ÿþrimentazione di modelli di conduzione del territorio e di buon uso delle risorse". Fatto importante, e fortemente innovativo rispetto alle vecchie concezioni, è stato il riconoscimento dell'insostituibile ruolo delle popolazioni locali: sarebbe infatti penalizzante sia per esse che per il parco non coinvolgerle, o distaccare le aree protette dal contesto territoriale e socio-economico locale. La semplice tutela rigorosa viene a ledere interessi locali sui quali sarebbe semplicistico sorvolare. In-dubbiamente, tali interessi potranno anche non collimare con l'uso corretto del territorio, e si dovranno pertanto applicare alle attività umane correttivi e vincoli non operanti altrove; anche per questo si dovrà perciò aver cura di avviare una promozione attiva che apporti alle popolazioni locali (e anche agli agricoltori) adeguati benefici. In tali azioni emergono pertanto alcune considerazioni. Intanto, un'area a parco va delimitata non solo in relazione ai beni da tutelare presenti in essa, ma dopo attento esame degli interessi che vi insistono, anche in base a valutazioni di natura socio-economica. E poi si deve pervenire a criteri di gestione che non potranno ricalcare un unico modello, ma dovranno essere plasmati a seconda delle diverse situazioni esistenti di interesse ambientale e di risorse culturali da conservare, della pressione antropica esistente e dei degradi da rimuovere, dello sviluppo non distruttivo che si vuole promuovere, della vera valorizzazione che si vuole creare; disciplinare talune dinamiche ma anche svilupparne altre con nuovi orientamenti. Il coinvolgimento delle popolazioni è stato a lungo dibattuto e in genere avversato da quei protezionisti che nell'azione di tutela non rifuggirebbero da soluzioni autoritarie. Così, è stata da essi criticata la legge regionale piemontese 43/1975 perchè viene a compromessi con le forze locali; si è temuto in sostanza che la carenza di cultura naturalistica della gente comune e dei suoi amministratori, e la difficoltà di toccare in modo indolore interessi consolidati, potessero risolversi in autogestioni poco produttive sotto l'aspetto del fine precipuo da conseguire (quello della protezione). Coloro che sono fautori di una protezione senza compromessi (fine a se stessa e imposta dall'alto), hanno insomma manifestato fedeltà nel concetto tradizionale di parco, a gestione centralizzata (statale) basata su divieti al fine di conservare i valori naturalistici; ma tali linee hanno da tempo mostrato tutti i loro punti deboli, e si è visto anche di recente come siano deleteri inter-venti autoritari che, oltre a ledere diritti democratici, possano danneggiare le economie di aree fragili, e alla lunga si ritorcano anche a 4