possibilità di confronto. In secondo luogo ci interessa cogliere il complesso dei significati che sta nel termine «relazione»: fare entrare in gioco le possibilità simultanee o situate nel tempo di collaborazione, cooperazione, conflitto, dipendenza, sostituzione di ruoli, ecc. Quanta collaborazione nei modi conflittuali? Quanto conflitto non indagato? La relazione produce sistemi di norme, si trasmette, si esaurisce? Il che ovviamente costringe a percepire come gli attori della relazione sindacale siano due soltanto in momenti particolarissimi, e come invece più mondi siano costantemente in gioco: imprenditori, dirigenti, funzionari, lavoratori differenziati per cultura, ruolo, interessi. In particolare l'attore imprenditoriale deve emergere con maggiore chiarezza, nei diversi periodi, con le diverse opzioni culturali. Dovrebbe a questo punto risultare chiaro quanto e perché ci interessi conoscere il mondo della formazione professionale e dell'accesso al lavoro, o l'esperienza delle aziende municipalizzate (sede antica e ricca di relazioni) o il legame fabbrica-ambiente in provincia. Difficilmente si perverrà in breve a nuove definizioni generali che non siano semplicemente polemiche con quanto è stato prevalentemente detto fino ad oggi. Comunque la chiamata in scena di attori comportamenti e istituzioni rimasti silenziosi o arbitrariamente scambiati per tali, riaprirà dilemmi ed esigerà risposte. Mondi del lavoro Al termine di un volume comparativo di saggi sulla classe operaia come distinta formazione sociale in Europa e in America, Aristide R. Zolberg ha posto recentemente in discussione la categoria dell'« eccezionalismo ». Rifacendosi a Sombart e al suo celebre quesito sulle differenze nel comportamento politico degli operai americani rispetto a quelli europei, Zolberg ha messo in dubbio che abbia ancora un senso domandarsi se vi siano casi eccezionali e se non sia più logico, invece, studiare la storia della classe operaia come un insieme di casi nazionali, ognuno dei quali è dotato di propri caratteri originali e specifici. Non ha senso ricercare l'eccezione, infatti, là dove non esiste una norma. Le considerazioni di Zolberg vengono alla mente anche quando si discute di casi locali, almeno quando il caso locale abbia le dimensioni e la storia, anche nel senso di una tradizione, di Torino. Se rifiutando lo stereotipo del «laboratorio» abbiamo esplicitamente negato che Torino possa essere assunta come un caso più avanzato (ma avanzato rispetto a che cosa, se abbiamo detto che non esiste una condizione normale?), non per questo intendiamo cadere nella trappola di valutare la sua realtà esclusivamente per differenza o per sottrazione rispetto ad altre. La nostra proposta vuole essere molto più semplice e contenuta. Sgombriamo almeno momentaneamente il campo da primati ideologici e assunzioni di valore e avviamo una ricerca sulla storia delle relazioni industriali di Torino che ne recuperi, in primo luogo, il maggior numero possibile di elementi. Soprattutto, prescindendo dalle troppo enfatiche letture del passato, cerchiamo di individuare circostanze e soggetti concreti, di ricostruirne l'itinerario sociale, di misurare gli effettivi spazi della loro interazione. Porre quest'ordine di problemi significa comunque rinunciare alla convinzione, non suffragata dagli indicatori empirici, che i soggetti sociali che animano la storia della società locale torinese siano statici, dotati di una identità stabile nel tempo. Abbiamo già fatto qualche cenno alle ricerche che hanno mostrato l'alto grado di instabilità esistente all'interno dei gruppi sociali, prima tra tutte quella di Maurizio Gribaudi, che ha cercato un contributo di conoscenza di primo piano degli operai di Torino. 3> £ <CD< ,0=3-