— 108 — le creatrice ». E poi, stupendamente : « Quello che egli contribuì alla riuscita della nostra coscienza politica e al Risorgimento è di inestimabile valore, perchè raggiunse il più intimo della nostra anima stanca e serva e svogliata di popolo, e suscitò coscienze che seppero rifarla in se stesse, la Patria, e volerla con una fede che assorbiva ed esigeva, in dedizione amorosa e totale, la vita » (25). Nella sua coscienza è la coscienza stessa della Nazione che si fa. Egli è così grande che troppi se lo contendono e, fatta eccezione di alcuni gesuiti intelligenti e ostinati, quasi tutti vorrebbero liberarlo dagli errori che commise, nè pochi nè lievi, nel corso della vita eroica. La maggior gloria di Mazzini, più alta che quella di Gioberti, sta nell'avere innalzata la bandiera dell'unità e di averle saputo sacrificare i disegni repubblicani che rispondevano alla natura del suo genio. Ai Napoletani nel 1831 lancia il manifesto famoso : « Fratelli ! I Re non amano i popoli ; hanno giurato conculcarli, calpestarli, raddoppiare le loro catene ; hanno cacciato le teste dei migliori fra loro sudditi nella bilancia e come pegno di fede ; hanno affidato agli uomini del Nord il ministero di soffocare ogni voto che s'innalzasse dalle moltitudini ai Troni... Maledetto chi confida in un Re! » (26). La lotta contro i Troni è figlia della sua teologia fondata sul binomio Dio e Popolo. Mazzini ha fede nel popolo, nella virtù del popolo e nella sua possibilità di rigenerazione per congenita forza propria. E' un errore dal quale le delusioni pure frequentissime e confessate (27) non lo rimuovono. Egli non rinuncia al mito nel quale crede religiosamente. Ma con la stessa, ed anzi con più intransigente tenacia egli tien fede alla promessa fatta a se stesso nel carcere di Savona : (piando gli balenò la prima idea della Associazione. Combattere fino al compimento dell'U- (25) Romolo Mi rri, La conquista ideale dello Stato, Ed. « Imperia » Milano, 1923, cap. XVI, pag. 73. (26) A. Luzio, Giuseppe Mazzini carbonaro, Bocca, Torino, 1920, pag. 444 e segg. (27) Nel '36, scriveva a Gaspare Rosales di volersi dimettere dalla <( Giovane Italia » perchè « corrotta, deviata dai principi da gente codarda », pag. 17 dell'epistolario inedito, pubblicato dal Palamenghi-Crispi.