Idei libri del mese! marzo 1993 - n. 3, pag. 11 <1 conseguente decisione ad operare. Per questo si sceglie (Steiner sceglie) di ricorrere a un apologo, alla costruzione di personaggi che generano una scena, che provocano una vicenda percorribile e visibile; e per questo era necessario individuare una voce recitante, un protagonista in qualche modo estraneo alla rappresentazione, ovvero partecipe in modo particolare: il correttore di bozze, appunto. Ma tutto questo ha un prezzo. Da una parte la scelta consapevole di non identificarsi con il personaggio (o i personaggi) non provoca alcuna identificazione nel lettore; dall'altra il carattere "verosimile" della narrazione e la "recitazione" del vero impediscono sul nascere qualsiasi giudizio di verità. Ed è dunque con un certo disagio che ci si lascia condurre dalla narrazione cosi "ragionata" al riconosci mento inevitabile delle figure, dei tempi reali mentre, con una certa apprensione, si prevede che incontreremo, oltre ai nomi storici ormai disponibili a qualsiasi uso, i nomi viventi di nostri amici, perché sappiamo che l'uso del genere letterario assolve (cap. IV) l'autore da una responsabilità diretta, storica, iscrivendolo in una neutralità apparente e inviolabile che non può essere contraddetta da alcuna evidenza. In realtà si comincia a pensare che questa ironia non sia autorizzata e che sia da contrapporre ad essa una rozza intransigenza. Anche perrché da questa ironia, da questa orrenda bravura si può trascorrere solo nella tolleranza, non nella comprensione o nel giudizio. Naturalmente, però, Steiner è consapevole del limite del "genere" adottato — e dei personaggi. E allora fa trapelare richiamando in una diversa gravità gli accenni moralistici già apparsi fra le righe narrative e che allora sembravano quasi stonati — una controstoria. La introduce anche questa per accenni, anzi per assonanze, soprattutto con la storia cristiana nelle sue fasi acute; il Golgota, ad esempio a p. 44, e col carattere immediatamente predicatorio delle parole di un personaggio al Padre Carlo di cui non è detto chiaramente se spretato o no — anche questa un'astuzia abile ma forse non necessaria. Ma l'artificio non regge se subito il testo ricade nella consueta — e storica — comparazione fra socialismo e cristianesimo: "Sai che cos'è il socialismo, Reverendo?.... E impazienza... Ecco che cos'è il socialismo. Una forma dell'adesso" dice il correttore. E naturalmente il Padre Carlo non può non ribadire che "così era nel primo cristianesimo" (p. 46). Come se solo il confronto con il cristianesimo primitivo potesse condurre a una certa comprensione del comportamento di questi dissidenti, come se il meccanismo per cui dalla purezza originaria si perviene "necessariamente" alla corruzione nel passaggio parallelo dalla libertà anarchica all'istituzione oppressiva, fosse l'unica spiegazione possibile della storia e non piuttosto il segno di una deficienza categoriale e inventiva, o la metafora del nesso fra inconscio e conscio. L'impazienza caratterizzerebbe i primi cristiani e i socialisti. E la giustizia? E la verità? E la fine del mondo nelle lettere ai Tessalonicesi — sull'avvento del Regno rinviato al presente di un'attesa metastorica? Ecco di nuovo profezia e promessa come categorie del pensiero di Marx e, si sospetta, più vere e fondamentali di quella "economicistica", e dunque il solito ricondurre Marx alle sue origini ebraiche — e al "tradizionale" rovesciamento dell'Elezione — che, si potrebbe dire, colpisce i disgraziati, i perdenti eòe., la serie rovesciata delle gerarchie. E naturalmente una diversa estensione (o idea) del messianismo. Sono, in un certo senso, prove che non presuppongono un disegno preciso. Diversamente dalle tesi sul significato della storia di Walter Benjamin, che tuttavia in qualche modo appaiono presenti. Qui tuttavia prevale, o meglio finisce per prevalere, rispetto a un progetto conoscitivo, la struttura di un ricatto fra due meccanismi (quello religioso, ebraico cristiano e quello marxista) che si imputano a vicenda, nell'imminenza della fine e ormai nella certezza di nessun avvento, di non essere riusciti a nulla. L'America, tuttavia.... dice Carlo, ed è curioso che sia il religioso a proporre come modello il non religioso, ripetendo quindi, inconsciamente, il presupposto che vi è una sola religione vera, un carattere dell'intuizione originaria della figura del correttore di bozze {proofs, prove, e qui la parola inglese manca e la parola corrispondente italiana è insufficiente). Il comunismo significa togliere gli errata della storia: ma l'intuizione, proprio nel suo momento più alto di intervento si rivela, anch'essa, come la parola italiana, insufficiente. La correzione di un testo