n 4 L'INDICEpag VI ■■dei libri del mese^i Filosofia Maschere kierkegaardiane, a cura di Leonardo Amoroso, con un saggio pseudonimo di Sóren Kierkegaard, Rosenberg & Sellier, Torino 1990, pp. 232, Lit 32.000. Individuando nel momento interpretativo e comunicativo dell'esperienza umana il denominatore comune tra la corrente ermeneutica e Kierkegaard, gli autori di questo volume fanno rientrare il filosofo danese nell'album di famiglia dell'ermeneutica. Ci aveva già pensato del resto Rorty, che aveva visto in Kier-keegard un rappresentante della tradizione edificante propria dell'ermeneutica cui contrapponeva la posizione costruttiva dei pensatori sistematici e olistici. Lo spirito anti-sistema di Kierkegaard, i suoi interessi estetici, la posizione centrale da lui assegnata all'interpretazione, i suoi sospetti per le pretese dell'epistemologia ne farebbero per l'uno come per gli altri un referente prezioso per la filosofia emerneutica. Il libro si com- pone di due saggi critici e di uno scritto di Kierkegaard (La crisi e una crisi nella vita di un'attrice, del 1847, tradotto qui per la prima volta in italiano da Inge Lise Rasmussen Pin). Nel primo saggio, Leonardo Amoroso ricostruisce il complesso modo kierkegaardiano d'intendere e praticare la comunicazione individuandone le categorie portanti. Nel secondo saggio, di Simonella Davini, è l'ambito della "seduzione" ad essere analizzato, in stretto collegamento con quello della comunicazione. Suggestivo è il richiamo di partenza: estendendo a Kierkegaard stesso il paragone che quest'ultimo istituiva tra la figura del seduttore e quella di Socrate (il quale, a detta di Kierkegaard, "incantava i giovani, suscitava nostalgie in loro senza però appagarle, li infiammava di voluttà al contatto senza però dar loro un nutrimento forte e sostanzioso") l'autrice contribuisce a chiarire la definizione di Kierkegaard in quanto pensatore "edificante" in senso rortiano, intendendosi per tale colui che, mediante un linguaggio allusivo, suscita stupore, ma non dà certezze, provoca meraviglia, ma non offre verità, apre nuove strade, ma non dice per dove. Francesca Rigotti Germana Pareti, La tentazione dell'occulto. Scienza ed esoterismo nell'età vittoriana, Bollati Boringhie-ri, Torino 1990, pp. 297, Lit 26.000. Da diversi anni la storiografia ha abbandonato l'immagine del positivismo come una filosofia compatta costruita sull'opposizione tra scienza e religione. Il presente volume è una testimonianza ulteriore delle implicazioni metafisiche della filosofia naturalistica, più in generale del legame tra positivismo e romanticismo. L'ambiente esaminato è quello vittoriano, i naturalisti, i filosofi, gli scrittori che condivisero il sentimento del "malessere spirituale e morale" nato dalla consapevolezza di vivere in un'epoca di transitorietà. Uno dei prodotti più significativi di questa "tentazione dell'occulto" è rappresentato dalla Society for Psychical Franz Niemetschek, Friedrich von Schlichtegroll MOZART a cura di Giorgio Pugliaro 126 pp . L. 20.000 Richard Strauss NOTE DI PASSAGGIO Riflessioni e ricordi 220 pp.. L. 35.000 Patrick Humphries VITA di TOM WAITS 152 pp.. L. 23.000 EDT • 19. via Altieri 10121 Torino tel. (Oli) 515.917/511.496 fax (Oli) 545.296 Research fondata nel 1882 da Henry Sidgwick, con lo scopo di promuovere un'indagine "organizzata e sistematica" di "quel vasto gruppo di fenomeni discutibili designati da termini quali "mesmerici", "psichici" e "spiritici". L'autrice sottolinea più volte il "particolare atteggiamento emotivo" tenuto da questi scienziati nello studio della natura; ma l'interesse per i "tavolini che ballano" era coerente con l'ideologia scientistica: l'intenzione era quella di applicare allo studio della parapsicologia i modelli concettuali collaudati nelle scienze naturali con lo scopo di edificare un sistema onnicomprensivo che riuscisse a guarire l'insopportabile malattia del dubbio e della precarietà della condizione umana. Nadia Urbinati Leo Strauss, Diritto naturale e storia, Il Melangolo, Genova 1990, ed. orig. 1958, trad. dall'inglese di Nicola Pierri, pp. XXXIII-357, Lit 45.000. Leo Strauss, Scrittura e persecuzione, Marsilio, Venezia 1990, ed. orig. 1941, trad. dall'inglese di Giuliano Ferrara e Fiammetta Profili, pp. XXIII-197, Lit 30.000. Dopo anni di malcelata indifferenza — sui quali fa luce la prefazione di Guido Alpa a Diritto naturale e storia —, queste traduzioni segnano una svolta e mostrano anche che l'attenzione per il pensiero di Strauss, profilatasi fin dagli inizi degli anni