riNDjCF ■■dei libri del mese^B marzo 1993 - n. 3, pag. 9 Novità Thema 1993 Italiano Inglese Elena Corbellini, Elena Malacarne Poesia e teatro Il suono e la parola Dante Alighieri La Divina Commedia a cura di Nicoletta Dalla Vedova e Silvio Valdes Marisa Malavasi Macchiavello Kathleen Irving Cultures face to face Un testo di civiltà inglese, dalla storia ai linguaggi settoriali 1 cassetta THEIU Melfino Materazzi Quarta traccia Problemi di attualità economica, tecnologica e scientitica ? VIA VITTORIO AMEDEO II, 18-10121 TORINO TEL. 011/5624622 - FAX 011/5625822 voglia rendere, ottava per ottava, il capolavoro di Byron, dev'essere disposto a entrare in una prigione ben più inospitale, con sbarre così fitte che si rischia di asfissiare. Il coraggio di chi affronta una simile impresa è già una forma di successo. Però da queste strofe, mi sembra, non si esce vivi. Intendiamoci: la dimestichezza di Dego con l'ottava rima, sia come poeta in proprio (La storia in rima, 1976), sia come studioso (si veda la sua edizione del Morgante di Pulci, Bur, 1992), non è in discussione. Piuttosto sono le particolari qualità del Don Juan a rendere soffocante questa sua "imitazione". Uno dei primi moderni estimatori del poema, W. H. Auden, raccomanda di leggere Byron "molto rapidamente, come se le parole fossero fotogrammi isolati di un film": ora è proprio la "velocità" di lettura che la versione del Dego, con la sua ricerca divertita ma anche spasmodica della rima, con le sue condensazioni inevitabili ma spesso oscure, non permette assolutamente. Si prenda il < mia, colpevole del sacrilegio che conosciamo. Sono pagine in cui il tono della narrazione muta di segno, offrendosi al lettore come un piccolo trattato teologico e morale. E sono pagine in cui sembra di respirare l'aria di una letteratura ancora dedita ai grandi temi, e alle grandi questioni. In questo animato dialogo, la figura di padre Alessio sembra apparentarsi senza ombra di indugio a certi personaggi dostoevskiani. Il prete è l'idiota" che, stracciando il velo delle apparenze e delle convenzioni, dice una verità assoluta, e inaccettabile per i suoi interlocutori. Così che il lettore, abbagliato dalla lucida trattazione di questo piccolo trattato sul libero arbitrio messo in bocca a un personaggio apparso solo a tre quarti del racconto per poi rapidamente scomparire, dimentica che l'oggetto del contendere è, in fondo, una piccola scimmia. Ma in tale posizione del narratore non vi è nulla di derisorio nei confronti della Grande Letteratura. È che Landolfi sa bene che quella letteratura appartiene al passato, e che il nostro secolo è diverso da quello che lo ha preceduto. L'unica morale possibile è, a questo punto, quella che rientra nell'alveo dello stile e della retorica e, per dirla con parole di certo estranee a Landolfi, dell'estetica letteraria". La dissimulazione verbale diventa così l'ultima chance per confrontarsi con i grandi temi, e un povero animale l'unico eroe del nostro tempo, e il solo personaggio del racconto con cui il lettore possa avere un rapporto di simpatia. Le pagine che Landolfi dedica al supplizio di Tombo non possono ingannarci sulla reale natura di questo essere, orfano di una morale che non gli appartiene, e di cui paga le estreme conseguenze: "Infine Tombo, che s'era dibattutto furiosamente, si spense; si spense la violenza dei suoi sussulti, si spensero i suoi occhi che all'ultimo istante esprimevano ormai solo una sgomenta meraviglia. Le ferite non davano sangue; ma un sottil filo di sangue colava dall'angolo della bocca". La grande letteratura del Novecento ci ha abituati, del resto, a simili personaggi e alle loro impreviste metamorfosi. La Traduzione . Don Giovanni in rime vogliose George G. Byron, Don Juan. Canto primo, trad. in ottava rima, introd. e note di Giuliano Dego, Rizzoli, Milano 1992, testo inglese a fronte, pp. 205, Lit 10.000. Nelle ultime pagine del suo vivace saggio introduttivo, Giuliano Dego si sofferma sui criteri che hanno di Francesco Rognoni orientato questo esperimento di traduzione in ottava rima del Don Juan di Byron. "L'ottava