presuppone un testo, cioè un disegno originale. Oppure senza un testo originale (ricordiamoci le religioni del testo) si rimane senza lavoro. E quasi a corrispondere a questa diagnosi, interviene il capitolo successivo: la visita medica e la diagnosi di malattia grave agli occhi, e la previsione di un abbandono necessa- che interviene in prima persona, a introdurre quello che, secondo me, è il vero tema del libro di cui tutto il resto è solo una variante di copertura. E la rottura per così dire di un contesto, non solo narrativo, ma storico-politico, l'incursione in un regno che, per mantenere il linguaggio religioso, si potrebbe definire della bestemmia: "Giocava con le sillabe lapidarie, sostituendo vocali, invertendo le lettere con effetti oscuri degni di un cesso di adolescente". Dà a una coppia di passaggio che gli chiede come andare al Museo della Resistenza, "subito, con grande loquacità, indicazioni fuorvianti. Capì, mentre si accomiatavano con gratitudine, che erano ebrei, molto probabilmente All'4'Indice", sognando la California di Franco Marenco "La Stampa" di sabato 16 gennaio riportava una dichiarazione di George Steiner, nella quale l'illustre studioso si definiva "stupito e affascinato" per il silenzio cui "l'Unità" sembrava voler condannare il suo romanzo; e aggiungeva di attendersi una recensione dell'"Ìndice", perché "quello è marxismo serio, interessante". Provo a immaginare le reazioni dei singoli, in una redazione così numerosa e così varia come la nostra, nel sentirsi dare del o della marxista: orgoglio, indignazione, panico, divertimento... A ciascuno il suo, anche se ciò non interessa a Steiner, che è uno cui piace lavorare sui tipi, anzi sugli archetipi — quando non sugli stereotipi — e pazienza se qualche asperità viene livellata, se qualche diversità viene uniformata... E mi chiedo: ci conosce davvero George Steiner, ci legge? E conosce davvero l'Italia in cui ambienta il suo apologo sulla fine del marxismo? O non compie, in un caso come nell'altro, delle approssimazioni un tantino disinvolte? Quanto all'Italia: com'è che Steiner ha cercato proprio qui i simboli di una disfatta che in altre parti del mondo ha proporzioni ben maggiori, e ben più romanzesche? Forse perché nostrana è la figura assunta a emblema del romanzo — e non sembra che Sebastiano Timpanaro sia rimasto proprio entusiasta di quest'elezione — per una vita passata sotto la doppia insegna del rigore professionale e del rigore politico? Ma la Cecoslovacchia, per dire, non aveva seri correttori di bozze da proporre? O la Ddr, sempre per dire, degli eccellenti disquisìtori sul progresso? No: Steiner voleva chiudere i dialoghi dei massimi sistemi che si erano aperti all'indomani del primo conflitto mondiale fra Naphta e Settembrini, e per questo aveva bisogno di una nuova Montagna Incantata, difficile da trovare nell'Europa postmoderna. Ma poi, pensandoci bene, quale migliore Montagna Incantata dell'ex sinistra marxista italiana, così lontana dai compromessi, così limpida nella dialettica e ineffettuale nella pratica? Ecco allora l'antica coppia manniana ripresentarsi sotto le spoglie di Carlo il prete e del "Professore"-correttore: meglio di ogni altro eu- ropeo, l'intellettuale italiano è esposto allo stereotipo del teorico astratto, miracolosamente risparmiato dalle grandi tensioni della storia, e che tuttavia le conosce teoricamente tutte, e ne discorre imperterrito. Solo che i discorsi di Naphta e Settembrini presiedevano al cambiamento e al trapasso, mentre il Prete e il Professore stanno lì a chiacchierare su ciò che rimane da seppellire e basta, e c'è una bella differenza. Forse, se le reazioni al libro sono state lente, è anche perché i necrofori non suscitano una grande simpatia. Quanto a noi: la prima caratteristica che il romanzo di Steiner attribuisce al marxismo è quella di essere — o meglio diremo, per non farci accusare dì imperdonabile anacronismo, di essere stato — "impaziente". Benedetta innocenza. Provi George Steiner a chiedere a qualche editore nostrano quanto impaziente, quanto precipitoso sia "L'Indice" nel dare conto delle vicende della cultura italiana, e saprà la triste verità, di quanto poco slancio progressista sia rimasto, malgrado tutto, nelle nostre vene. E ancora: quel destino che Steiner emblematicamente attribuisce al suo Professore, che per stare così attento agli errori sìa della stampa, sia della storia, alla fine ci rimette gli occhi — quel destino lì, che a noi professori sembra tanto un crudo contrappasso, neanche quello può andarci a genio, se proprio dobbiamo considerarci marxisti, e per di più interessanti agli occhi di un così aquilino osservatore. Usuo interesse ci pare quello di chi ha bisogno di vìttime sempre