CAPITOLO III
poste le quali si debbono pagare in paese in confronto
di quelle più basse che si pagano all'estero è messo nel
nulla dal fatto che esso si ascolta, identico, in bocca
agli industriali di tutti i paesi; dove, senza eccezione, ci
si lamenta di trovarsi, per questo riguardo, in condi-
zioni di inferiorità rispetto all'estero. Fosse anche, il
che non è, fondato, quale sarebbe la portata del-
l'argomento? Forse che, aumentando, col dazio, il prez-
zo delle automobili in Italia, il peso delle imposte in
Italia scema? No, anzi cresce. Le imposte, che esiste-
vano prima, restano tali e quali. Il dazio sulle automo-
bili straniere non fa diminuire di un soldo il fabbiso-
gno dello stato. Se questo aveva prima trenta miliardi
all'anno di spese da sopportare e di conseguenti impo-
ste da prelevare sui contribuenti, trenta miliardi re-
stano nè più nè meno. La fabbrica di automobili seguita
a pagare le imposte che pagava prima. La sola diffe-
renza è che essa riesce, se già non ci riusciva prima, a
farsele rimborsare dai compratori d'automobili, grazie
al maggior prezzo di vendita che può riscuotere, non
avendo più da sopportare la concorrenza estera. Pas-
sando sopra a qualche complicazione, tutta la sostanza
dell'argomento a favore dei dazi si riduce ad una diver-
sità di opinione intorno al miglior metodo di ripartire
le imposte. È meglio che le imposte, delle quali lo stato
non può fare a meno, siano pagate (sotto forma di im-
poste sui fabbricati, di ricchezza mobile, di negoziazio-
ne e sui dividendi e interessi delle azioni, di registro e
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