ottanta, non era un fenomeno episodico. Si tratta di due volumi importanti che hanno profondamente inciso sulla filosofia politica contemporanea. In Diritto naturale e storia, Strauss affronta il problema della trasformazione del concetto di diritto naturale configurandone il passaggio dalla soluzione classica alle soluzioni moderne come un processo di decadenza che ha le sue tappe prima in san Tommaso, e poi in Hobbes, Locke, Rousseau, Burke e Weber. Ma questo è solo l'aspetto più appariscente dell'opera. A determinare l'interesse per il libro è il modo in cui Strauss argomenta la sua tesi, e le conclusioni a cui giunge. Per comprendere tutto ciò occorre rifarsi al saggio Persecution and the Art of Writing, del 1941, inserito in Scrittura e persecuzione. Qui Strauss sostiene che da Anassagora a Kant il problema costante della filosofia politica è stato quello del miglior regime, e che la riflessione su di esso esponeva il filosofo al rischio quanto mai concreto della persecuzione. La filosofia politica, infatti, se intesa come passaggio dall'opinione alla conoscenza delle cose politiche, come risposta "alquesito politico 'par excellence': come conciliare un ordine che non sia oppressione con una libertà che non sia licenza?", comporta una contrapposizione del filosofo sia al demos, sia al potere, sia all'autorità religiosa. L'unica via a disposizione per comunicare diventa così quella dì una doppia scrittura: una essoterica avente per destinatari il lettore comune e i censori, e una esoterica avente per destinatari i filosofi e gli allievi. Le cose importanti sono quindi da occultare al popolo (a cui possono far male) e ai censori. Dunque le opere dei filosofi politici devono anche essere lette 'tra le righe': alla ricerca di ciò che il filosofo riteneva importante, ma che non poteva rendere palese. In Diritto naturale e storia, Strauss mostra come il problema centrale del diritto naturale moderno fosse il superamento della soluzione tomìstica e l'impossibilità di un ritomo alla soluzione classica. Ma se si applicasse il medesimo canone ermeneutico al suo pensiero, ci si dovrebbe anzitutto chiedere perché egli abbia dedicato così poche pagine alla soluzione tomistica nella quale indivi- dua la chiave di svolta del problema. E ciò porta anche a chiedersi quale sia l'orìgine di quel processo di decadenza che è la "modernità" (come afferma una delle possibili reazioni al trauma nazista), e quali siano i presupposti filosofici dai quali Strauss la interpreta. A quest'ultima domanda rispondono gli altri saggi contenuti in Persecuzione e scrittura, dedicati a Maimonide e alla sua Guida dei perplessi; al rapporto tra religione ebraica e filosofia nel Kuzari di Y. Halevy, e al modo in cui studiare il Trattato teologico-politico di Spinoza. Leggendo Strauss "tra le righe", si ha la sensazione che egli intenda sostenere la tesi secondo la quale la ' 'modernità "siala secolarizzazione di una falsa rivelazione; che essa sia profondamente viziata dall'introduzione di un concetto di storia come divenire che era invece estraneo alla filosofia politica classica. Ma Strauss vuole anche sostenere la tesi secondo la quale ì principali concetti della filosofia politica erano stati elaborati prima del cristianesimo; e che, accettando l'idea cristiana della storia, ì filosofi politici moderni si siano preclusi, pur nel loro sostanziale ateismo, la possibilità di una riflessione filosofica sulle cose politiche sostituendola con una conoscenza storica. Raimondo Cubeddu Marialuisa Bignami, Il progetto e il paradosso. Saggi sull'utopia in Inghilterra, Guerini e Associati, Milano 1990, pp. 123, Lit 18.000. Scritto in punta di penna e prodigo di osservazioni non marginali, questo volumetto di Marialuisa Bignami raccoglie saggi sparsi sul tema 1 dell'utopia inglese tra Seicento e Ottocento. La "terra variegata dell'utopia" vi viene vista come situata ai confini tra progetto e paradosso, ovvero tra l'istanza di concretezza che propone riforme sentite come realizzabili e il desiderio di fantasticheria e di estraneazione dal mondo reale che si limita al gioco di immaginazione di altri mondi. Non solo la dicotomia tra "utopia" e "riforma" viene così trasportata all'interno del terreno utopico; essa viene anche messa in discussione come tale, giacché — come vi si sostiene — "lo scrittore di utopie non è mai alieno dall'immagi-nare la realizzazione del suo progetto di correzione del reale". L'elemento che fa da sfondo al volume e che lo rende tutto sommato omogeneo è l'intreccio, peculiare della cultura