VIII Perché Tecnocitv Sembra a questo punto utile spendere qualche pagina per collocare il programma Tecnocity, oltre che i risultati della ricerca di Antonelli, nel di-battito di politica industriale in corso a livello nazionale in merito alla molteplicità di programmi aventi per oggetto la costituzione di Science Parks o comunque di aree forti a caratterizzazione tecnologica di cui con molto entusiasmo si è discusso in Italia in tempi recenti. Sono infatti frequenti e numerose le notizie che annunciano programmi o iniziative di promozione di attività tecnologiche all'interno di aree territoriali ben definite: sono così numerose che il termine Tecnocity, più che nato addirittura inventato all'interno della Fondazione per indicare il triangolo Torino-Ivrea-Novara, viene ormai usato dalla stampa quotidiana per indicare altre iniziative volte al rafforzamento degli insediamenti tecnologici in altre città, ed in altre aree. Questo uso comune del neologismo se da un lato accarezza la nostra vanità, dall'altro lato è un ulteriore elemento di confusione: il dilatarsi del dibattito culturale e politico aumenta infatti la confusione perché si usano sovente gli stessi termini con significati diversi. Oggi, in Italia come in ogni altro paese, nessuno dubita più della necessità di intervenire nel settore tecnologico con iniziative volte a facilitare i processi creativi di nuove tecnologie, la loro circolazione e la loro adozione. I problemi del cambiamento tecnologico vengono comunemente assunti a testimonianza esemplare dell'inadeguatezza del mercato come meccanismo di allocazione delle risorse in attività incerte e rischiose come quel-le attinenti al processo innovativo, e quindi della necessità di interventi correttivi con una politica dell'innovazione e/o con una politica della scienza e della tecnologia. Questo tema è stato ricorrente, nel nostro paese, fin dagli anni sessanta. Era giusto, ed era fondato, lamentare, nell'ambito dei primi convegni IMI-FAST, l'insufficienza delle risorse dedicate alle attività di ricerca e sviluppo, ed in particolare l'insufficienza dell'attività innovativa da parte dello Stato ed in genere della Pubblica Amministrazione. A quell'epoca in effetti tutti gli indicatori classici, che misurano il tenore dell'attività innovativa (tipicamente il rapporto tra spese di ricerca e sviluppo ed il prodotto nazionale lordo), vedevano l'Italia nel contesto inter-nazionale in condizioni di particolare ritardo (le spese di ricerca e sviluppo rappresentavano ancora e soltanto lo 0,6-0,7% del prodotto nazionale lordo). Da quegli anni qualcosa è cambiato: dai dati previsionali relativi al 1984, sembra che si sia arrivati a 8.200 miliardi, che in rapporto al prodotto nazionale lordo, rappresentano ormai 1'1,2-1,3%. Al tempo stesso, i principali partners, gli Stati Uniti, la Francia e la Germania, che negli anni sessanta erano arrivati molto vicini alla soglia del 3%, sono scesi a valori intorno al 2,5%.