Marguerite Yourcenar, Pellegrina e straniera, Einaudi, Torino 1990, ed. orig. 1989, trad. dal francese di Elena Giovanelli, pp. 264, Lit 28.000. Ci sono due passaggi, nelle pagine dedicate a Virginia Woolf da Marguerite Yourcenar in Pellegrina e straniera (il volume edito di recente da Einaudi in cui sono raccolti saggi di vario argomento scritti tra il 1934 e il 1987), che possiamo utilizzare come tracce per guardare all'opera dell'autrice delle Memorie di Adriano. Il primo: "... spesso vengono rimproverate di intellettualismo le nature più raffinate, le più appassionatamente vitali, costrette dalla loro fragilità o dall'esuberanza delle forze a ricorrere di continuo alle dure discipline dello spirito". Il secondo: "Si potrebbero classificare i poeti, considerando esclusivamente le tipologie dello sguardo..." Non mi sembra una forzatura immaginare che nel numero di coloro che possono venir rimproverati di intellettualismo, Marguerite Yourcenar includeva anche se stessa. E allora: qual è la dura disciplina dello spirito con cui, nel suo caso, sono state tenute sotto controllo la fragilità e l'esuberanza dello spirito? Quanto alla seconda frase: che tipo di sguardo proiettavano gli occhi della scrittrice Yourcenar? Considerando l'imponente monumento che la sua opera rappresenta, le due domande convergono verso un'unica risposta: lo sguardo di Marguerite Yourcenar è lo sguardo che ricorda; la disciplina dello spirito con cui arginare fragilità e esuberanza vitale è la memoria. Non penso soltanto a opere che denunciano il tema della memoria fin dal titolo, come Memorie di Adriano o Care memorie (che, insieme a Archivi del Nord e Quoi? L'éternité, costituisce II labirinto del mondo, un veto e proprio esercizio, potremmo dire, di memoria ritrovata). Penso anche, per esempio, a quel breve e fulminante romanzo, considerato da molti il suo capolavoro, che è II colpo di grazia: è una storia d'amore e di guerra, ricca Eroìna è la memoria di Elisabetta Rasy VVT* NO ...ricostruire insieme la pace per «fare uscire la guerra dalla storia». Giovanni Salio LE GUERRE DEL GOLFO E LE RAGIONI DELLA NONVIOLENZA pp. 136 - L. 18.000 EDIZIONI GRUPPO ABELE L'unica casa editrice con un progetto editoriale di educazione alla pace che ricopre l'intero arco scolastico: scuola d'infanzia, elementare, media, superiore. Informazioni presso la sede. Edizioni Gruppo Abele Via Giolitti 21 - 10123 Torino tel. 011-8395443/4/5 DISTRIBUZIONE GRUPPO EDITORIALE FABBRI di colpi di scena psicologici e non solo psicologici, ma è costruita come se fosse la trascrizione di un racconto che il protagonista fa vent'anni dopo i fatti (la fine della prima guerra mondiale) a un piccolo uditorio che l'ascolta per puro diletto o per passare il tempo. Un racconto che coincide perfettamente con il filo della memoria, solo arbitro dei fatti raccontati e solo artefice della narrazione. Tra fragilità ed esuberanza agisce dunque la memoria, intesa, appunto, un interlocutore ideale, a quell'uomo in sé [il corsivo è suo] che è stato il grande sogno delle civiltà sino alla nostra epoca, dunque sino a noi". Quell'"in sé" contiene la scommessa della sua opera, la sua grandezza e, anche, il suo fallimento. Dunque, all'uomo in sé è diretta l'investigazione narrativa di Marguerite Yourcenar: ma allora, se la memoria è la dimensione chiave del suo narrare, di quale memoria si tratta, e in che modo agisce? storica, fatta di avvenimenti precisi, di date, di circostanze certe, oppure di tracce materiali ritrovate. E non è neanche la memoria biografica, quando agisce a ricalco della memoria storica. Anzi, l'oublieuse mémoi-re, la cui essenza è l'oblio, trattiene dell'individuo e dei popoli proprio ciò che sfugge alla Storia e alla biografia, l'incerto, l'oscuro, il non detto. Ci sono tre frasi nella lunga conversazione di Marguerite Yourcenar come esercizio della mente, così che lo sguardo rammemorante non sarà quello del flaneur tra le sensazioni evocate dai ricordi, lo sguardo del sognatore nostalgico, perso nella propria fantasia del passato, ma quello, fisso e intento, di chi si forza di guardare al presente evocando con pazienza e studio la traccia e l'ombra del passato che porta con sé. Fino a un effetto anamorfico: il presente e il passato si sovrappongono a costituire una figura fuori dal tempo, e paradossalmente fuori dalla Storia, la figura dell'uomo in sé e della vita (del mondo) in sé. Yourcenar lo dice esplicitamente in un saggio importante per la storia del suo lavoro, Tono e linguaggio del romanzo storico (in II tempo grande scultore, Einaudi, 1985), in cui spiega e analizza la costruzione narrativa delle Memorie dì Adriano e dell'Opera al Nero: "... avevo scelto per far parlare Adriano il genere togato... mi autorizzava, al di là dei suoi contemporanei e del nipote adottivo, a mostrare Adriano in atto di rivolgersi a Può avvicinarci alla narrazione rammemorante di Yourcenar ciò che sulla memoria ha scritto Maurice Blanchot (L'infinito intrattenimento), quando sostiene che della memoria l'essenza è l'oblio. Quello che la memoria disegna è uno spazio cavo, un contorno, un confine, dentro il quale sono chiamati a prendere forma, come emergendo da un anarchico chiaroscuro, fantasmi di figure e di