Incursione nel regno della bestemmia di Michele Ranchetti ■ George Steiner, Il correttore, Garzanti, Milano 1992, ed. orig. 1992, trad. dall'inglese di Claude Béguin, pp. 104, Lit 18.000. È un libro breve, di andamento narrativo. La storia è semplice, alcuni episodi successivi nella vita difficile di un piccolo gruppo di intellettuali politici nell'ambito della crisi di un movimento o di un partito che cerca di reagire e di sopravvivere, se è possibile, ad un presente sempre più stravolto. Il protagonista è un correttore di bozze, e il titolo originario, intraducibile, Proofs, giocava sulla genericità dell'oggetto, le "prove" di un testo, forse la storia, che si deve correggere. E, tuttavia, un testo "esemplare", come "esemplare" è il racconto, sul modello di Cervantes, e pertanto il lettore cerca di non cedere all'apparente semplicità della narrazione, per trovare modelli e significati, alkrèioni e confronti, tende, forse non sempre a ragione, a contrapporsi ad una vicenda che non è necessariamente sua, così come non sono immediatamente riconducibili a personaggi storici, appena camuffati dalla finzione letteraria, i personaggi principali. In particolare il correttore minacciato di cecità che l'autore ha voluto identificare in Sebastiano Timpanaro che davvero, con questa storia, non ha nulla che fare. L'adozione del modulo narrativo è intelligente, così come è innegabilmente intelligente la scelta dei personaggi, e lo stesso tracciato della vicenda. E forse il suo "uso" corretto, il solo legittimo, è di seguire E racconto per quello che è, una novella esemplare del nostro tempo. Ma si ha una qualche resistenza ad accettare la riduzione narrativa, e a limitarsi a sorridere di qualche coincidenza con la storia individuale. È, direi, almeno per me, quasi impossibile non riconoscere nel breve testo di Steiner, in qualche modo, sia un apologo, sia una provocazione. Naturalmente, per così dire, ad alto livello, che non cede, o solo raramente, agli schemi della fine di una cultura, delle cadute del consenso storico quando sono venuti meno i parametri interpretativi, e così via. La provocazione, secondo me, sta forse solo nel proposito di gettare il sasso e ritirare la mano o almeno di suggerire, senza giustificare o proporre una diversa intelligenza dei fatti narrativi, del resto — e questo è davvero un'invenzione significativa — troppo semplici per non essere intrerpretati. Questo libretto, quindi, che non è certamente un libro a chiave, che vuole semplicemente descrivere un itinerario, provoca appunto interpretazioni diverse, molte delle quali legittime tanto più che il testo può benissimo arrivare alla fine senza conoscerle, in ogni caso trascurandole. Per me, al di là della lettura più immediatamente politica che, penso, risulterà quasi irritante da parte di chi ha vissuto una storia simile senza poterla "correggere", è soprattutto visibile un'intelligenza dei fatti narrati nella filigrana della loro apparente semplicità, di carattere religioso, nel senso dell'uso, consapevole, di un modello religioso o meglio di storia religiosa, che si fa sentire solo mediante l'adozione di certi termini propri del linguaggio religioso. Non credo che sia l'interpretazione giusta, e neppure la sola possibile. Senz'altro ad essa se ne possono affiancare altre, ma è la sola che a me permette di ricavare un senso dalle letture di questo testo che può corrispondere ad un'intenzione. Forse camuffata ma, secondo me, certamente presente. Carlo Michelstaed-ter inviando La persuasione e la retorica all'Istituto di studi superiori di Firenze scriveva, nella lettera di accompagnamento agli uffici, che le cose che lui veniva dicendo le avevano già dette prima di lui Gesù Cristo e i filosofi — ordinando in una serie non gerarchica i grandi pensatori che l'avevano preceduto in una via di riflessione così emozionata e tragica —, ma che, quanto a lui ..." nel migliore dei casi avrà fatto... una tesi di laurea". Era certamente vero, anche se Michelstaedter si uccise pochi giorni dopo. L'ambizione di Steiner Ài adnkronos La terza nota è quasi un corollario della seconda, e pertanto rafforza l'impressione del genere, non vi aggiunge nulla e la si trova nella pagina seguente: "Ogni erratum è una menzogna definitiva" (p. 11). Il capitolo II, di andamento più decisamente narrativo, anche se non mancano gli incisi "moralistici", rivela che il primo capitolo riveste la funzione di prologo, a cui si riconnette, forse, il carattere "utopico", nel senso letterale, della narrazione. brusco delle rotative e il ronzio della retorica sciorinata da voci cittadine cariche di tabacco e insonnia". Bisognerebbe vedere il testo originale che mi immagino meno indulgente. Così, anche qualche "sberleffo" alla retorica di un "allora", che si incomincia a rilevare come un preciso ambito della narrazione (come, ad esempio a p. 18 l'espressione "massoneria della speranza" e, ahimè, lo spettro dell'"ironia amara" che comincia a circolare in queste prime pagine. Nuova ERI edizioni RAI Adnkronos Libri % J&L - LI fili WJ r B m w IwP I 1 li • Aj. HE