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può pensare anche a questo, e si può ritenere che la
filosofia, ad esempio, di un trattato di scienza, sia nella
introduzione, in cui lo scienziato indaga il posto che ha
la sua scienza tra le altre scienze e nel sistema delle
scienze; ma chi è adusato a guardare un po' più a
fondo della superficie può accorgersi facilmente che
l'introduzione è parte costitutiva di tutto il libro e che
se filosofia essa è, filosofia deve essere tutta la scienza,
o, in altre parole, che la posizione dei limiti è imma-
nente al processo stesso della scienza e tult'uno col suo
svolgersi e realizzarsi. Solo chi considera la scienza
come altro dalla filosofia può credere che la introdu-
zione non faccia parte del testo, ma allora è indotto
— come infatti è avvenuto — a negare allo scienziato
il diritto dell'introduzione e a consigliargli di entrare
immediatamente nella scienza. Consiglio che nessuno
scienziato potrà mai seguire sul serio senza suicidarsi,
se è vero che ogni attività umana è mediazione, ossia
filosofia. Nel momento stesso in cui lo scienziato ces-
sasse di filosofare, cioè di distinguere la sua astrazione
dalla concretezza della vita, e di superare nell'atto della
distinzione l'immediatezza della scienza, cesserebbe ne-
cessariamente di far scienza, di astrarre, anzi di co-
munque pensare.
La conferma più luminosa di quel che si è detto
finora va naturalmente trovata là dove ogni verità
si controlla perchè si realizza: nella vita e nella storia.
Se la scienza deve servire alla vita, come può ignorarla?
Non si astrae certamente per il gusto di astrarre, bensì
perchè l'astrazione ci sia momento necessario di mag-
gior concretezza. Ma se lo scienziato rimane, consiste,
si chiude nell'astratto, chi farà entrare la scienza nella
vita, chi risolverà l'astratto nel concreto? Se poniamo la