pag. 5 Il Libro del Mese wis) sono il viaggio dalla Mecca a Medina, l'egira, e quello di ritorno; e mentre in occidente la sede del governo è indicata con il nome di un edificio, il Vaticano, il Quirinale, la Casa Bianca, nel più grande di tutti gli stati islamici, l'impero ottomano, il centro del potere era designato da una porta, la "Sublime Porta", letteralmente l'ingresso alle stanze del Gran Visir. Unica eccezione significativa a questa regola (ma Lewis non ne parla) è apparentemente la distinzione tra Dar al-Islàm e Dar al-Harb, che sembra essere la sola distinzione permanente entro il genere umano fra due parti distinte e ostili l'una verso l'altra. Questo non significa naturalmente che l'Islam non riconosca l'esistenza di affinità tra chi è dentro la Dàral-Islam e chi è fuori (una religione non può fare proselitismo se non tiene la porta aperta), ma i fondamentalisti islamici non sentono il bisogno di un codice di comportamento comune applicabile sia a chi è "dentro" sia a chi è "fuori", un atteggiamento che del resto è anche dei fondamentalisti cristiani: il concetto che i diritti siano umani sarebbe in realtà altrettanto estraneo al consigliere spirituale di Bush, l'evangelico Billy Graham, se gli Stati Uniti non potessero tuttora a buon diritto definirsi una repubblica laica. Ma all'Ayatollah riusciva ostico anche il termine "diritti" (ed è curioso che questo termine non compaia nella per il resto completa trattazione del vocabolario politico arabo contenuta nel libro di Lewis, benché un intero capitolo sia dedicato a I limiti dell'obbedienza). Mentre infatti l'intero edificio della legge occidentale, e quindi del linguaggio politico, è fondato sul concetto di diritto, nell'arabo classico non c'è nemmeno una parola per tradurre il termine latino ius: solo dopo la rivoluzione francese i giuristi arabi ricorsero alla parola corrispondente a "verità" (haq) per rendere quello che per la prima volta veniva sentito come una necessità, ma il termine non è mai veramente entrato a far parte del linguaggio politico islamico. Il fatto è che il concetto di diritti rientra in una sfera sostanzialmente laica, e non ha posto in una logica religiosa (la concezione repubblicana calvinista per esempio) in cui l'autorità politica sia fatta derivare dalla parola rivelata della divinità (chi mai potrebbe rivendicare qualcosa contro Dio?). Nello stesso modo non ha posto in una comunità politica in cui lo stato sia particolarmente debole oppure poco radicato, come accadeva, anche se la cosa potrebbe apparire paradossale alla luce di quanto si è detto delle società islamiche moderne, nelle società islamiche classiche, in cui lo stato era sì onnipotente e, non diversamente dalle monarchie europee, lasciava ben poco spazio all'opposizione ("Non dovete prendere le armi contro gli Imam, anche se ingiusti", scriveva il giurista del secolo X Ibn Batta. "Se questo vi opprime, pazientate, se vi spossessa, pazientate"), ma non penetrava molto in profondità in quella che oggi chiamiamo la "società civile": per esempio non c'era nessun meccanismo per far rispettare la Shari'a (era osservata perché questo era il costume e perché la disobbedienza avrebbe provocato l'ira di Dio). Inoltre, mentre i codici basati sul diritto romano cercavano di mettere in rapporto Persone, Cose e Atti, per usare la terminologia di Gaio, la Shari'a si occupa soprattutto dei rapporti tra persone, e di tutto l'enorme e notevolissimo corpo di teoria legale che su di essa è stato costruito ben poco ha direttamente a che fare con il problema del potere e dell'autorità: non che non esista una teoria politica islamica, ma certo nulla di paragonabile all'imponente corpo di filosofia Sociale e politica che ha caratterizzato la cultura occidentale a partire da Platone. Proprio perché i vari governanti islamici, a differenza di quelli europei, non erano anche legislatori, e perché fin dall'inizio si era radicata l'abitudine all'obbedienza allo stato in quanto incarnazione della volontà divina, non si sentiva il bisogno di quel tipo di regolamentazione limita- da quelle islamiche, erano state basate sull'interpretazione di un certo numero di testi che assumevano rango di autorità (Lewis ricorda quanto lo