per l'eccesso di densità, verso la periferia, sempre più lontano, ove esistevano terreni disponibili, provocando diluizione residenziale. Occupando superfici sempre più vaste, ove l'organizzazione urbana e dei servizi pubblici in particolare, sono carenti, saltuari ed inefficaci, creando problemi solo parzialmente risolti, nonostante la buona volontà della Civica Amministrazione. I meno abbienti degli immigrati accettarono di abitare nelle costruzioni più infime dei sobborghi, in costruzioni deteriorate, poi in baracche di legno e latta — costruite da loro oppure lasciate da altri —, ove la laidezza e l'amoralità assunsero forme sbalorditive, nè valsero le provvidenze cittadine filantropiche-sociali, sia pubbliche che private, a sovvenire le innumere necessità. Dal 1951 al 1956, Torino ha registrato oltre 120.000 immigrati, contro gli 80.000 di Genova; i 55.000 di Milano, nello stesso periodo, per portare nuovo contributo immigratorio nei successivi anni, tanto da far salire per Torino, la sua popolazione residente a circa 1.000.000 di abitanti. Oggi Torino è già metropoli, il cui peso nel concerto nazionale non può più essere trascurato e per avere assunto netto carattere industriale, si devono offrire vaste possibilità al suo sviluppo. In pari tempo va posta in evidenza la necessità di dare a larghe masse di lavoratori, le migliori condizioni di vita, in elevate concezioni sociali, culturali e materiali. Se solamente 50 anni fa, l'economia si basava su concetti di ricchezza e di produzione considerate essenzialmente come espressioni di forza e di potenza per ogni singolo paese, oggi — ricchezza e produzione — tendono sempre più a valere dal modo in cui sono utilizzate e distribuite, come possibilità di lavoro e di sviluppo dei consumi, a vantaggio di tutta la collettività a cui si rende sempre più accessibile l'acquisizione. Torino è sempre stata antesignana per lo sviluppo economico-sociale delle maestranze in essa operanti e si può in un certo senso affermare che, sul piano economico del Paese, l'odierna funzione di Torino è paragonabile a quella svolta, nel secolo scorso, sul piano politico. La funzione risorgimentale non si è affievolita, ha mutato volto, oggi è la naturale prosecuzione. Appare evidente che per Torino ogni problema urbanistico, portato a risolvere i vasti problemi originati dalle correnti immigratorie, e non solo da queste, non può essere affrontato, ove non risulti comprensivo di tutti i suoi addentellati economico-morali-sociali-politici. Il lavoro che deve svolgersi per la risoluzione, sia determinante per mantenere, accrescere e creare rapporti sempre più intimi con i comuni contermini, tra i quali taluni di importanza non lieve per la popolazione già esistente. 110