Religioni Salvatore Caponetto, La Riforma protestante nell'Italia del Cinquecento, Claudiana, Torino 1992, pp. 526, Lit 54.000. Perché la Riforma in Italia fallì? Annosa questione, tornata oggi al centro del dibattito storiografico alla luce di rinnovati studi sia sulla diffusione dell'erasmismo e del protestantesimo anche in Italia sia sui limiti intrinseci dell'idea di Riforma cattolica, cara a H. Jedin e alla sua scuola. L'autore ricostruisce, nella prima parte, la "vague luthérienne", che colpì anche la penisola dagli anni venti fino alla metà del XVI secolo, soffermandosi, con lodevole esigenza di completezza documentaria anche geografica, non soltanto su episodi e figure ben noti, ma anche minori o sconosciuti, che però ben dimostrano come la Riforma avesse attecchito presso differenti ceti sociali. A partire dal colloquio di Rati-sbona (1541) si assiste però a un'inversione decisiva di tendenza. Nonostante alcuni fenomeni significativi come l'adesione dei valdesi e la diffusione del calvinismo in Piemonte o nell'area del Triveneto, la messa in moto della macchina inquisitoriale, l'avvio del Concilio tridentino e la particolare congiuntura internazionale misero progressivamente in crisi, sino a bloccarlo, il processo di diffusione. L'autore si spfferma in particolare sul caso di Venezia, che in poco tempo perse, sotto la pressione congiunta del potere ecclesiastico e politico, la sua funzione di isola di libertà per i riformati. Amara la con- clusione: i capi della Riforma, da Lutero a Calvino, avevano ben compreso l'importanza strategica dell'appoggio politico per il successo del movimento: "il fallimento del movimento protestante italiano, vasto e simultaneo in tutti gli Stati e le regioni della penisola, ne fu una tragica riprova". Daniele Hervieu-Léger, Franco Garelli, Salvador e Sebastiàn Gi-ner, James A. Beckford, Karl-Fritz Daiber, Miklós Tomka, La religione degli europei, Fondazione Agnelli, Torino 1992, pp. XV-503, Lit 40.000. Atti di un convegno, conclusivo di una serie di ricerche promosse dalla Fondazione Agnelli sulla presenza della religione in Francia, Germania, Gran Bretagna, Italia, Spagna e Ungheria, questo libro, per la qualità delle analisi e la ricchezza della documentazione, costituisce un contributo importante, in sede comparativa, per comprendere meglio l'attuale situazione religiosa in Europa, con una possibilità di confronto con quel mondo religioso dell'est, che si avvia a divenire, nei prossimi anni, nuovo terreno di ricerche e studi. L'ottica scelta non è né la secolarizzazione, ancora dominante negli studi di sociologia della religione, né la privatizzazione, bensì la modernità. Essa, infatti, oltre a comprenderle entrambe, con la sua elasticità e flessibilità permette di rendere meglio conto del nesso tra i processi di riplasmazione di credenze pratiche organizzazioni (per lo più eterogenei, frammentari e variegati a seconda delle situazioni analizzate) e i più generali processi sociali; inoltre, si rivela più adatta a intendere la diffusione in Europa di movimenti non cristiani come l'islam, che sfuggono alla "gabbia d'acciaio" del disincanto weberiano. Due conclusioni colpiscono: l'importanza crescente, a vari livelli, sia del nesso religione-politica sia, presso le minoranze, della religione come fattore di identità collettiva. Più che le credenze, risulta profondamente trasformata la pratica, anche se sembrano resistere le consuetudini relative alla consacrazione religiosa dei riti di passaggio. Paolo Branca, Voci dell'Islam moderno. H pensiero arabo-musulmano fra rinnovamento e tradizione, pre-faz. di Maurice Borrmans, Marietti, Genova 1992, pp. XIII-314, Lit 40.000. A partire da Weber, molto si è scritto e, facile a prevedersi, molto si continuerà a scrivere sui rapporti tra islam e modernità. Ben venga, dunque, una mappa, come quella curata da Branca, utile per orientarsi su un terreno certo battuto, ma accidentato. Si tratta di un'ampia scelta antologica di autori rappresentativi del modernismo islamico, suddivisi in sezioni che rimandano alle fasi principali del rapporto con l'Occidente, vissuto come modello e insieme ostacolo alla realizzazione dell'islam. La prospettiva storica, sorretta dall'idea che si riproporrebbero oggi processi analoghi a quelli che l'islam conobbe nel suo