■ dei libri del mese DICEMBRE 1993 - N. 11, PAG. ól E Ma insomma, la psicoanalisi è scientifica? di Michele Marsonet Adolf Grunbaum, Validation in the Clinical Theory of Psychoanalysis: A Study in the Philosophy of Psycho- analysis, International University Press, Madison (Conn.), 1993, pp. XV-417. Adolf Grunbaum è senza dubbio il maggior epistemologo della psicoana- lisi contemporaneo, e le sue tesi ven- gono frequentemente discusse non soltanto dai filosofi della scienza, ma anche dagli stessi psicoanalisti. Questo libro rappresenta la naturale continuazione del suo lavoro I fonda- menti della psicoanalisi il quale, dopo la pubblicazione avvenuta nel 1984 (trad. it. Il Saggiatore, 1988, recensito su "L'Indice", dicembre 1988), ha aperto una nuova fase nel dibattito sulla scientificità di questa disciplina. Come osserva Philip Holzman nella sua introduzione al volume, il conte- nuto delle opere di Freud è stato qua- si sempre considerato dagli psicoanali- sti alla stregua di una "dottrina rice- vuta", del tutto immune a un esame critico come quello condotto da Grunbaum nei suoi scritti. In questo nuovo libro Griinbaum prende in considerazione alcuni temi che non aveva affrontato nel precedente, oltre ad approfondirne altri che già costi- tuivano oggetto del suo studio ne I fondamenti della psicoanalisi. In parti- colare, egli espone le conclusioni ori- ginali cui è pervenuto in questi ultimi anni circa argomenti quali l'importan- za del concetto di "placebo" sia in psicoterapia che nell'intera storia della medicina (cap. 3), la teoria psicoanali- tica del transfert (cap. 4), l'insufficien- za dell'osservazione clinica quando venga assunta quale criterio probato- rio ai fini della teoria e della terapia psicoanalitiche (cap. 5), il fondamen- tale tema dei rapporti tra psicoanalisi e credenze religiose di tipo teistico (cap. 7), e la teoria freudiana dei sogni (cap. 10). Tra gli argomenti di cui vie- ne invece offerto un approfondimento citiamo, infine, le ulteriori critiche ri- volte al criterio popperiano di demar- cazione tra scienza e pseudoscienza (cap. 2). La maggiore domanda che Griin- baum si pone è di carattere epistemo- logico: è possibile attribuire alla psi- coanalisi lo stesso tipo di supporto probatorio che si richiede a qualsiasi disciplina per considerarla scientifica? Come è noto, la risposta di Karl Popper è decisamente negativa. In un famoso saggio del 1953, infatti, egli di- chiarò che la psicoanalisi è una pseu- doscienza perché non risulta falsifica- bile. È comunque interessante notare che proprio la psicoanalisi, assieme ai marxismo, indusse Popper ad affer- mare che la falsificabilità è il criterio per valutare il grado di scientificità di qualsiasi disciplina. Griinbaum mette in dubbio, tra l'altro, le ragioni di queta affermazione popperiana. Egli infatti dimostra che la falsificabilità, pur essendo una nozione importante dal punto di vista epistemologico, non può costituire l'unico criterio per de- marcare i confini tra scienza e pseudo- scienza. Il metodo induttivo — che Popper rifiuta nettamente — offre (quando è empiricamente ben fonda- to) un principio di demarcazione che non può essere facilmente contestato. E questa tesi riveste in effetti un'im- portanza cruciale nell'attacco che Grunbaum porta alla critica popperia- na della psicoanalisi; egli infatti am- mette che tale disciplina non è scienti- ficamente ben fondata, ma per motivi ben diversi da quelli addotti da Popper. Non è tanto la non-falsifica- bilità a minacciare la teoria freudiana, quanto il fatto che essa non soddisfa dei criteri accettabili di credibilità in- duttiva. Grunbaum argomenta pure che l'errore di Popper è facilmente ac- cettabile qualora si leggano con accu- ratezza le opere dello stesso Freud il quale, in più di un'occasione, si disse disposto ad accettare l'eventualità che le sue tesi potessero venir falsificate. La crescente popolarità delle idee popperiane negli ultimi decenni ha ovviamente reso difficile la diffusione delle critiche di Griinbaum, il cui la- voro risulta di