forme di lotta più ancora che ai contenuti della vertenza e che l'aveva indotta a licenziare 6 lavoratori per rappresaglia contro il blocco dello stabilimento. Evidentemente la Nebiolo intendeva portare la trattativa in sede ministeriale fin dall'inizio, presumendo di ottenere maggiori vantaggi finanziari. Rifiuta quindi la mediazione della Regione (ma anche della Prefettura), ponendo come pregiudiziale l'abbandono della forma di lotta adottata dai lavoratori, quasi che la Regione avesse potere sull'autonomia del sindacato. La trattativa al Ministero del lavoro si conclude con l'accordo tra direzione e Consiglio di fabbrica il 23 dicembre 1975, con cui l'Azienda si impegna a rinunciare ai licenziamenti collettivi fino al 31-10-1976: per la riduzione della manodopera ci si affida al meccanismo degli autolicenziamenti opportunamente incentivati mentre la ristrutturazione aziendale sarà attuata ricorrendo alla cassa integrazione per gruppi di lavoratori a turno. E interessante ricordare la clausola riguardante i 6 licenziamenti per rappresaglia: l'azienda rinuncia ad applicarli, ma i 6 si dovranno autolicenziare e se il 15-6-1976 saranno ancora disoccupati la Nebiolo si impegna a riassumerli 20. Nei mesi successivi per il Consiglio di fabbrica non è agevole controllare l'applicazione dell'accordo, in modo particolare per quel che riguarda i processi di ristrutturazione, essendo mantenuto al-l'oscuro dei piani della direzione e delle caratteristiche dei nuovi finanziamenti dell'IMI che si presume siano stati ottenuti in sede ministeriale. A questo punto diviene interessante e rilevante notare il ruolo che può svolgere la Regione, così come è richiesto dal Consiglio di fabbrica, cioè conoscere i progetti aziendali e i finanziamenti ottenuti; per cui la Regione diviene un mezzo per aggirare l'ostilità della direzione a concedere i diritti di informazione su cui la strategia sindacale si sta muovendo da quegli anni. (Ritorneremo su ciò nel cap. III). L'azienda Saclà di Asti occupa 480 dipendenti e opera nel campo della trasformazione e commercializzazione dei prodotti agri-coli, ed è proprietaria di altri stabilimenti in diverse regioni italiane. Nel luglio del 1975 la direzione annuncia di volere effettuare 220 licenziamenti a seguito del massiccio calo di vendita verificatosi dopo l'ottobre del 1974. Il sindacato afferma la pretestuosità della crisi sostenendo che le vendite in tre anni sono triplicate, la manodopera è rimasta costante e di conseguenza si è ridotta significativamente 52