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■■dei libri del mese^HI
GENNAIO 1993 - N. 1. PAG. 8
Narratori italiani
Cretino chi non ha stile
Carlo Frutterò, Franco Lucenti-ni, Il ritorno del cretino, Mondadori, Milano 1992, pp. 238, Lit 29.000.
"Passeggiando pensosi lungo le rive di Babilonia, o più modestamente sulle sponde del Po": in questa frase c'è tutto lo spirito dei libri comico-teologici di Frutterò & Lucentini (d'ora in poi, com'è uso, F&L): da La prevalenza del cretino, 1985 e La manutenzione del sorriso, 1988 fino a questo recente II ritomo del cretino. C'è tutto: la modestia da figli di un profeta minore, il contrasto comico con un ristretto quotidiano orizzonte, la meditabonda signorile solitudine. Tre tonalità, tre moods che ritroviamo, variamente mescolati, in tutto quanto i due scrivono. Fuori c'è quella realtà che avrebbe bisogno di un Balzac, di un Dickens per essere raccontata; mancando tali colossi, nei loro romanzi e in questi corsivi F&L provano a scalfirla con strumenti assai collaudati.
Ad esempio, il ben noto effetto "Paese dell'Incontrano": l'approvazione di un'addizionale prò mafia; la libera circolazione criminale nei paesi Cee; il condono per i non-evasori. Secondo, la sapienza fisiognomica. F&L fanno delle "decaricature", nel senso che non esasperano i tratti somatici del potente ma gli sfilano la toga, lo vestono di deformi ciabatte, di cascanti calzamaglie, di sdrucite canottiere e lo fanno gesticolare e incedere come chi tuttora indossi nobili paramenti. È così che diventa irresistibile il loro terzo stratagemma, la metafora. Metafora Polstrada: "sostava sotto un albero di tangenti durante la distruzione di stupende bellezze naturali". Metafora Uomo in Ammollo: "tre fustini del vecchio De Gasperi contro un fustino di Su-perforlani ammorbidente". Metafora Jervolino-Vassalli: "il vizio della coca stalinista, della brown sugar to-gliattiana".
Per finire, l'uso del cliché: le lotte intestine del pentapartito raccontate come un film di Indiana Jones; Oc-chetto poeta minore di un decadentismo da Strapaese; la Manovra Economica come un numero di avanspettacolo tra Formica (Rino) e Pomicino (Cirino).
Trucchi eterni, d'accordo. Artifizi risaputi già ai tempi di Aristofane, sia pure. Ma allora che cosa rende irresistibile (autometafora) questa "coppia di chiassosi, esuberanti pistoleri capitati per errore nei sommessi giardini della letteratura"? E lo stratagemma più antico di tutti, cioè lo stile. La vera opera cui i due pistoleri attendono da vent'anni è un dizionario aggiornato dei luoghi comuni. In ciascuno dei libri citati all'inizio, non manca mai un capitolo intero -ad essi consacrato: "farsi carico", "scattare", "guardarsi negli occhi", "disomogeneo", "periodo di transizione", "crisi dei valori".
Né manca mai, per converso, un capitolo dedicato ai "Nottambuli", cioè agli anticretini, ai classici da Erodoto a Beckett, da Wodehouse a Jùnger: tutti articoli bellissimi e leggeri. F&L amano atteggiarsi a scettici blu (la tinta del cosmo), ma posseggono la fede più tenace che rimanga all'uomo contemporaneo, vale a dire la fede nel linguaggio. Il pezzo più pensoso della raccolta è infatti un racconto-apologo sul linguaggio intitolato L'uomo della mela: fra tanti allegretti, andanti con brio, minuetti e prestissimi, un "largo" ai cui gravi rintocchi vorrei che molti lettori prestassero ascolto. Altrettanto mi pia-
cerebbe accadesse con un altro articolo, Cannibalismo e informazione, nel quale F&L dicono due cose importanti: 1) In un paese che non si scandalizza più per nulla, dove più nessuno perseguita i letterati, l'unica arma impropria rimane lo stile. 2) La satira, l'autosarcasmo servono a far assaporare a chi scrive e a chi legge il
di Domenico Scarpa
piacere della libertà di stampa, oggi tanto scontata e negletta da parere inutile.
Fare satira vuol dire anche non dare a nessun fenomeno il crisma della novità assoluta: F&L si definiscono "accaniti cercatori di 'precedenti'... a scopi difensivi, per tagliare un poco le ali all'arroganza dell'attualità".
i singoli capitoli, sono meno folgoranti che nella Prevalenza del cretino, ciò si deve al fatto che quella era l'antologia di quattordici anni di lavoro, questa di soli quattro.
Tutti elogi o quasi, dunque. Ma allora di dove filtra, proprio mentre ci stiamo divertendo tanto, quello spiffero di disagio? All'uscita della prima
Essi sono un ibrido di due razze scomparse: l'eccentrico-snob e il polemista alla Luigi Russo, cui hanno dedicato un articolo purtroppo non raccolto. Fanno pensare a un ipotetico autore che, dotato di uno spirito tra Schopenhauer e Campanile e di un pennellino alla Hogarth, si costringa poi, ogni volta che può, a scrivere come un cronista del "Times".
