro del passato non mi lasciava respirare e questo stato clini- co del tubercolotico era proprio a molti miei contemporanei". Due temi: l'epoca, "quella sanguinosa epoca rapace", dominata dall'abiezione, e l'amore, l'inestinguibile divorante amore per Katja che comincia nell'adolescenza e non si spegne mai, "quella stupefacente, inebriante passione" che deve solo fare i conti con la morte. Una morte che in certo senso dà il titolo al libro. Che cos'è il quinto angolo ce lo spiega l'autore: "Nelle celle della polizia, della Gpu si svolgeva il mostruoso gioco dei carnefici: li divertiva, procurava loro piacere. Quei robusti giovanotti spintonavano la loro vittima con le mani, con le gambe, a calci, ripetendole: 'Cerca il quinto angolo'. Com'è noto, una stanza di solito ha solo quattro angoli, ma la vittima doveva trovare il quinto, e loro sghignazzavano, la picchiavano". Katja muore suicida in una cella della Gpu. Per non aver voluto trovare il quinto angolo. Testimone di un'epoca "sanguinosa, rapace", Metter cerca di siste- mare i tasselli che la memoria gli offre, senza forzature, senza recriminazioni. Affiora, continuo, un quesito che è suo come di tutta la sua generazione: Stalin perché? Di fronte all'assurdo consenso, all'idolatria demenziale di un intero popolo, si domanda come ciò sia potuto avvenire. "Sui giornali — lo ricordo chiaramente — cominciava ad apparire il nome di Stalin. Non sapevamo chi fosse. Ecco, questo nostro senso di perplessità lo ricordo bene. Il nome di Stalin ci era sconosciuto non perché fossimo politicamente degli analfabeti. Semplicemente perché questo nome non esisteva accanto e quello di Lenin. Accanto a quello di Lenin ce n'erano ben altri". Stalin spunta dall'anonimità e diventa in pochi anni il punto di riferimento globale, il solo' l'unico, il Dio. "E all'improvviso Dio fu accanto a noi. Apparve in un paese che stava diventando completamente antireligioso. Questo Dio era del tutto concreto. Andava in giro con stivali alti, ben lustri, con la giubba e un berretto di foggia quasi militare. Icone con la sua immagine vennero messe in circolazione con procedimenti tipografici, tirature a milioni. Questo Dio era crudele. Puniva non in quel mondo, ma in questo. E più puniva, più freneticamente credevano in lui. Nessuno degli apostoli lo tradì: fu lui a tradire tutti loro. Passarono secoli per arrivare dal cristianesimo delle origini alla fede in Cristo di milioni di uomini. Il nuovo Dio comparve dopo la morte di Lenin e nel corso di quindici-di-ciassette anni una fede trepida, cieca si impossessò di milioni di individui. Vedeva tutto e sentiva tutto — con gli occhi e le orecchie dei delatori. Da mestiere segreto e vergognoso, fare la spia divenne l'onorato dovere dei cittadini". Stalin, fenomeno incomprensibile ma inconfutabile. In ogni pagina se ne sente la presenza; è l'ipocrisia dei funzionari, è l'ottusa violenza dei poliziotti, è la sorda resistenza a qualsiasi mutamento dei vecchi uomini di partito, è la tragica, volgare brutalità con cui Zdanov insulta pubblicamente due grandi scrittori. "Il discorso verteva sulla letteratura che conoscevo e che amavo. Mi erano noti i racconti di Zoscenko e i versi della Achmatova. Il punto di vista di Zdanov sulle loro opere mi sbalordì. Mi sembrava talmente mostruoso che più volte, nel corso di quella conferenza, mi guardai attorno cercando di capire cosa pensasse la gente che mi stava accanto. Le loro facce erano indecifrabili. Davanti ai miei occhi allora per la prima volta, avvenne qualcosa di irreale. Alcune centinaia di persone con alte competenze culturali esercitarono su se stesse una violenza contro natura, che mi sembrò addirittura muscolare, piuttosto che cerebrale; perché soltanto paralizzando i propri muscoli era possibile resistere all'impulso di alzarsi dal proprio posto, non mormorare, non uscire di senno. Poi mi abituai a adunanze di questo tipo, ma allora era la prima volta. In me e intorno a me si svolgeva un'invisibile operazione distruttiva: in noi qualcosa scricchiolava, si frantumava, si spezzava; le schegge cercavano di riallinearsi, come soldati, in fila, ma l'ordine era saltato... La prontezza con cui la gente fa suo un punto di vista estraneo, assurdo, crudele — ecco ciò che era sorprendente". Metter, uno dei tanti che ha visto, ha assistito, ha taciuto. È questo il catarro che ha soffocato un'intera generazione, una generazione che è stata costretta a vivere in modo accelerato, furioso, spesso disumano mutamenti nei ritmi vitali, ideologici. "Sognatori negli anni Venti, decimati e torturati negli anni Trenta, sbaragliati negli anni Quaranta, indeboliti dalla fede cieca e incapaci di recuperare le forze insieme con la vista, vaghiamo in solitudine. E difficile metterci insieme. Guardandoci l'un l'altro, come in uno specchio, ci colpisce la nostra bruttezza. Ma volevamo il meglio". Bilancio pacato di una vita, bilancio inquieto di un'epoca, bilancio accorato di quella vita all'interno di quell'epoca. Il quinto angolo è tutto