italiana conta di una media di 50 parole in prevalenza polisillabiche, quella inglese di 61 monosillabiche", il che costringe il traduttore italiano (che per le rime ha a sua disposizione solo "sette suoni puri" di contro ai "cinquantadue [suoni vocalici] sfumati in mille guise" dell'inglese), a compiere una continua "opera di selezione e sintesi". Se dunque John Harlington, traducendo, nel 1951, l'Orlando furioso, "all'interno delle sue gabbiette di rime... aveva avuto agio di manovrare, riecheggiando nei minimi dettagli anche i contenuti dell'Ariosto", chi celebre incipit: "I want a hero, an uncommon want, / When every year and month sends forth a new one, / Till after cloying the gazettes with cant, / The age discovershe is not the true one", che Dego rende: "Voglio un eroe: ed è un voler bislacco / se a ogni gobba di luna uno s'accampa / che, fatto dei giornali il suo bivacco, / mostra d'avere, più che zucca, zampa". Nell'originale la sintassi è limpidissima, il lessico né prezioso né particolarmente idiomatico, le rime dispensate quasi con trascuratezza, la comprensione immediata; il testo italiano è molto più contorto, le sue rime troppo ingegnosamente incastonate, l'espressione artificiosa: non a caso, per leggerlo, sono necessarie due note a piè di pagina (cui se ne aggiunge subito una terza quando, al v. 5, bislacco e bivacco rimano con ciacco, ovvero "porco"). Molte traduzioni cosiddette "letterali" non sono che pedestri parafrasi, ma questo Don Juan soffre del difetto opposto: per decifrarlo si deve continuamente chieder soccorso all'inglese! Se lo sforzo di sintetizzare l'espressione, e di costringere nell'endecasillabo il ritmo prolungato e più rilassato della pentapodia giambica, paradossalmente rallenta l'andatura del poema, un'altra caratteristica di questa traduzione è, mi sembra, in profondo contrasto con l'originale. Costantemente sopra le righe, e troppo aggressivo, il verso di Dego è impaziente di scoprire le proprie maliziosità e così sacrifica tutta la carica erotica dell'understatement: "not a page of anything that's loose" (non una pagina di qualcosa che sia licenzioso) diventa "niun libro che insegni ad aprir bluse" (40) e le "young ladies" (giovani signore) sono subito ridotte a "ogni vogliosa" (78). Qualche volta il testo si fa quasi volgare: donna Giulia (che in Byron semplicemente prega "for her grace"), "offrì in voto il mal squarciato imene / alla Vergin: 'Fammi restar perbene!'" (75) mentre, per far rima con "umani", alla stanza 89 ci tocca assistere all'amore dei "cani"... Con questo nulla si vuol togliere alla grande abilità versificatrice di Giuliano Dego, che gli permette spesso di proporre, soprattutto nel distico finale, soluzioni divertenti e efficaci (aprendo a caso: "Anzi, specie se gli uomini sono belli, / li tratterò alla stregua di fratelli" [77]; "I cristiani si arsero a vicenda, / convinti ch'era santa, la faccenda" (83); "fargli fare d'Amore apprendistato / sempre, s'intende, Amor senza peccato" (85). Ma il suo Don Juan ha davvero troppo poco a che fare con il testo inglese stampato a fronte e la lettura parallela finisce d'essere meno un mezzo di riscontro che un esercizio di enigmistica. La storia di don Giovanni l'hanno raccontata in tanti, né per questo ci ha mai tediati: perciò leggeremo volentieri gli altri sedici canti del Don Giovanni di Dego, ma dovrà essere un libro tutto in italiano, con il nome di Byron sparito o quasi dalla copertina. Nel frattempo, a chi volesse ripercorrere l'infanzia di Don Juan e la sua iniziazione ad opera della bella donna Giulia, nonché tutto il resto del poema, piuttosto della recente versione in endecasillabi sciolti di Franco Giovannel-li (Avventure di Don Giovanni, Newton Compton, Roma 1991), che è un po' troppo aulica ("Oh Pleasure! you're indeed a pleasant thing", diviene "O voluttà, tu giovi") e poco convincente nel costante ricorso all' enjambement, che distrugge il nitore epigrammatico dell'originale, si consiglia sempre la scorrevole traduzione in prosa di Simone Saglia (Don Giovanni, Zanetti, Montichiari (BS) 1987).