periodo di formazione, permette di cogliere e valutare meglio l'esito, a prima vista paradossale, di una secolarizzazione che, iniziatasi in campi profani come le istituzioni politiche, la lingua, la letteratura, è costretta oggi a cedere il passo a una concezione del cambiamento in termini religiosi. Molteplici le cause di questo ritorno, tra cui il fatto che i vari movimenti riformatori si sono svolti sotto l'egida della salafiyya e cioè di una concezione restauratrice del valore esemplare delle origini, per cui "la gloria delle epoche passate, paragonata alle vicissitudini contemporanee, rafforza l'aspirazione a restaurare l'impalcatura che ha sorretto e ha fatto prosperare l'islam nei secoli passati". La bbona notizzia. Vangelo di Matteo, nella versione romanesca di Alessandro Bausani, Gruppo Editoriale In: sieme, Recco (GE) 1992, pp. 148, Lit 20.000. Si fa oggi un gran parlare di dialetti, di una loro utilità o inutilità dal punto di vista politico, culturale, letterario. E dal punto di vista religioso? Chi, sfuggendo alle trappole del contingente, volesse un delizioso banco di prova, può scegliere come test questa singolare traduzione dialettale, inedito giovanile di quel grande studioso che fu Bausani (islamista morto nel 1988, autore tra l'altro di un libro, come Persia religiosa, che meriterebbe certo una riedizione). A spingere l'autore in quest'im- presa, per sua stessa ammissione, non è l'esigenza — che si ripresénta periodicamente negli studi neotestamentari — di ricuperare, seppur per via analogica, quel supposto sapore dialettale che poteva avere il galileo parlato da Gesù; né un'esigenza — che sta dietro alla riduzione cinematografica pasoliniana — di mediare al "popolo" la buona novella: "il valore di questo libretto vorrebbe essere soprattutto religioso". Bausani scriveva prima della riforma liturgica (né, d'altro canto, gli andava a genio il "tedesco possente" di Lutero): come "denudare", dunque, il testo sacro dei suoi paludamenti e rivestimenti letterari per avvicinarsi alla concretezza dell'originale? L'ombra del Belli (che pure si riButò a siffatta impresa) gli consigliò di tentare la versione in romanesco. Forse il dialettologo storcerà il naso o chi è aduso al Belli faticherà a ritrovarsi nel romanesco di Bausani. Ma l'intento era lodevole e l'operetta consegue certamente lo scopo di indurre a riflettere più di tante sciroppose vite di Gesù. Wayne A. Meeks, I Cristiani dei primi secoli. H mon-I do sociale dell'apostolo Paolo, a cura di Franco Bolgia-| ni, Il Mulino, Bologna 1992, pp. 461, Lit 50.000. "... Pur nei limiti consentiti dalle fonti e dalle nostre I facoltà, dobbiamo cercare di discemere quale fosse il tes-1 suto del vivere in momenti e luoghi particolari. Poi, compito dello storico sociale del Cristianesimo primitivo è quello di tratteggiare la vita del cristiano comune in quell'ambiente e non già quello di illustrare le idee e le perso-[ nali convinzioni dei capi del movimento e degli autori" (p. 30). E con questi problemi e interrogativi, che l'autore I affronta, dal punto di vista — inusuale per questo tipo di studi — dell'interpretazione sociologica, lo studio di un corpus, certo limitato di documenti (le Lettere autentiche di Paolo e gli Atti), ma denso di informazioni sulla vita concreta delle varie chiese, sulla strategia missionaria dei leader cristiani, sui riti e le credenze comuni alle comunità paoline. Per valorizzare al massimo le indicazio- ni frammentarie delle fonti, lo studioso americano le colloca all'interno di un vasto quadro sociale: la vita dei centri urbani dell'area mediterranea, le vie degli scambi commerciali e culturali che diventano altrettante strade di penetrazione e diffusione dei nuovi culti religiosi, i rapporti che all'interno di ogni città intercorrono fra i diversi gruppi etnici, la stratificazione sociale e i fenomeni — limitati — di mobilità, l'associazionismo a carattere religioso o economico, i punti di appoggio dell'evangelizzazione: il quartiere abitato prevalentemente da uno stesso gruppo etnico, ma soprattutto la domus e la complessa rete di relazioni ad essa inerente. L'autore cerca poi di mettere a fuoco i dati sociologici relativi al livello sociale dei cristiani: se una parte della storiografia, influenzata da interessi ideologici, come dalle