questo. È anche un itinerario nel mondo affettivo del narratore: il farsi e disfarsi degli amori, il definirsi e dissolversi delle amicizie, e il costante punto di riferimento, la madre. "Ecco, ora è il tuo turno, mamma. Che il mondo sappia come sei stata brava... Quando si ricorda la madre, di solito ci si butta sulla propria infanzia. Per me non è così. Il mio per te è il bene di un figlio adulto. Ricordo il tuo viso quando mi aprivi la porta. Nessuno al mondo mi ha mai aperto la porta con un'espressione così felice... Ti ringrazio di non avermi educato. Sei semplicemente esistita, e questo mi basta per sempre". Frammenti di una vita, squarci di un'epoca. E una mai spenta voglia di vivere, di stare in mezzo ai propri simili, di capire insieme a loro i nodi delle vicende in mezzo a cui ci si trova a vivere. Il quinto angolo-, una storia d'amore? Forse. Soprattutto la storia di un uomo, vissuto negli anni più duri di questo nostro secolo, un uomo che non ha smesso di chiedersi il senso del proprio esistere, del proprio agire, del proprio soffrire. Leggendo, rileggendo Il quinto angolo mi viene un dubbio: noi, ce lo chiediamo? BULZONI EDITORE UNIVERSITÀ DEGLI STUDI DI FIRENZE Dipartimento di Italianistica Studi e testi/1 TEORIA DEL ROMANZO NEL PRIMO OTTOCENTO a cura di R. Bruscagli e R. Turchi 250 pagine - L. 30.000 L'EUROPA DELLE CORTI ALLA FINE DELL'ANTICO REGIME a cura di C. Mozzarelli e G. Venturi 580 pagine - L. 70.000 Maria Teresa Gentile LEOPARDI E LA FORMA DELLA VITA (Generi—>Formazione—>Tradizione) 480 pagine - L. 55.000 Silvio D'Amico BOCCA DELLA VERITÀ seconda edizione Edizione numerata di novecentonovantanove copie 226 pagine - L. 30.000 VIA DEI LIBURNE 14 - 00185 ROMA Tel. 06/4455207 - Fax 06/44550355 3 est & Seller Macchine g a] [eotte di Michele Rak Ken Follet, Notte sull'acqua, Mondadori, Milano 1991, pp. 501, Lit 32.000. La macchina è galeotta, non più il libro. Le grandi (e piccole) macchine si sono ormai piazzate al centro dell'immaginario. Notte sull'acqua di Ken Follet è la storia dell'ultimo volo notturno del Clipper, uno straordinario idrovolante che trasporta quaranta passeggeri da Southampton a New York sull'Atlantico nell'estate del 1939. È una delle storie del tipo ' 'sardine in scatola ' ', frequenti nella fiction degli ultimi cinquant'anni. Molte persone si trovano insieme su una macchina, che questa volta è un idrovolante. Sono persone accomunate dalla possibilità di comprare un costoso biglietto, vengono da città diverse, sono spinte al viaggio da ragioni diverse — la fuga dal nazismo e dalla guerra, ma anche dalla prigione e, naturalmente, via e verso l'amore. Il viaggio è movimentato dai grandi emblemi: il sesso, la violenza, la ricchezza, la morte. Le lussuose porcellane e aragoste, cuoi e cristalli del Clipper sono quelli di un Orient Express del cielo. Usuo moto viene paragonato a quello di sassi e uccelli ma il canone della nuova bellezza emergente prevede solo parti e moti meccanici: metalli scintillanti, motori ruggenti, odori di olii e carburanti. Il motorista che controlla i motori è ricattato da una banda che gli rapisce la moglie e lo costringe a far ammarare l'aereo fuori scalo. I passeggeri si rivelano nell'avventura: il ladro ruba, il lord fascista maledice ebrei e altri immaginari colpevoli di una coscienza colpevole, i figli sfuggono al controllo dei padri nel già iniziato caos della guerra, le attrici chiacchierano dei ri- svolti dello star system. Tutti sono già posseduti da tecnologia e informazione: dicono ciò che sanno dalla radio e dai giornali, conoscono tutto dell'aereo prima di salirci. Questo romanzo dice molto su come documentarsi e costruire un ambiente destinato ad un lettore intemazionale. Che lo legge come un libro di storia e come un self-service di etica: donne e aerei sono inaffidabili, i gioielli meno ma sono esposti ai ladri, che sono meglio dei motoristi angosciati e dei seduttori. La conoscenza della macchina e l'etica casual dei personaggi rassicurano il lettore, che può leggerne senza traumi. Quando questo Clipper decolla l'etica è già data come irregolare e imprevedibile. Ognuno impara un brandello di comportamento possibile da eterogenee e occasionali fonti: qualche momento della vita in tv, in famìglia, su un fumetto, in discoteca, tra gli amici. Qualche volta passa il resto della vita senza sapere di altre etiche, il che rende la sua visione del mondo poco tollerante e quindi poco rispettabile. Il romanzo si è sempre mosso tra questi due estremi: l'esplorazione del possibile e la replica dell'usuale. Questo romanzo, come altra fiction, segnala come la crescita del disordine sociale stimoli la domanda di rassicurazione, una costante di questa letteratura. Al lettore non sembra di rileggere una storia che già conosce perché la malignità della scrittura è capace di dettagli, come la vita. Il Clipper vola nella notte carico di dettagli e di etica frivola, rassicurante immagine delle regole e delle tendenze di un mondo senza pista di atterraggio.