fresche da immolare sull'altare del Mercato, che difatti entra pur esso nel disegno ideologico del romanzo, come unica alternativa alla diuturna, impossibile correzione di tutti gli errori: "Se trionfa la California, non serviranno più i correttori di bozze" dice disperato il Professore. Noi invece saremo dei voltagabbana ma diciamo meglio la California che la morte; così ci risparmiamo almeno il lavoro delle bozze, e riusciamo anche a recensire, con marxistica impazienza, ì Grandi Libri come II correttore. Dal canto suo, Steiner non sembra voler nulla di meglio, né nulla di più. quella cristiana e che il suo contrario non è la religione marxista ma la non religione. Anche la difesa della differenza è tradizionale: da una parte la Verità, dall'altra la giustizia costruita senza alcuna premessa negativa sulla base dell'uomo non pregiudicato dal peccato originale — e dalla corrispettiva salvezza finale. Da una parte la speranza, dall'altra una strana virtù: la perspicacia. Ma i due controversisti finiscono per scambiarsi le parti nel corso del dibattito perché devono riconoscere la comune appartenenza, mentre l'America non ha "valori", non ha, si potrebbe dire, resurrezione. Ma la disputa si conclude, almeno temporaneamente, con la ripresa di rio della professione — già minacciata dal ragionamento. La teoria si riconosce vera nella realtà: il personaggio può continuare la sua storia privata che, adesso sappiamo, è una storia vera. Il capitoletto che segue è una sorta di glossa. Il protagonista è in malattia ma deve, in qualche modo ribadire la sua verità: tutto dipende da un errore di trascrizione, dice la cabala: da quell'errate?» deriva ogni errore successivo. E questo viene detto ad un nuovo correttore, senza scrupoli, che lo chiama "rabbino". Ma prima, a p. 75, la bravura di Steiner si è lacerata per poche righe, in cui il protagonista non è più il correttore di bozze, ma lo stesso autore segno di commiato) la ripresa del gesto nel "giusto" segno di promessa e di terrore, mi sembrano appartenere solo alla vicenda narrativa che deve rispettare il proprio svolgersi, previsto sin dall'inizio. Un viaggio a Roma, ormai solo intravista nella realtà e rivista nel ricordo introduce il tema della memoria. Una lapide deturpata da ignoti, probabilmente neofascisti o monarchici (?) consente di ricordare la pratica del rito ebraico del kaddish: "il rifiuto di dimenticare, di permettere alla mente di avere l'ultima parola in vite che dovevano continuare a vivere" (p. 71). L'evidenza della violazione introduce la violenza del giudizio su un'altra "attuale" violazione della memoria, e, più, della storia: "il mutamento del nome del Partito, uno sputare sui morti; il Partito (lo stesso Partito) che piscia sulla storia" (p. 92). Ma anche questa violenza si dissolve nella brevissima storia che ne deriva: l'incontro, la confidenza, la congiunzione dei corpi e degli astri nel pronostico realizzato privato e politico (il ritorno del Partito Comunista alla fama e al potere), il ridivenire estranei. La conclusione è coerente: l'iscrizione al Partito Comunista impossibile perché il Partito non c'è più, diventa l'iscrizione al Partito Democratico della Sinistra che forse sarà fondato. E ancora presto per dirlo. Ma non è presto per riconoscere i germogli della vecchia fede. >orla! israeliani venuti a onorare la memoria del passato. Un disgusto paralizzante lo invase. Verso se stesso, ma anche versò gli innocenti. Come se fosse davvero l'inflessibile cordoglio degli ebrei, la loro incapacità di lasciar perdere, ad aver portato il mondo politico e ideologico al caos attuale". Il racconto riprende senza apparente distacco, ma la grande maledizione è stata lanciata. Vedremo se agirà. La decisione di sciogliere i! gruppo (ma la verità non si può dissolvere), la previsione dell'avvento di un fascismo nella sua forma più cinica, l'ipotesi realistica di una prossima clandestinità, la citazione finale di un altro erratum (il pugno alzato in Via delle Fornaci. 50 00165 ROM A Gérard Bléandonu WILFRED R. BION La vita e l'opera. 1697-1979 pagg. 304 - L. 40.000 David Rosenfeld PSICANALISI E GRUPPI Storia e dialettica pagg. 224 - L. 30.000 C. Brutti R. Parlani (a cura di) QUADERNI DI PSICOTERAPIA INFANTILE nuova serie voi. 25: Sensofialità e pensiero pagg. 320 -L. 40.000 voi. 26: Affido familiare pagg. 224-L. 35.000 Joyce McDougall A FAVORE DI UNA CERTA ANORMALITÀ pagg. 272 - L. 35.000 R.C. Marohn DELINQUENZA D.Dalle-Molle MINORILE E. McCarter pagg. 320 - L. 40.000 D. Linn Verdeau-Pailles Guiraud-Caladou LE TECNICHE PSICOMUSICALI ATTIVE DI GRUPPO e la loro applicazione in psichiatria pagg. 224 - L. 30.000 Emanuele Riverso COSE E PAROLE NELLA TRADUZIONE INTERCULTURALE pagg. 256 - L. 32.000