sviluppo della scienza nell'Europa medievale debba agli studiosi dell'Islam), la cosiddetta "rivoluzione scientifica" del Seicento fece lentamente ma irreversibilmente piazza pulita di questo sistema di conoscenza: tutte le forme di ricerca, esclusa quella strettamente teologica, divennero scettiche, basate cioè sull'osservazione personale e diretta (da questo empirismo è nata tra l'altro la tec- di testi ormai morti, così come i continui riferimenti a un passato remoto, specialmente se a farlo sono popoli che hanno a disposizione grandi quantità di armi, anche se da soli non sono in grado né di costruirle né, a quanto pare, di usarle efficacemente. Bernard Lewis precisa che nel suo libro, in cui cerca di interpretare il linguaggio islamico ad uso dei non islamici, non ha voluto entrare nel dibattito sul linguaggio politico attualmente in corso tra "studiosi di politica, di psicologia e di semiologia", una scelta che conferisce al suo (1983), The Muslim Discovery of Europe, questo del quale trattiamo non è un testo per così dire unitario bensì l'assemblaggio d'un ciclo di conferenze tenute fra il 29 di ottobre e il 4 di novembre del 1986. Ne viene fuori un 'opera di divulgazione senz'altro eccellente ma alla fine un po ' deludente. L'intento di Lewis è quello di leggere in chiave occidentale i significati dell'azione politica nell'Islam mediante lo studio del suo ' 'politichese ' '. Per farlo si serve dei codici politici classici adoperati in occidente per analizzare l'Islam-, codici, o strumenti, di studiosi e pensatori inglesi, francesi, tedeschi, molti dei quali ebrei. La prima sintesi teorica analizzata da Bernard Lewis è quella relativa alla centralità e alla vicinanza a Dio come criterio di base della definizione del potere politico nell'Islam in contrapposizione alla verticalità del potere nella cultura cristiana o ebraica. Ed ecco scorrere nel libro la ' 'narrazione ' ' erudita del consenso sociale e della politicità islamica, il suo messaggio egualitario, il rigetto dell'anarchia, e ancora il fallimento del tentativo di trasformare la contestazione in istituzione, il naufragio nel conciliare attualità e tradizione. L'Islam è "l'unico criterio" col quale sarà possibile definire l'identità del "Gruppo " e i "motivi di lealtà" all'interno delle comunità politiche islamiche. Tale criterio, scrive Lewis, si esaspera in tempo di crisi sicché l'identità islamica diviene l'unico principio accettabile di autorità e di azione. Per dar corpo e forza a tanto assunto, l'autore si esercita in uno sforzo notevolissimo di esemplificazione manovrando, da par suo, testi e citazioni tra i più vari e complessi. E tuttavìa, a conti fatti, il risultato di tanta nobile fatica è piuttosto scarso. Il nostro non esplora a fondo lo sciìsmo, un filone ricchissimo di strumenti d'analisi adoperati da altri, al pari di lui, insigni islamisti. Non chiarisce la dimensione del patto assoluto, dell'impegno univoco fra il credente e Dio, né sviluppa adeguatamente il con- cetto di gihàd o jihàd (alla lettera sforzo), la cosiddetta "guerra santa". Non ci dà una distinzione fra teocrazia e ierocrazia né mette sufficientemente in rilievo la funzione che la Parola, il Verbo adempie nell'Islam in quanto "testimonianza divina". In assenza, soprattutto, di quest'asse portante (la Parola) di ogni studio approfondito dell'Islam, il pur pregevole lavoro di Lewis corre il rischio di passare alla stregua di un "prontuario pragmatico" esposto alla banalizzazione e/o alla manipolazione da parte di chi rifiuta di conoscere quel che servirebbe a colmare il fossato di incomprensione che oggi, anche a causa della guerra del Golfo, minaccia di dividere pericolosamente l'Islam dall'occidente, il Dar al-Islàm dal Dar al-Harb. Anche se soltanto in parte dispiegato, s'avverte tuttavia nell'opera del Lewis uno sforzo di nobile approfondimento. D'altronde, come lo stesso autore scrive a conclusione della sua pregevole fatica, "un passato rivisto e ricostruito non è mai la stessa cosa che il passato quale effettivamente fu". Sia come sia questo libro di Bernard Lewis, altìssimo saggio di divulgazione, può aiutare a capire, se non il "passato", senz'altro la lezione del "presente". E cioè che se non saremo