— 42 — gricoltura inglese è la diminuzione del numero degli acri coltivati a grano e la notoria insufficienza del suolo inglese a soddisfare ai bisogni di più di più di un quarto dell'anno della popolazione britannica. Ed io non so le quante volte fu risposto e sarà ripetuto in avvenire che la diminuzione degli acri coltivati a grano non vuole affatto dire rovina dell'agricoltura, ma può essere benissimo l'indice di un grande e notevolissimo progresso di quella medesima agricoltura. In Italia non credo, per quanto se ne sa ed è assai poco, che la superficie coltivata a frumento sia molto progredita dopo l'avvento del prote- zionismo; od almeno pare che essa si sia ristretta nelle regioni piane, cedendo il posto all'allevamento del bestiame ed allargata nelle regioni collinose e mon- tane a spese dei pascoli e dei boschi; e tutti sono d'accordo nel ritenere che quella restrizione sia stata un benefìcio e quell'allargamento un malanno. Così è probabilissimo che in Inghilterra la restrizione delle terre a grano sia stato un beneficio e che la terra frutti più di prima, in grano sugli ettari adatti, in cui quella cultura si è conservata, ed in pascoli dove si è creduto opportuno sostituire il pascolo al grano. La differenza fra il fine a cui tende l'agricoltura inglese e quella a cui il protezionismo spinge — per fortuna la spinta sua è contrastata da forze potenti che le impediscono di fare tutto il male di cui sarebbe capace — l'agricoltura italiana è questa che, nel passaggio dal periodo A al C, il pro- tezionismo tende a perpetuare la cerealicoltura ed i vecchi metodi agricoli, mentre il libero scambio ha costretto i paesi, privi di un tranquillo ponte di passaggio, a cercare nuove vie di progresso, diverse dalle antiche e più adatte alle condizioni mutate del mercato mondiale. I protezionisti hanno in Italia la grottesca persuasione che fuori della cerealicoltura non ci sia salvezza, e l'altra persuasione, ancor più grottesca, che i liberisti debbano insegnare essi agli agricoltori che cosa sostituire alla cultura a grano che, dicono essi, sarebbe rovinata dal libero scambio. E vero che gli agricoltori accolgono volontieri il consiglio dei protezionisti di segui- tare a coltivare grano, anche laddove la sua cultura è disadatta, perchè è comodo non affannarsi a cercare nuove vie, ed è comodissimo non passare attra- verso a nessuna crisi. Epperciò essi si uniscono al coro delle oche protezioniste e schiamazzano contro ai liberisti : fuori i nomi ! fuori le culture che dovremo intraprendere invece di quella a grano! fuori la dimostrazione lampante che esse saranno più redditizie di quella a grano a prezzi alti! fuori i clienti sicuri che ci compreranno le derrate o le frutta che noi produrremo! fuori questo e fuori quell'altro! Parrebbe che i liberisti debbano essere i distribu- tori della ricchezza e della infingardaggine a tutto il mondo. I liberisti non