13 IN ITALIA Per quanto la metafora sia un po’ logora, l’immagine di un superamento “repubblicano” della monarchia fordista rimane la più adatta per descrivere il cambiamento di Torino. Il passaggio è avvenuto senza il clamore delle rivoluzioni, all’insegna di una transizione senza fratture in cui i vecchi poteri si diluiscono in una governance rinnovata nei contenuti e ampliata nella membership. Per la città e per il Nord-Ovest rimane aperto il problema di promuovere una vera poliarchia. Rispetto alla Torino fordista, infatti, sono mutate in modo irreversibile le relazioni e la combinazione tra gli attori socio-economici in almeno due campi. In primo luogo a livello territoriale. Sebbene Torino mantenga e per alcuni aspetti accentui il proprio ruolo di città-regione (di sede delle funzioni strategiche e direzionali dell’economia regionale), il Nord-Ovest è stato interessato negli ultimi quindici anni da un processo di modernizzazione “orizzontale”, trainato dall’emergere di nuovi protagonisti territoriali e dal decentramento di alcune importanti autonomie funzionali – l’Università in primo luogo. In secondo luogo a livello di mix produttivo, cui corrisponde sempre una specifica composizione delle figure del lavoro. La rivoluzione in questo senso c’è stata. Lo dicono il racconto del Nord-Ovest e i numeri emblematici della provincia di Torino che, tra il 1991 ed il 2001, ha perso 77.000 addetti industriali, guadagnandone 84.000 nei servizi di cui 61.000 nel terziario avanzato (altri 38.000 negli ultimi cinque anni). Lo dicono i processi di affermazione di un’economia metropolitana della conoscenza, che innerva i diversi comparti produttivi e che fa di Torino un polo di media importanza anche nelle produzioni immateriali. Più ancora, lo dice la trasformazione “antropologica” dei soggetti produttivi, da tempo oltre i tipi ideali dell’operaio e dell’impiegato della produzione di massa. Nonostante il rilancio industriale di Fiat Auto, che mantiene una posizione di leadership senza che a ciò corrisponda più un controllo esclusivo sulle imprese della filiera (che dipendono dall’OEM locale in percentuale assai più contenuta del passato), occorre prendere atto della non proponibilità di un ritorno al fordismo. La presenza sul territorio del cervello direzionale e delle funzioni strategiche di un gruppo in grado di riacquistare posizioni importanti nella competizione globale rappresenta naturalmente un punto di forza del sistema dell’automotive torinese. E tuttavia Torino il fordismo lo ha lasciato alle spalle: è la composizione sociale, infatti, ad essere oltre, sebbene ciò si riverberi solo in parte nelle élite alla guida delle trasformazioni urbane. Il fordismo ha rappresentato per la città un vulcano in eruzione che occupava il paesaggio e ne determinava tempi, organizzazione spaziale, clima economico; al vulcano non era consentito avvicinarsi. Per un certo periodo si è temuto che cessasse di vivere. Non è accaduto: il vulcano è ancora in attività, ma non erutta più colate incandescenti e oggi ci si può avvicinare senza correre il rischio di bruciare. Per capire se i detriti e la lava sedimentata sono i materiali con cui edificare parte della metropoli futura, o sono solo il terreno scivoloso su cui, continuamente, si corre il rischio di precipitare. Le aree abbandonate e i vuoti industriali sono una parte dei detriti lavici che il fordismo lascia in eredità alla metropoli. Il loro recupero funzionale e le nuove destinazioni d’uso sono un