ficare il civilista. Non andiamo
avessero di species e materia, e
- 186 —
a ricercare quali concetti i Romani
come tali concetti abbiano influito
quel senso volgare che assume il Perozzi — il fare un canestro con vimini?
Il vimine si piega e si trasforma non meno di come si trasformi il ferro sopra
l'incudine. Così, rotelle e ingranaggi costituiscono beni ben diversi dall'orologio,
che solo una mano esperta può produrre. Non vediamo alcuna differenza fra
il fare un orologio con singoli pezzi ciascuno dei quali ha importato una
acconcia elaborazione, e il fare un tavolo, un mobile, incollando pezzi di
legno squadrati e piallati. Quanto al piallare un legno, ciò non costituisce
qualcosa di diverso dal battere un pezzo di ferro.
È indifferente che frazioni del pezzo originario vengano o meno aspor-
tate (cfr. Ferrini, Pand., § 285 e passi ivi citati). Il Ferrini fa l'esempio dello
staccare la pelle dal bue, tavole dalla nave e scrive che anche in questi casi
si applicano le regole della specificazione. Cose nuove sono tanto la pelle
nella bottega del calzolaio, che la carne nel negozio del macellaio. Nel caso
particolare della «montatura», può intervenire anche il problema dell'unione
di più cose, eventualmente di diversi proprietari. Con ciò, tuttavia, non è
esclusa la considerazione del lavoro (v. infra, nel testo). La rilegatura di un
libro rientra in questo caso. Nessuno potrà mai precisare dove cominci e dove
finisca il concetto di produzione come «distruzione » e successiva creazione
di nova species (specificazione). Nella carbonizzazione, si dà un caso di trasfor-
mazione che rientra in una ipotesi assai generale; la quale si ha ogni volta
che date sostanze chimiche variamente si combinino o si dissocino. Si faccia
anche il caso della produzione del burro. Prodotti sono il carbone, il burro;
prodotti non meno (a parte la loro maggiore o minore utilizzabilità), il gas, il
latte scremato. Anche fuori del campo della chimica, si può richiamare l'esempio
del falegname che squadra un pezzo di legno, producendo da un lato un asse
polito, dall'altro segatura e trucioli (cose utilizzabili). Sono perfettamente
paragonabili il caso di chi batte e forgia un pezzo di ferro senza diminuirne
l'entità, quello di chi piega un giunco o più giunchi assieme, quello di chi
pialla e tornisce un pezzo di legno (risultino o meno residui o sottoprodotti).
Si vede chiaro che l'unica considerazione utile giuridicamente, al fine di indi-
viduare alcuni casi da altri, è quella del lavoro (v. infra). Per cui se si può
dare una nozione per se stante della c. d. specificazione in quanto fondata
su una considerazione giuridica de! fattore lavoro, non può certo parlarsi di
specificazione quando la trasformazione sia operata da una forza naturale
(v. Perozzi, o. I. c.: «non si ha specificazione se la produzione avviene per
mero fatto naturale»). Può, però, pur sempre aversi il problema dell'« acces-
sione ». Un ultimo rilievo. Scrive il Perozzi (o. I. e.)- «perchè manca nel
concetto romano obbiettivamente una produzione, non è specificare qualunque
trasformazione di un immobile, come ad es. ridurre un fondo coltivato a cava
di pietre, un prato a vigneto, edificare, mutare una casa in un opificio ecc.:
ogni immobile era infatti per i Romani un suolo in varie forme, e il suolo resta
lo stesso comunque si trasformi ». Facciamo riserve circa la motivazione (man-
canza dì produzione nel senso romano: v. retro), nonché circa la strana defi-