inglese, tra colonialismo e utopia, ossia tra l'interesse allo sfruttamento economico dei territori americani e l'aspirazione a rifondare la civiltà in terre lontane e incontaminate. Di fronte al contrasto tra il modo di vita europeo e quello esotico-utopico, gli autori qui esaminati appaiono curiosamente concordi nello schierarsi a favore del primo, corrotto e degradato quanto si vuole, ma pur sempre preferibile, in quanto culturalmente civilizzato e tecnicamente sofisticato, al mondo ingenuo e primitivo, semplice e monotono, degli abitanti dei paesi di utopia. Francesca Rigotti Giuseppe Di Giacomo, Dalla logica all'estetica. Un saggio intorno a Wittgenstein, Pratiche, Parma 1990, pp. 154, Lit 16.000. Tutta l'opera di Wittgenstein, dal Tractatus a Della certezza, è interpretabile, secondo l'autore di questo libro, nel quadro del soggettivismo kantiano della Critica del giudizio. Il punto di vista estetico che, nel congiungimento di attività teoretica e attività pratica, fonda la necessità del contingente, coincide con il punto di vista filosofico in quanto tale, rappresentando non più una riflessione settoriale e specialistica, bensì un ambito di discussione sulle condizioni di possibilità della filosofia stessa. Contrastando apertamente con le attuali letture del pensiero del secondo Wittgenstein (esplicitamente con Rorty), Di Giacomo considera sbagliato dissolvere la necessità nella contingenza delie pratiche sociali e fornire una visione naturalizzata e detrascendentalizzata della filosofia. Egli interpreta l'espressione wittgen-steiniana "guardare attraverso i fenomeni" come un'indicazione che fonda l'analisi dei giochi linguistici contingenti a partire dall'interno del linguaggio, in una necessità solo po-stulabile, che funge da condizione di possibilità e di pensabilità proprio di quei giochi. In questa prospettiva, il passaggio dal Tractatus alle Ricerche, con l'abbandono della centralità della logica e del riferimento alla realtà fondante di un mondo logicamente strutturato, conduce Wittgenstein a concepire la condizione di possibilità degli usi linguistici come tutta pratica ed estetica; la costituzione dei giochi linguistici si realizza nell"'afferrare di colpo", nel "vedere qualcosa come qualcosa", oppure nell'avere una "rappresentazione perspicua" dello stato del linguaggio; capacità queste che istituiscono insieme sia l'ambito contingente dei giochi linguistici, sia quello necessario di una loro considerazione filosofica. Marilena Andronico Giulio De Martino, Etica narrativa, Liguori, Napoli 1990, pp. 238, Lit 24.000. È difficile rintracciare una tesi centrale in questo testo complesso che uno stile frammentario e metaforico situa in una zona di frontiera tra saggio, poesia e prosa. Genericamente interpretabile come saggio di "filosofia ecologica", è tuttavia forse proprio nel rifiuto del discorso lineare e sistematico che si può scorgere il senso profondo e la medesima finalità di frammenti che rinviano continuamente l'uno all'altro. E il pensiero della differenza, come etica che non può esprimersi attraverso il linguaggio sistematico ed edificante di una filosofia tesa alla ricerca insensata dell'essenza della natura e del suo stato ultimo. E la consapevolezza etica della complessità del bìos e del suo primato sulla scienza fisica. Soltanto dalla considerazione della natura da un punto di vista biologico può emergere un concetto la cui difesa viene chiamata pensiero ecologico: la natura non è un mondo statico, un equilibrio ciclico funzionale alla manipolazione tecnologica, ma è bìos vivente che si trasforma. Non è legge, ma evento. L'etica diventa quindi ideale di conservazione e rispetto della differenza, della pluralità e della ricchezza. La scelta etica non è scelta tra diverse possibilità, ma giudizio sul grado di valore di una possibilità particolare. E spinta verso la singola-rizzazione, e solo l'individuo etico (non lo stato, non il sociale) può quindi riavvicinare il vivente umano al bìos. Non più come logos forte e fondativo, ma come nulla abissale la cui rilevanza etica, taciuta dalla scienza, emerge solo dal vivente quotidiano. L'etica nasce dal tacere del bìos, dal suo attendere un senso: solo facendosi narrazione può quindi essa ricreare quel mondo ormai negato dalla fisica e dire il bios come mortale, come evento. Non nella logica, eterna e senza storia, risiede dunque la verità, ma nell'orientamento verso l'essere della metafora: "Tracciare ideogrammi, il cui fondo non è solo la grammatica ma, anche, l'essere". Benedetta Antonielli