informazioni provenienti dalla propaganda antica anticristiana, ha accreditato l'idea di un cristianesimo primitivo "proletario", l'analisi della documentazione mette in luce una stratificazione sociale più complessa, che riflette in pratica quella del contesto cittadino, con una presenza accentuata di artigiani indipendenti e addetti al piccolo commercio. Nei capitoli successivi l'analisi penetra più in profondità nella vita intema delle comunità. Ne studia i meccanismi di autodefinizione, di demarcazione ma anche di permeabilità verso l'esterno; la struttura del potere e dell'autorità, l'incidenza sociale dei riti, come delle convinzioni dottrinali del cristiano comune. Facendo tesoro sia delle ricerche di storia sociale dei fenomeni religiosi caratterizzanti la "Chicago School" sia dell'esperienza tedesca che trova ' in Gerd Theissen la figura di maggior spicco, la sintesi di Meeks conserva intatte, a dieci anni di distanza dalla sua prima fortunata apparizione, la novità e l'importanza: è un vero peccato che l'edizione italiana e, in particolare, la densa introduzione di Bolgiani, siano funestate da troppi errori di stampa. Adele Monaci Castagno Pierre Crépon, Le religioni e la guerra, Il Melangolo, Genova 1992, pp. 267, Lit 28.000. Quanti sono oggi i luoghi del mondo in cui violenza e guerra si nutrono di temi e spunti religiosi? Intreccio disdicevole, quello tra religione e guerra, tra religione e violenza collettiva, ma intreccio di lunga data, ritornato oggi di tragica attualità per l'esplodere di situazioni di tensione e conflitto etnici, in cui la religione recita una parte importante. Presentare le principali variazioni storiche di quest'intreccio è il compito che si propone Crépon, attento però a mettere in luce, oltre le radici ideologiche della "guerra santa" dell'Israele antico e della sua variante islamica o della "guerra giusta" cristiana (ma il nesso è indagato, oltre che nelle società tradizionali, anche in quelle antiche), anche la reazione pacifista, che caratterizza altre tradizioni religiose, in particolare il buddhismo. Peccato che in genere il libro non affronti di petto il problema di fondo, quello dell'intreccio tra religione e politica, risolvendosi in un racconto di fatti e, soprattutto, misfatti, che però aiutano poco all'intelligenza dell'oggi. Comunque, un libro da cui conviene partire per affrontare un nodo irrisolto: quello del nesso tra violenza e sacro. Salvatore Pricoco, Monaci, filosofi e santi. Saggi di storia della cultura tardo-antica, Rubbettino, Soveria Mannelli - Messina 1992, pp. 395, Lit 35.000. Il tema di fondo, che unisce i vari saggi, è la messa in luce della realtà peculiare del monachesimo occidentale. Esso trae le sue origini dalle molteplici suggestioni e mediazioni (Gerolamo in primo luogo), che provengono tra IV e V secolo dalle forme di anacoresi e di cenobitismo orientali, per rielaborarle però secondo stili e regole destinati a improntare di sé la civiltà medievale. Nella ricchezza di articolazioni e nella plurali- tà di forme, che questo processo di rielaborazione conobbe, l'attenzione dell'autore si concentra in particolare su personalità come Onorato, Eu-cherio, Gennadio, Salviano, che hanno trovato nell'"isola dei santi", Lerino, il luogo utopico per realizzare il loro ideale monastico. Un ideale, come emerge dalle fini e penetranti analisi in particolare delle opere di Eucherio di Lione, lontano sia dagli exploits taumaturgici e mirabolanti dei monaci orientali che, sulle orme di Antonio, compivano i loro raids spirituali nel deserto in vista della sfida con Satana, sia dalle forme di ostentazione di virtù ascetiche, che si spingevano fino agli eccessi degli stiliti. La vita del monaco, praticata e predicata da Eucherio, è una conquista della libertà conseguita nel silenzio della propria interiorità, in modo nascosto e umile, priva di quell'ostentazione, che doveva caratterizzare altri modelli del santo-monaco occidentale. Pagina a cura di Giovanni Filoramo 1/93 In questo numero, fra gli altri articoli: Dove va la Germania? Rispondono: Wolf Lepenies, Kurt Biedenkopf, Thomas Schmid, Klaus Hartung, Dan Diner Il corpo umano come merce Un saggio di Giovanni Berlinguer e Volnei Garrafa Somalia, le colpe delVItalia Un'analisi di Pietro Petrucci Diario europeo Ralf Dahrendorf