rapporti. Blanchot non parla della memoria degli individui, ma di quella che agisce nel canto del poeta, nelle sue trame. "La poesia rammemora ciò che ancora non costituisce per gli uomini, i popoli e gli dei, un ricordo proprio, e tuttavia li tiene sotto la sua custodia e si affida alla loro custodia. Questa grande memoria impersonale che è il ricordo immemore dell'origine e a cui si avvicinano i poemi genealogici... è la riserva a cui nessuno in particolare, che sia poeta o uditore, nessuno neUa sua particolarità può attingere. E il remoto, la memoria come abisso". Dunque, questa memoria non è la memoria con Mathieu Galey (Ad occhi aperti, Bompiani, 1982) che ricatturano all'orizzonte della scrittrice questa particolare declinazione della memoria. La prima, relativa all'Egitto che compare nelle Memorie di Adriano, allude al ricordo di una lettura infantile in cui appariva il paesaggio egiziano: "Cela m'est resté dans la mé-moire". La seconda: " Je me méfie du fait que l'histoire systématise". La terza: "Je suis frappée par la pau-vreté de l'immagination généalogi-que de la plupart des gens". Dunque: la memoria che trattiene, che custodisce, che dimentica dentro di sé; una presa di distanza dalle sistematizzazioni, cioè dalle certezze, della Storia; un riferimento all'immaginazione genealogica che è sostiene Blanchot, il ricordo immemore dell'origine. Se la memoria contiene a proprio fondamento l'oblio, che cosa dobbiamo intendere con questo termine perché non sia una pura cancellazione, un vuoto senza ritorno? Ascoltiamo ancora Blanchot: l'oblio è "la potenza custode, grazie alla quale si conserva la parte nascosta delle cose, e gli uomini mortali si salvano da ciò che sono e riposano nella parte nascosta di se stessi". L'oblio: la parte nascosta. Dice Alexis, protagonista e voce narrante dell'omonimo racconto, nel suo lungo monologo rammemorante: "E il più terribile è che gli uomini non conosceranno di me che questo personaggio in lotta con la vita", che è come dire: non conosceranno il vero me stesso, perché questo vero me stesso coincide con la "parte nascosta". Arriviamo così a un'ultima, decisiva qualità della mémoire oublieuse-, essa è "lo spazio dove regna la giustizia del ricordo... secondo la quale si distribuiscono diritto e rispetto". Ecco, se c'è una vocazione che vistosamente caratterizza l'opera di Marguerite Yourcenar, è sicuramente la vocazione alla giustizia, nel senso di far ricordare all'uomo ciò che di sé, e degli altri, non ha mai saputo né ha mai cercato di sapere. Perché la memoria possa produrre giustizia è necessaria la distanza. La Storia serve alla narrazione di Yourcenar non in quanto serbatoio di fatti, ma come garanzia della distanza. C'è una dichiarazione a questo proposito nella prefazione a quello che è (insieme ad Alexis) il meno storico dei suoi testi, Il colpo di grazia: "Tutto, fino allo sfondo delle guerre civili in un angolo perduto della regione baltica, mi sembrava entrare nelle condizioni dell'azione tragica liberando l'avventura di ogni contingenza abituale e dando all'attualità di ieri quella prospettiva nello spazio che è quasi l'equivalente dell'allontanamento nel tempo". L'allontanamento, cioè la distanza che consente la giustizia, dunque il viraggio di una contingente identità in destino. I personaggi di Marguerite Yourcenar sono inattuali, ma non nel senso di anacronistici. Essi sono dei morti: morti in maniera accertata, perché la loro stessa epoca è morta. Malgrado l'innegabile erudizione dei suoi testi, non è alla passione erudita che deve attribuirsi la scelta degli sfondi storici che fanno da contenitori alle vicende raccontate, ma alla necessità che la storia passata garantisca che il personaggio è morto, e dunque non legato al "farsi", al "divenire", verbi che hanno a vedere con l'identità, ma al "già fatto", all'''avvenuto", che hanno a vedere con il destino. Memoria, oblio, giustizia, destino: se questi sono i temi che consentono alla scrittrice il viaggio verso la figura che le sta a cuore, verso il termine dichiarato del suo viaggio letterario, l'"uomo in sé", qual è la mossa narrativa, lo strumento che le consentirà di inscriverli, di scolpirli nello spazio dell'opera? Come si congiungeranno al romanzesco che l'autore vuole "allontanato" dal contingente, dall'accidentale dei fatti e delle storiche identità? Scrive il filosofo francese Michel De Certau (La favola mistica) che la Storia, così come modernamente la intendiamo, comincia laddove la voce si inabissa. La Storia deve occuparsi di una scomparsa, deve fare un vero e proprio lavoro di lutto, perché la voce è morta. Nella narrativa di Marguerite Yourcenar sembra che la voce contenda alla Storia il posto che le ha rubato. Se la Storia incontra il romanzo, quest'incontro non può che essere una questione di voce, di voce ritrovata e del rapporto che s'instaura tra la voce e il silenzio. Due brevi riferimenti: Yourcenar parla di Alexis come del ritratto di una voce. E nel saggio su Tono e linguaggio nel romanzo storico, dopo aver spiegato la scelta del discorso togato per far parlare Adriano, scrive: "Ma chi dice discorso dice anche monologo: a quel punto io ritrovavo la voce". La trasformazione della memoria in romanzo è, dunque, una questione