LUIGI ROSSI NEL SUO ULTIMO ANNO DI INSEGNAMENTO
IX
tornerà più tardi con due eccellenti studi su « L'istruzione degli emigranti » e «La tutela del risparmio degli emigranti nel paese di immigrazione» (1924).
Nel 1924 il Rossi torna di nuovo soltanto agli studi, ma nella pienezza della maturità spirituale, e con la ricca esperienza della pratica professionale, amministrativa e politica, che non poteva non avere una profonda ripercussione in questa terza fase della sua attività scientifica. Di nuovo, quasi ogni anno, egli riprende a pubblicare il frutto delle sue indagini in lavori piccoli di mole, ma densi e ponderati, che sono da porsi fra le sue cose più belle: per la maggior parte pubblicati sulla « Rivista di diritto pubblico ». Va inoltre ricordata la sua collaborazione, dal 1925, per la parte italiana, al Recueil international de jurisprudence du travati. Nè andrebbero trascurati i suoi corsi universitari, che sono rimasti sempre allo stato di litografie per uso scolastico.
L'opera di Luigi Rossi non è copiosa. Nè egli ha mai tentato una trattazione sistematica del diritto costituzionale. Anche il suo lavoro più voluminoso, quello sulla rappresentanza politica, è soltanto una monografia. Non so se egli abbia mai avuto vaghezza di ideare un manuale o un trattato. Il problema non mi interessa. Anche Vittorio Scialoja non fece trattati e fu giurista sommo.
I	saggi del Rossi, rapidi, densi, vi portano nel cuore della questione che vuole indagare immediatamente e ve la fanno vedere da ogni aspetto, con indagini fini, direi quasi aristocratiche, che rivelano una visione completa e sistematica della scienza, un'informazione perfetta delle leggi, della giurisprudenza, della dottrina italiana, tedesca, inglese, francese. Taluni degli ultimi suoi saggi, alleggeriti del bagaglio delle molte note, dei riferimenti dottrinali, scritti nella piena maturità dell'esperienza della vita e degli studi, sono dei gioielli, anche dal punto di vista formale.
II	nome del Rossi va collegato al sorgere ed al fiorire della scuola italiana del diritto pubblico. Egli ha ripetutamente insistito sulla questione metodologica nello studio del diritto pubblico, e cioè che il diritto pubblico va studiato unicamente dal punto di vista giuridico. Non che il diritto pubblico debba ignorare il profilo politico dei problemi, deve anzi tenerne conto; ma questo deve fare per non confonderlo con quello giuridico. Tale preoccupazione domina tutta la sua opera: fin dai suoi primi lavori, egli non si limita a teorizzare, ma ha atteso anche ad applicare il metodo giuridico, a dimostrare cioè, anche praticamente, quali risultati se ne ricavano. Si prenda ad esempio il vecchio saggio sullo stato d'assedio, che è del 1894, o quello recentissimo (1936) sulla parità giuridica dei poteri costituzionali nello Stato moderno. In quest'ultimo, contro coloro che hanno affermato l'esistenza di una gerarchia dei poteri costituzionali, egli dimostra che, giuridicamente, tutti i poteri costituzionali sono uguali, ancorché nella parità dei poteri allarghi la sua efficienza pratica quel