conseguenza ancor più meritorio in quanto è stato condotto, per così dire, nuotando controcorren- te. In particolare, Griinbaum dimo- stra che Popper è in errore quando af- ferma che la psicoanalisi non possiede falsificatori potenziali. Si può notare, infatti, che se fosse vero — come Popper afferma — che la psicoanalisi è compatibile con qualsiasi tipo di comportamento umano, allora do- vremmo logicamente concludere che essa non può spiegare ogni tipo di comportamento. L'epistemologo an- glo-austriaco trae dall'antecedente del condizionale di cui sopra proprio la conseguenza fallace secondo cui la psicoanalisi è in grado, in linea di principio, di spiegare qualsiasi com- portamento. Tuttavia — Griinbaum nota — "spiegare deduttivamente equivale ad escludere: come ha sotto- lineato Spinoza, asserire p significa ne- gare ogni affermazione che sia con es- so incompatibile". Tanto nella scienza naturale quanto in psicoanalisi, abbia- mo bisogno non soltanto di leggi, ma anche di condizioni iniziali. Pertanto, se davvero nessun comportamento potenziale fosse in grado di falsificare la teoria psicoanalitica dato un certo insieme I di condizioni iniziali, allora la teoria T più I non potrebbe spiega- re deduttivamente alcun tipo di com- portamento. Eppure Popper afferma che, se la teoria T non risultasse falsifi- cabile, essa potrebbe spiegare ogni ti- po di comportamento possibile. In realtà, continua Griinbaum, l'in- tera teoria popperiana della demarca- zione tra scienza e pseudoscienza ha subito un processo di "degenerazio- ne". Egli fornisce, a questo proposito, alcuni esempi di falsificatori potenziali per la psicoanalisi e, in questa sede, mi limito a citarne uno. Secondo la teoria freudiana, i desideri omosessuali re- pressi costituiscono la base eziologica della paranoia. Che accade, dunque, se qualcuno individua un soggetto pa- ranoico che dichiara apertamente e pratica la propria omosessualità? L'autore del volume cita, a questo proposito, un articolo di Freud risa- lente al 1915, nel quale il padre della psicoanalisi riconosce che il caso pre- so in considerazione nell'articolo stes- so costituisce — almeno potenzial- mente — un esempio di invalidazione della sua ipotesi. Tutto ciò è ovvia- mente importante, in quanto significa che: 1) la spiegazione psicoanalitica della paranoia è empiricamente falsifi- cabile; 2) Freud era disposto a ricono- scere questo fatto. Griinbaum afferma che l'errore di Popper è dovuto alla sua scarsa conoscenza della disciplina; si tratta indubbiamente di un'accusa grave, ma l'autore dei libro è in grado di documentarla. Egli dimostra infatti che soltanto nel 1980, grazie a William Bartley, Popper venne a co- noscenza dell'articolo freudiano del 1915 sulla paranoia, il che dimostra al- meno due cose. In primo luogo la scrupolosità di Griinbaum nel risalire direttamente alle fonti e, in secondo luogo, il fatto che, per condurre un'adeguata analisi epistemologica di qualsiasi disciplina, occorre averne un'adeguata conoscenza. Prendiamo ora in considerazione una componente chiave delle argo- mentazioni di Griinbaum: la sua dife- sa dell'induzione in quanto strumento prezioso e indispensabile tanto nella pratica scientifica quanto nell'analisi epistemologica delle varie scienze, e la parallela accusa, rivolta a Popper, di aver fornito dell'induzione una versio- ne "caricaturale". L'autore adotta una visione neobaconiana e ben supporta- ta empiricamente del metodo indutti- vo, la quale consente di verificare la credibilità delle teorie. Utilizzando questo particolare tipo di metodologia induttiva, Griinbaum dimostra che la psicoanalisi non riesce a soddisfare proprio quei criteri di scientificità che lo stesso Freud aveva fissato per la sua teoria, pur senza negare il fatto che es-, sa può offrirci una migliore compren- sione della dimensione inconscia della vita umana. La maggior parte delle ipotesi che reggono l'edificio teorico freudiano ha infatti carattere causale. E, come Grunbaum dimostra, tali ipo- tesi, riguardanti tanto la teoria quanto la pratica terapeutica