Al "Times" però non ammetterebbero che in fondo a questo libro non si trovi, come nei precedenti, l'indicazione delle date e dei luoghi di pubblicazione degli articoli: così ho dovuto collazionarlo con la mia raccolta di ritagli della "Stampa", di "Panorama". Questo lavoretto-da-recensore-scrupoloso è stato premiato dalla scoperta che F&L non sono frettolosi salumieri dell'instant hook, ma rivedono i loro corsivi e vi apportano minime varianti: qua rimodellano un attacco, là mettono a fuoco un aggettivo, da quest'altra parte aggiungono una sarcastica epigrafe o rifanno un titolo. Se poi il livello complessivo, la fantasia nel confezionare
raccolta di F&L Giovanni Mariotti si chiese: "Perché generalizzare come Spengler, quando si è capaci di deridere come Molière?" Proprio da quella generalizzante parola, "cretino", che pure siamo tanto inclini a usare, proviene la fastidiosa corrente d'aria. A chi si rivolge questo libro? F&L, i grandi scettici, postulano forse che tutti i loro lettori siano noncretini? O invece il primo pensiero che un libro di questo genere dovrebbe suscitare è l'eterno de te fabula narraturf Forse tutti i moralisti dovrebbero debuttare, come Peter Handke, con un'opera intitolata Insulti al pubblico. Nell'introduzione alla Prevalenza, F&L dicono: "Meglio pensare che si scrive da un osservatorio semidesertico, per una cerchia di amatori invisibili che il buon senso suggerisce di ritenere esigua, irrilevante". È un pensiero contraddetto, per fortuna, dalle vendite.
Il fatto è che se il pubblico vede intitolata Fuori dal Palazzo la bellissima rubrica quotidiana sulle ultime elezioni presidenziali, finirà per cro-
giolarsi nell'illusione di non essere parte dello spettacolo. Fuori dal Palazzo sì, ci siamo più o meno tutti, ma fuori dal Sistema? Ho usato "sistema", una parola sessantottarda che F&L non ameranno: ma se le diamo un significato neutro, cibernetico, non vorrà più dire che la "gente comune" è innocente e la società (il sistema) colpevole. Al contrario, vorrà dire che tutti abbiamo le nostre magagne, dalla macchina in sesta fila alla tangente di seimila miliardi. Il difficile sarà fare chiamate di correo (che includano in primo luogo l'accusatore stesso) senza che si smarrisca il senso delle diverse e graduate responsabilità di singoli e gruppi.
Per temperamento F&L rifuggono da atteggiamenti così tribunizi. Ma è un fatto che le intuizioni fondamentali le hanno tutte: l'italica furbizia che ci esalta nel breve periodo e ci spaccia nel lungo; i partiti di opposizione che hanno i medesimi riflessi condizionati di quelli di malgoverno; la retorica, l'ermetica seriosità dei potenti, le cattive maniere, la permalosità di categoria come costanti del "carattere nazionale". Sono gli ideali di massa, gli ideali assembleari a lasciarli dubbiosi: "Human Rights now! E forse quel now, quell'enfatico 'subito' a farci dire che simili cose non fanno per noi, non sono our cup of tea, la nostra tazza di tè?" Come tutti i moralisti, F&L soffrono di horror pieni, orrore della massa e dell'unisono.
Niente da obiettare, ma non è vero che sia l'idea di progresso in sé a far nascere il cretino contemporaneo: uno degli elogi più belli del progresso l'ha scritto proprio Franco Lucentini. S'intitola Le morali del satellite ed è uscito nel febbraio 1958 sulla rivista "Passato e presente" (il satellite era naturalmente lo Sputnik). Lì "progresso" si contrappone alla difesa miope e soddisfatta del proprio esiguo orizzonte. Con la teoria del cretino a una dimensione, "progressista", di sinistra (una figura che pure ha svariato dallo spacciatore di fumo al criminale ideologico) si perde il senso dell'immensa volgarità e antipatia da male arricchiti che ha dilagato in questi ultimi quindici anni nel nostro paese. L'unico affondo di F&L in questo "sublime di ter-z'ordine" è La Passione secondo Stefania, il Calvario raccontato con lo sguardo e il linguaggio di una "testa impagliata", una teledipendente più verosimile del vero. E per questo che io, lettore, proverò sempre il bisogno di sfogliare, appena chiuso il libro di F&L, Ceronetti o Altan, Arbasino o Piergiorgio Bellocchio. Ciascuno di essi mi parlerà di qualcosa che tutti gli altri mi tacciono, con ognuno avrò qualche disaccordo, ma il panorama completo attingerà lo zenit del comico e il nadir del tragico.
Eppure... eppure è proprio tra la fine dei settanta e l'inizio degli ottanta, negli anni più cretini della nostra storia recente, che F&L hanno scritto i loro due capolavori: il romanzo A che punto è la notte (1979) e la "Rappresentazione in due Atti e una Licenza" La cosa in sé (1982), la più bella pièce italiana del dopoguerra (mais ouì). Forse, mancando le persecuzioni, vivere in mezzo alla cretinaggine fa bene alla letteratura.