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Capitolo primo
Il più grande proprietario terriero dell'Inghilterra era la chiesa. Al tempo della confìsca le terre possedute dai monasteri e dalle abbazie ammontavano a circa un terzo della superfìcie totale del paese e davano un reddito annuo di oltre 160.000 sterline (20). Inoltre il clero era diventato impopolare sia per la diffusione del lollardismo, che auspicava il ritorno alla povertà evangelica, sia per la sua condotta sovente immorale e per la sua ignoranza. Ecco perchè l'azione del re deve essere stata approvata da una parte dei suoi sudditi. E non solamente da quelli in cui guadagnava terreno la riforma, ma anche e soprattutto da quelli, che speravano di trarre larghi profitti dalla politica di incameramento o che credevano che le proprietà monastiche non servissero agli usi privati del re, ma servissero, invece, a scopi nazionali e, quindi, ad alleviare la pesante pressione fiscale.
È ormai pacifico che la ragione principale, che spinse Enrico Vili alla soppressione dei monasteri non fu il sentimento religioso, come si può desumere dal fatto che altre comunità, oltre a quelle ecclesiastiche, vennero espropriate, bensì il bisogno di procurarsi nuove entrate. Il tesoro reale si arricchì notevolmente dalla sola vendita dei beni mobiliari e degli oggetti preziosi accumulati dalle case religiose (27). L'esempio di Enrico costituirà, così, un precedente illustre per l'Assemblea Legislativa allorché questa su indicazione di Talleyrand e sotto la pressione delle necessità finanziarie procederà alla confisca dei beni del clero francese.
La soppressione dei monasteri ebbe conseguenze sociali assai dannose. I beni furono per la maggior parte impiegati per soddisfare le esigenze del re, distribuiti a cortigiani ed a funzionari e venduti in blocco a prezzi bassi per fronteggiare i bisogni determinati dalle guerre con la Francia e con la Scozia, cosicché finirono per andare perduti per la corona. La spogliazione rendeva, di conseguenza, nuovamente la mobilità ad un patrimonio imponente e favoriva contemporaneamente la circolazione della ricchezza immobiliare. Nello stesso tempo, però,
(M) J. E. Thorold Rogers: op. cit., pag. 322.
(27) L'ambasciatore veneto scriveva che il re ottenne più di 5 milioni di ducati con l'oro, l'argento, i gioielli, ecc. Inoltre egli notava che Enrico realizzò fra il 1537 e il 1547 dalle vendite delle terre della chiesa una somma di 3.200.000 ducati. E. Martin: op. cit., voi. I, pag. 366.