della psicoanali- si, non soddisfano i requisiti induttivi di conferma già individuati da Bacone e John Stuart Mill. Concludiamo prendendo in consi- derazione quanto affermano gli espo- nenti della tradizione ermeneutica a proposito della psicoanalisi. Essi — e in particolare Habermas e Ricoeur — accusano Freud di essersi lasciato ten- tare dallo scientismo imperante negli anni a cavallo tra Ottocento e Nove- cento, puntando soprattutto il dito sul suo programma di spiegazione causale. Gli ermeneutici, in sostanza, affermano che Freud fu soggetto a una sorta di "auto-malinteso scienti- stico". Tuttavia — nota Grunbaum — se gli ermeneutici avessero ragione e se, ad esempio, il criterio di scientifi- cità per la teoria freudiana dovesse es- sere trasferito dalla teoria clinica della personalità alla metapsicologia, il cuo- re stesso della psicoanalisi dovrebbe essere abbandonato, dal momento che la teoria della repressione è piena di ipotesi causali. E a quel punto la psi- coanalisi diventerebbe qualcosa di ben difficilmente definibile. Sarebbe insomma equiparabile, più che a una scienza, a un buon esempio di lavoro letterario, e ciò in palese contraddizio- ne con quanto lo stesso Freud sostie- ne. E importante rilevare che l'ap- proccio di Grunbaum pone una sfida non soltanto a Popper, ma anche ad alcune tesi della filosofia della scienza postempirista. È noto che un pensato- re oggi assai popolare come Paul Feyerabend ha affermato, specialmen- te nei suoi ultimi lavori, che non esiste in linea di principio alcuna significati- va differenza tra la scienza da un lato, e l'arte, la magia o la stregoneria dall'altro. Al che si può legittimamen- te obiettare che non v'è alcun motivo di considerare le idee dell'ultimo Feyerabend come appartenenti all'epi- stemologia. Mi sembra che il lavoro di Griinbaum costituisca tanto un'ade- guata risposta a questo tipo di approc- cio che oggi è di moda, quanto un'ot- tima difesa della razionalità scientifica e umana in generale. Nelle riunioni di redazione, di fronte a un libro problematico, difficile da sondare, aperto oltre gii orizzonti consueti, non era- vamo pochi a dire: questo è per Ludovica, lo riserviamo a lei. Ludovica Koch, spentasi in questi giorni a Copenhagen, lascia in noi e in tanti altri periodici di cultura il vuoto di una coscienza alta della letteratura, di un mestie- re conosciuto nei suoi segreti più riposti, e praticato al diapason dell'intelligenza critica. Filologa, saggista e traduttrice raffinata, Ludovica aveva il dono di un'intuizione estremamente duttile, che le consentiva di appropriarsi di testi molto lontani tra loro, e di farli suoi interamente, a livello del più esi- gente specialismo, mantenendo intatta la ri- conoscibilissima cifra della sua personale sensibilità. Le sue passioni erano numerose, dagli scaldi a Edgar Allan Poe, dalla saga nordica alla lirica romantica in lingua tede- sca e inglese, al teatro di August Strindberg, al romanzo contemporaneo, e tutte dava l'impressione di abbracciare in assoluta li- bertà di scelte e di atteggiamenti, eppure con totale dedizione. In lei, in ciascun suo scritto, e devo dire in ciascun suo atto, dalla passeggiata in compagnia alla lettera, alla conversazione telefonica, trionfava il suo to- no, il tono sempre più raro, sempre più uni- co dell'eleganza. Franco Marenco In nome del padre di Angelo Di Carlo Elisabeth Young-Bruehl, Anna Freud, una biografia, Bompiani, Milano 1992, ed. orig. 1988; trad.dall'inglese Marco Balenci, pp. IX-471, Lit 38.000. Leggere questa biografia di Anna Freud signifi- ca leggere un lungo capitolo di storia della psicoa- nalisi con i conflitti, le vicissitudini affettive, i travagliati sviluppi scientifici che attraversarono la vita e il lavoro dei pionieri della psicoanalisi, significa anche ripercorrere, sia pure indiretta- mente, un periodo della storia d'Europa. La vita di Anna Freud inizia nel 1895 e termi- na nel 1982. Tra queste due date c'è l'esperienza di due terribili guerre, la persecuzione nazista che costringe Sigmund Freud e la sua