— 44 — L'occupazione armata di Chambery, senza previa dichiarazione di guerra, da parte del gen. Montesquieu, le annessioni della Savoia e di Nizza — votate sotto il controllo delle armi francesi — dimostrano che le preoccupazioni di Vittorio Amedeo III erano fin troppo fondate. Una fatalità, del resto storicissima, ha sempre perseguitato il federalismo, di pensiero e d'azione, in Italia. Nel 1794 la « guerra federale » — ecco una soluzione che non sarebbe spiaciuta al Gioberti del primo tempo — fu, in realtà, combattuta esclusivamente dal Piemonte con l'aiuto degli Austriaci. Non a torto Vittorio Amedeo III aveva confidato nel soccorso del Papa. Le medesime necessità di difesa dei principi ponevano logicamente il Papa contro l'invasione giacobina. Ma Pio VI, dominato dalla paura di una sconfitta (che del resto non sarebbe tardata) come sovrano temporale, trascurò l'assunto che gli incombeva quale Vicario del Signore sulla terra e capo della Chiesa Cattolica, fino al punto di premiare, per ingraziarsi con un atto non meno ingenuo che inutile l'animo dei conquistatori, il famoso libro dell'abate Spedalieri su i « Diritti dell'uomo », dove in definitiva si disconosce o, che fa lo stesso, si tollera che sia disconosciuto il fondamento divino del potere del principato storico, quel fondamento cioè che il Papato ha in comune con le Monarchie. Gli altri Principi non furono da meno. Soltanto da Parma e da Modena furono inviati duemila uomini — soldati improvvisati, più d'uno liberato per l'occasione dalle prigioni — e millecinquecento cavalleggeri mandò il Re di Napoli, sempre geloso delle possibilità egemoniche — anche disperate — del Piemonte. Simulacro di Lega Italica. La vittoria francese — sanzionata con l'infelice trattato di Cherasco — poneva finalmente anche la Corona piemontese di fronte ai proclami, rivolte, congiure dei « novatori ». Carlo Emanuele IV, succeduto a Vittorio Amedeo III il 15 ottobre 1796, meglio noto nelle cronache giacobine come « Carlo il Tiranno » univa ad una deplorevole debolezza verso gli avversari, dovuta più che a scarsa intelligenza alla dolorosa malattia di nervi che gli concedeva ben rare tregue, chiara coscienza dei suoi doveri di Sovrano ed animo gentile e umanissimo.