saggi e giusti, nel mondo arabo (che non è l'Islam ma all'Islam appartiene e in esso spicca), isterismo e odio faranno ancora e sempre velo alla ragione, deformando la realtà. Di Bernard Lewis è prevista per il maggio prossimo l'uscita di due altri volumi: I musulmani alla scoperta dell'Europa (Laterza), e Gli ebrei nel mondo islamico (Sansoni). tiva che è legata al concetto stesso di diritto. E molto plausibile che, come Lewis tiene a precisare, le società islamiche non siano a rigor di termini teocratiche, e in effetti i loro governanti non sono re sacerdoti (fa eccezione l'Iran, ma sono molti gli aspetti in cui la repubblica islamica dell'Iran fa eccezione), ma certo tutte le società veramente islamiche sono teocentriche, e proprio per questo gli occidentali spesso non riescono a capirle, benché anche nel linguaggio politico dell'occidente non manchino le immagini cristiane, né sul lungo periodo riescono ad accettarne l'irruzione in una scena internazionale che a loro vedere (e la vedono così fin dalla metà del secolo XVII) non può essere regolata se non in termini di diritto. Ho poi l'impressione che ci sia anche un'altra difficoltà sulla strada di quel "discorso comune" che in questo libro è giustamente definito "difficile ma necessario", specialmente dopo la guerra del Golfo. In occidente, mentre fino al secolo XVII la teologia e la scienza, non diversamente nologia occidentale). Nell'Islam invece questa svolta non ci fu, né allora né mai, e non è certo con i prestiti linguistici o con il recupero di termini classici che si può rimediare a una divaricazione così radicale, una divaricazione che è stata di metodo, e quindi anche di mentalità e di cultura collettiva: il ministro iraniano che cerca di inserire nel computer (presumibilmente giapponese) il contenuto del Corano e della hadith per avere a disposizione un testo in grado di fornire una risposta rapida a ogni prevedibile problema economico è il simbolo delle difficoltà che sorgono quando la conoscenza è basata su un testo. Problemi non diversi hanno dovuto affrontare i fondamentalisti cristiani ed ebraici, ma poiché questi sono sempre stati una minoranza, per quanto rumorosa, sono problemi loro, mentre in vasti settori del mondo islamico sono problemi di tutti, e ovviamente agli occidentali appare intrinsecamente incomprensibile questo bisogno di continuare a usare la lingua, il vocabolario e le metafore lavoro un sapore curiosamente démodé, in quanto si limita a trattare, con grande comprensione ed erudizione, i vari termini usati dal linguaggio politico islamico, in una Begriffsge-schichte che non affronta quello che probabilmente è per gli occidentali l'aspetto più sconcertante di tale linguaggio, e cioè la retorica, i tropi e le circonlocuzioni che ne caratterizzano il vocabolario. Il fatto è che troppo spesso l'atteggiamento occidentale verso l'Islam e il mondo islamico continua ad essere quello del parigino che nelle Lettres persanes di Montesquieu scopre di star parlando con un persiano ed esclama "Persiano. Come si fa a essere persiani?": se noi, appartenenti alle democrazie liberali europee, non vogliamo continuare a chiederci metaforicamente "come si fa a essere musulmani?" dovremo penetrare nei misteri linguistici della più grande religione del mondo più a fondo di quanto ci abbia fatto penetrare Lewis. (trad. dall'inglese di Mario Trucchi) cappelli saggi Lloyd Motz Jefferson Hane Weaver LA STORIA DELLA FISICA pagg. 464 - L. 45.000 Christophe Dejours RICERCHE PSICOANALITICHE SUL CORPO Prefazione di Sergio Molinari pagg. 160 - L. 20.000 strumenti Terence Dickinson GUARDARE LA NOTTE Una guida all'osservazione dell'Universo pagg. 168 - l. 32.000 ATLANTE STORICO DEL XX SECOLO Dal mondo degli Imperi alla Guerra del Golfo 100 anni di carte geografiche pagg. 64 - L. 19.000 C. Lixi M. Gourion DIZIONARIO DI MATEMATICA pagg. 364 - L. 24.000 spettacolo Silvia Camerini Martino Ragusa L'OPERA IN ITALIA pagg. 160 - L. 72.000 IL TE NEL DESERTO Un film di Bernardo Bertolucci tratto dal romanzo di Paul Bowles pagg. 96 - L. 32.000 in viaggio Anne Coldefy-Faucard Luba Jurgenson MOSCA Una città in attesa pagg. 320 - L. 28.000 Gary Katzenstein TOKYO Viaggio in un'altra dimensione pagg. 216 - L. 24.000