famiglia a emi- grare nel 1938 in Inghilterra, la morte di Freud in esilio e il successivo radicamento di Anna nella nuova patria inglese, cui segue un difficile perio- do (che coincide con la guerra e l'immediato do- poguerra) di lacerazione e scontri con il nascente gruppo kleiniano all'interno della società psicoa- nalitica britannica. Ma una biografia è fatta an- che di vicissitudini interiori, che sono di grande importanza quando la narrazione riguarda una persona come Anna Freud che alla comprensione del mondo interno ha dedicato la vita. La vita af- fettiva e l'identità profonda di Anna Freud sono segnate dalla relazione con il padre che fu, oltre che il padre, anche l'analista di Anna. La storia dell'analisi di Anna con il padre Sigmund occupa un intero capitolo della biografia ed è stata rico- struita attraverso due scritti, uno del 1919, di Freud, Un bambino viene picchiato e l'altro che è il primo lavoro scientifico di Anna Freud, Fantasie di percosse e sogni a occhi aperti, in cui in modo abbastanza evidente Anna, presen- tando apparentemente il caso di una sua paziente, in realtà parla di se stessa. Al termine del suo cammino analitico, di cui non restano appunti o notizie dirette nell'opera di Freud, ma solo ciò che si può ricavare da questi due scritti, l'identità affettiva e professionale di Anna è segnata da un ascetico legame con il padre e con la psicoanalisi. Per il resto della sua vita Anna visse infatti della cura e della dedizione al padre, che assistette du- rante la lunga malattia e le molte operazioni di cancro che ne tormentarono la vecchiaia. Da un punto di vista intellettuale, come psicoanalista, Anna fu la fedele custode del pensiero psicoanali- tico in una identificazione profonda con il pensie- ro paterno che l'accompagnò tutta la vita. La biografia della Young-Bruehl non racconta solo della vita di Anna, anche se ad essa e ai suoi vissuti affettivi si dà un grosso spazio, ma ci in- troduce anche alla lettura dei contributi teorici e clinici, alle esperienze terapeutiche con i bambini durante e dopo la seconda guerra mondiale, al confronto-scontro con Melanie Klein sino alla na- scita, in questo contesto, dell'analisi infantile. Ma la biografia è anche la storia minuziosa dei molti rapporti, del lavoro organizzativo, delle amicizie e delle inimicizie di Anna all'interno delle istitu- zioni psicoanalitiche, sulla scena psicoanalitica in- ternazionale. Dicevo che la storia di queste espe- rienze è minuziosa, vorrei aggiungere che talora è anche troppo minuziosa e rischia di stancare il lettore per quel suo eccessivo accumulare eventi esterni sottraendo spazio alla storia di vita, alla biografia interiore di una persona così emozional- mente ricca e profonda. Al di là di simili osserva- zioni su una certa fatica che si fa a leggere questo libro, vorrei concludere con un'immagine che vie- ne dagli ultimi giorni di Anna Freud, un'immagi- ne commovente e molto rivelatrice sul senso di questa vita. Negli ultimi giorni della sua esisten- za, quando era ormai molto vecchia e molto am- malata, Anna veniva condotta su una sedia a ro- telle, lungo i sentieri della Hampstead Health, vi- cino a un piccolo lago dove poteva osservare i bambini giocare; un giorno, era d'estate, il tempo d'improvviso rinfrescò: "facendo grandi sforzi per articolare le parole — racconta la Young-Bruehl — Anna Freud chiese a Manna Lriedman di fer- marsi lungo il percorso per l'ospedale, al 20 di Maresfield Gardens: avrebbe trovato appeso nella camera dell' armadio di Anna Freud il Lodenmantel del Professore che ritualmente era stato pulito e rimesso a nuovo ogni anno dalla fi- ne della guerra. Poi quando andarono nel parco, la Kinderfrau e Anna Freud, quest'ultima, rat- trappita alle dimensioni di una scolara, stava nel- la sedia a rotelle avvolta nel grande cappotto di lana di suo padre". È questa l'ultima suggestiva immagine con cui la Young-Bruehl si congeda dal lettore, un'immagine non casuale che sintetizza una storia di vita con la sua lunga e appassionata devozione a una persona e a un'idea.